Le testimonianze e le storie di come cambia la vita dopo un incidente sul lavoro

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Una piaga che, anno dopo anno, continua a spezzare e cambiare per sempre vite. La strage di Calenzano, dove un’esplosione a un deposito Eni è costata la vita a cinque lavoratori, è solo l’ennesimo incidente di questo 2024. Ogni giorno, in Italia, muoiono più di tre persone al giorno sul luogo di lavoro, mentre ogni mese altre 30mila vedono la loro esistenza stravolta a causa di un infortunio. In alcuni casi irrimediabilmente.

“Ho perso le mani per un macchinario non a norma, dall’azienda nessun indennizzo” 

La vita di Andrea Lanari cambia per sempre una mattina di inizio estate, quando ha 34 anni. Vive a Castelfilardo, in provincia di Ancona, e il 4 giugno 2012 esce per accompagnare il figlio a scuola, poi va al lavoro. È addetto alla costruzione di stampi per materie plastiche e metalliche e quella mattina, viene inviato dal datore di lavoro, in un’azienda vicina per collaudare un grosso stampo di tranciatura. Quando inserisce il materiale da tranciare sotto lo stampo avviene però l’imprevisto. La pressa si abbassa troncandogli entrambi gli arti fino a metà avambraccio. Arriva in ospedale in condizioni critiche e quando si sveglia Andrea realizza di non avere più le mani. Da quel momento comincia il suo calvario. 

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“Ho passato mesi di inferno tra medicazioni dolorosissime, riabilitazione e traumi psicologici, perché dipendevo da tutti per qualsiasi cosa, anche per i bisogni fisiologici elementari” spiega a Today.it. Tutto questo influisce anche sugli affetti e, due anni dopo l’incidente, arriva anche la separazione con la moglie. Nel frattempo riacquista parte delle funzionalità manuali grazie a delle protesi, mentre cresce la consapevolezza che il suo dramma poteva essere evitato. “Io non avevo ricevuto nessun tipo di formazione sulla prevenzione e il titolare dell’azienda aveva omesso di avvertirmi che il macchinario era sprovvisto di dispositivi di sicurezza” racconta a Today.it. 

Affronta anche una battaglia legale contro le due aziende coinvolte nell’incidente. La sentenza di primo grado obbliga i responsabili a versare 100mila euro di risarcimento. Dopo la sentenza di secondo grado però, Andrea di questa somma vedrà pochissimo, appena il 10%. L’azienda dove lavorava dichiara fallimento poco dopo, mentre la seconda, dove è avvenuto l’incidente, non ha un’assicurazione contro gli infortuni.

“Non sono il solo, ci sono ottime possibilità, per i datori, di farla franca. Ci sarebbe inoltre l’obbligo di assegnare il lavoratore ad altre mansioni dopo un incidente, ma anche questo spesso non avviene” ci spiega Andrea che poi sottolinea: “Nessun indennizzo mi avrebbe ridato le mani, però avrei potuto avere nuove protesi, magari più tecnologiche”. Oggi è invalido all’80% lavora come testimone di Anmil (l’associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro). 

“Lavoravo in nero: quando sono caduto dal tetto sono tutti scappati” 

Quando la sua vita cambia per sempre invece, Luciano Ciceroni ha appena 17 anni. Lavora, in nero, come lattoniere per un’azienda della provincia pavese. Per arrotondare decide di fare un lavoro extra e si fa prestare i mezzi dell’azienda. È l’estate del 1995 e, con altri colleghi, deve sistemare il tetto di una villetta. Quando sale sul tetto riesce a scorgere appena tre operai, poi precipita da 9 metri d’altezza. 

“Sono caduto di testa sulla ghiaia. Il sangue mi usciva da ogni dove. Ho detto tre e quattro parole e ho perso i sensi, sono le ultime cose che ricordo” ci racconta Luciano che aggiunge: “Gli altri operai sono scappati perché erano in nero e nessuno voleva essere coinvolto: è stato Il padrone di casa a chiamare i soccorsi”. 

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In ospedale trascorre 16 giorni in coma farmacologico, ma i medici riescono a salvargli la vita e ricostruirgli successivamente il viso e il cranio. Quando si sveglia Luciano scopre però che deve cambiare vita. “I medici hanno consigliato a mia mamma di farmi studiare perché non potevo più fare quel tipo di lavoro. Avevo appena 18 anni e mi sono iscritto all’Istituto alberghiero. Oggi gestisco un supermercato per una catena di grande distribuzione” ci racconta. 

