Da Macron sostegno all’Etiopia per un accesso al mare e «ristrutturazione» dell’approccio al continente partendo dalla base militare di Gibuti
23 Dicembre 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 4 minuti
Emmanuel Macron con il presidente gibutiano Ismail Omar Guelleh, alla firma del nuovo trattato di difesa, lo scorso luglio (Credit: Djib-Live account X)
Dopo essere stata costretta alla ritirata da alcune delle più importanti sue roccaforti militari nel Sahel, la Francia si è vista costretta a rivedere la sua politica di influenza nel continente. E ha spostato la sua attenzione sul Corno d’Africa.
Di rientro da una visita a Mayotte, territorio francese d’oltremare nell’Oceano Indiano devastato dal passaggio del ciclone Chido, il 20 e 21 dicembre Emmanuel Macron ha fatto tappa a Gibuti e nella vicina Etiopia.
Parigi riparte da Gibuti
A Gibuti l’interesse strategico della Francia si concentra sul potenziamento della sua base militare che, stando alle dichiarazioni di Macron, sarà «reinventata» per assumere un ruolo di maggior rilievo come «punto di proiezione» per le missioni del paese in Africa.
Una scelta strategica che, ha annunciato il presidente francese, fa parte della «ristrutturazione dell’approccio di Parigi al continente africano».
In quest’ottica si può leggere anche la firma, lo scorso luglio, di un nuovo trattato di cooperazione in materia di difesa tra i due paesi che prevede la perpetuazione per altri 20 anni della presenza militare francese, composta da 1.500 soldati, impegnati in diverse missioni, tra cui la difesa territoriale e la formazione dei soldati gibutiani.
La base francese di Gibuti, fino ad ora orientata in prevalenza verso il Mar Rosso, l’Oceano Indiano e l’Indo-Pacifico, sembra dunque destinata a guardare sempre meno ad oriente, e sempre più, invece, all’interno del continente.
In ritirata dall’Africa centro-occidentale
All’Africa dell’Est e al Corno, in particolare, visto che nei territori occidentali Parigi si è vista costretta a smantellare quasi tutte le sue basi militari. Prima dal Mali, dal Burkina Faso e dal Niger dopo i golpe militari – rispettivamente nel 2021, 2022 e 2023 – e l’avvicinamento delle giunte al potere alla Russia.
Poi, più di recente, anche dal Ciad, dove il ritiro del primo contingente dei circa 1.000 soldati presenti è iniziato nei giorni scorsi.
La prossima base francese a svuotarsi sarà probabilmente quella in Senegal, il cui presidente Bassirou Diomaye Faye ha già espresso pubblicamente il suo disappunto per la permanenza militare di Parigi nel paese, che considera «incompatibile» con la sovranità nazionale.
Le uniche basi che la Francia riesce ancora a mantenere stabilmente nell’aerea sono quelle nelle altre due ex colonie, il Gabon (con 350 uomini) e la Costa d’Avorio (600 uomini).
Sostegno all’Etiopia per un accesso al mare
Lasciata Gibuti Macron è volato ad Addis Abeba, per la seconda volta negli ultimi sei anni. E anche qui il segnale lanciato è quello di un sempre maggior coinvolgimento nelle questioni geopolitiche che da ormai quasi un anno scuotono l’Etiopia e l’intera regione.
In particolare, nella conferenza stampa seguita all’incontro con Abiy Ahmed, il presidente francese ha annunciato il sostegno di Parigi alla richiesta dell’Etiopia di ottenere un accesso al mare, rendendosi disponibile a collaborare per il raggiungimento di un’intesa “nel rispetto delle leggi internazionali e della sovranità dei paesi vicini”.
Il riferimento è alla tensione con la Somalia, innescata dalla firma, il 1° gennaio scorso, di un accordo bilaterale con lo stato-regione del Somaliland, di fatto indipendente dal 1991 ma che Mogadiscio considera ancora parte del suo territorio.
Con questo memorandum d’intesa, siglato da Abiy Ahmed e dall’ex presidente Muse Bihi Abdi, Hargeisa darebbe in concessione per 50 anni ad Addis Abeba 20 chilometri di costa sul Golfo di Aden, all’imbocco del Mar Rosso, per scopi commerciali. In cambio otterrebbe il riconoscimento del Somaliland come Stato sovrano.
La crisi tra Etiopia e Somalia, che stava montando in modo preoccupante, è in parte rientrata grazie alla mediazione di Ankara, dove l’11 dicembre i leader dei due paesi hanno siglato una dichiarazione nella quale si impegnano a portare avanti trattative per risolvere in modo pacifico la controversia.
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