Il profilo «caotico» del saudita killer solitario di Magdeburgo: islamofobo, paranoico e simpatizzante di destra

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Mara Gergolet, nostra inviata a  Magdeburgo, e Guido Olimpio

Lo psichiatra per i colleghi «era diventato delirante». Riad lo aveva segnalato 4 volte a Berlino, ma sono state invane

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L’avevano convocato in tribunale. E invece, il giorno dopo non essersi presentato all’udienza, Taleb Al Abdulmohsen ha noleggiato un Suv nero e l’ha diretto a tutta velocità contro il mercatino di Natale. Chissà se quell’udienza ha giocato un ruolo, se non abbia funzionato da detonatore. Sarebbe perfino futile il motivo del processo — aveva chiamato troppe volte «i numeri d’emergenza», compreso quello dei pompieri — se non fosse che già dimostrava la sua sindrome d’accerchiamento, la paranoia che lo attanagliava, il deragliamento. Dettagli, forse. 

Ma anche il percorso in un personale labirinto di radicalizzazione e risentimento, documentabile da almeno un anno, fino al massacro di massa. Taleb Al Abdulmohsen, 50 anni, da ultimo psichiatra in un carcere della Germania dell’Est, dove si presentava di rado, ex musulmano ateo e apostata, si definiva «il più feroce critico dell’Islam del mondo» e si immaginava come il «liberatore delle donne saudite». Aveva 43mila follower su X, un po’ di fama passata grazie a interviste su giornali e tv, inclusa la Bbc, dove si atteggiava a intellettuale critico. I sauditi l’avevano attenzionato




















































Da tempo ritwittava account di estrema destra, complottisti, profetizzando e anelando alla vendetta. L’ultimo post poche ore prima dell’attentato: «Io dichiaro responsabile il popolo tedesco della morte di Socrate». Socrate: così si vedeva. Poi ha preso delle droghe — dicono i primi test — ed è salito sulla Bmw per entrare in azione.

Minacce di morte

Un «profilo caotico», così vengono definiti i casi come il suo: assassini dal percorso tortuoso, che sembrano la sintesi di molteplici spinte — politiche, personali, legate tanto al presente quanto a un passato turbolento.
Chi l’ha incrociato — perché Taleb era attivo in molti circoli di ex musulmani sauditi, dissidenti e richiedenti asilo — ne ha parlato male. 

Dice Nora Abdulkarim, saudita che lavora a Harvard: «L’ho conosciuto nel 2017. Non mi sono sentita a mio agio con lo “stile” di Taleb, per così dire. Ho notato ego, paranoia, aggressività, accesso a informazioni poco chiare, metodi eticamente discutibili, attivismo e instabilità emotiva».
Taleb litigava con tutti quelli che approcciava e da mesi aveva una causa con l’Atheist Refugee Relief: voleva denunciare il malaffare e, secondo lui, presunti scandali sessuali nell’ong. 

Il post del 6 agosto, a posteriori, fa paura: «Oggi tutte le prove sono state inviate alla Corte. Dopo di ciò, sarà giustizia in modo semplice o una giustizia che raggiungerà le prime pagine globali». Una settimana dopo: «Vi assicuro: se la Germania vuole la guerra, la avremo. Se la Germania vuole ucciderci, li massacreremo, moriremo o andremo orgogliosamente in prigione». A novembre ha pubblicato il suo manifesto per «l’opposizione liberale saudita». Al punto 1: «La Germania deve proteggere i suoi confini dall’immigrazione illegale». Sul profilo aveva la foto di un AR-15, il fucile della strage di Columbine e di molte altre negli Usa.

La vita vera

Dal 2019, Taleb lavorava come consulente psichiatrico nel carcere di Bernburg: si occupava di detenuti tossicodipendenti. Un modo per far fruttare la sua specializzazione. «Era spesso malato, da ottobre non si è più presentato — hanno detto i colleghi a un giornale locale, in modo anonimo —. Aveva metodi rozzi, il suo attivismo era diventato delirante». Tutti sapevano che aveva rinnegato l’Islam. Quanto ha pesato questo distacco, questo rifiuto? È arrivato nel 2006 come specializzando in medicina, ottenendo l’asilo nel 2016. Nel 2013 era disoccupato a Rostock e viveva di sussidi statali Hartz IV, come nel 2019. In un’intervista alla Faz diceva: «I musulmani qui trattano le persone come me, che hanno un background islamico ma non sono più religiose, senza comprensione né tolleranza». 

Aveva creato un sito per aiutare le ragazze del Golfo a espatriare: «Mi hanno contattato a migliaia, lavoro per loro 10-16 ore al giorno». Megalomania o auto-inganno di chi si sentiva protagonista sul web ma viveva isolato a Bernburg? È vero che i sauditi l’avevano messo sotto osservazione, e lui si sentiva seguito. In ogni modo, per quattro volte Riad ha segnalato ai servizi tedeschi (Bka) i suoi post pericolosi. Zero risposte.

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Isolamento

Negli ultimi tempi, mentre si ritraeva sempre di più dalla vita sociale, era ossessionato dai temi di estrema destra. Ammirava Alice Weidel, Elon Musk, Tommy Robinson. Odiava i rifugiati, portatori dell’islamizzazione. Si chiedeva: «C’è una sola cosa positiva nell’Islam?». E poi, violento: «Siccome non c’è pena di morte in Germania, Merkel deve spendere il resto della sua vita in prigione come punizione per il suo progetto segreto criminale di islamizzare l’Europa. Se la pena di morte sarà ristabilita, merita di essere uccisa». 

E quindi, chi è veramente Taleb Abdelmohsen? Su tutto bisogna esercitare cautela. Può essere davvero un avversario dell’Islam oppure un uomo agitato da molte tensioni. O ancora, un killer che ha mascherato le sue reali intenzioni fingendosi dissidente per ottenere asilo in Germania. Un lupo solitario che ha emulato i jihadisti falciando i passanti. Ma non si può ignorare un’ipotesi molto ovvia. Taleb «l’anti-islamico» sapeva bene — nella sua mente contorta da psichiatra, abituato ai giochi psicologici — che l’obiettivo scelto avrebbe alzato i toni contro stranieri, migranti, islamici. Ha puntato proprio a quello, e ci è riuscito.

21 dicembre 2024

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