Anche lui però non ottiene nulla dalla causa civile contro l’ex datore di lavoro: “Avevo diritto, ai tempi, a 300 milioni di lire da cui non ho visto nulla. Perché? Il datore di lavoro risultava nullatenente anche se aveva sposato una miliardaria. La colpa era andata a lui perché ci ha fornito i mezzi per fare quel lavoro. Siamo riusciti a fargli sequestrare solo pochi spicci. Non è una novità: molti imprenditori che tengono i lavoratori in nero risultano nullatenenti” conclude sarcastico Luciano. 

Dall’infortunio sul lavoro ai primati sulla pista d’atletica: la storia di Claudio 

Talvolta un incidente sul lavoro può però paradossalmente ridefinire la propria vita. Quando Claudio De Vivo viene investito da un camion è il 2008. Ha 28 anni e si sta occupando dello scavo per un gasdotto come capocantiere. “L’uomo che era alla guida del camion era distratto dal telefonino e ha ignorato i segnali di stop. L’incidente mi ha provocato l’amputazione della gamba sinistra”. Claudio ammette di aver attraversato un periodo difficile dopo l’incidente. “All’inizio ho avuto un periodo di depressione, non volevo vivere più, sono arrivato a pesare 150 chili” ci racconta. Poi scopre lo sport e la sua vita cambia. Diventa un atleta paralimpico e oggi è primatista italiano del 1500 metri su pista. 

“Nella vita precedente pensavo solo a lavorare, oggi sono più forte di prima. Faccio sport e sto in mezzo alle persone, prima non sapevo nemmeno cosa significasse” ci racconta Claudio, che poi aggiunge: “L’infortunio mi ha insegnato a non arrendermi, perché non sai mai quello che la vita ti riserva. È la lezione che ho imparato che oggi cerco di trasmettere come testimone Inail”. 

CLAUDIO_DE_VIVO_foto_social

Non sempre però dopo un infortunio è facile reinserirsi nel mercato del lavoro. Victoria Godovanyuk, cittadina russa con nazionalità italiana, nel 2011 rimane vittima di un incidente mentre lavora come cameriera con un contratto a chiamata. Un pesante tavolo di marmo le schiaccia il polso e braccio: da quel giorno non ha più lavorato.

“Sono andata al centro per l’impiego e mi hanno detto:’guardi negli annunci, guardi sul computer’, ma ormai sono passati 13 anni che non lavoro. Quando è successo l’incidente avevo 39 anni ora ne ho 53 ed è sempre più difficile” racconta a Today.it. Victoria ha il 35% di invalidità e vive grazie allo stipendio del marito. E non è purtroppo un caso isolato.

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Aumentano gli incidenti mentre le leggi sono ferme agli anni ’60

Sì, perché il problema è anche quello di leggi ferme da 60 anni come spiega il presidente dell’Anmil, Emilio Deandri: “Il Testo Unico sugli infortuni sul lavoro risale al 1965 ed è lo specchio di un’Italia che non c’è più. Oggi ci sono oltre 650mila titolari di rendita Inail per invalidità permanenti che chiedono migliore tutela economica e la garanzia del recupero delle condizioni di salute. Inoltre è essenziale garantire il sostegno alla ricollocazione professionale”.

Intanto gli ultimi dati non autorizzano a dormire sonni tranquilli. Nel corso dei primi dieci mesi del 2024 sono state 890 le vittime sul lavoro, un aumento del 3% rispetto all’anno scorso. Aumentano  anche gli infortuni (+0,4%) e le malattie professionali (+23%). Il trend sembra comunque orientato a un equilibrio che dovrebbe però preoccupare: “C’è una sostanziale stabilità del numero di incidenti e morti sul lavoro. A prima vista potrebbe sembrare positivo, ma significa che non si riesce a incidere sensibilmente sul fenomeno. Parliamo di oltre 600mila denunce in media e oltre 1000 morti ogni anno ai quali ci si dimentica di aggiungere i circa 5 decessi quotidiani per malattie professionali” sottolinea Deandri.

E a incidere c’è anche l’organizzazione del lavoro: “Il sistema frammentato degli appalti e dei subappalti fa purtroppo da sfondo a molti incidenti anche gravissimi. Un meccanismo concepito per introdurre una maggiore specializzazione nelle commesse si trasforma spesso in una scorciatoia per risparmiare, tagliando sulla sicurezza o assumendo in nero o con contratti poco vantaggiosi. E spesso vengono impiegati lavoratori inadeguati e talvolta senza formazione specifica” conclude il presidente di Anmil. Un’evidenza su cui riflettere nella Repubblica fondata sul lavoro, dove però di lavoro si continua a morire. 



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