Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 45792/2024, udienza del 4 dicembre 2024, ha chiarito, in tema di rapina aggravata, che l’attenuante introdotta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 86 del 2024 costituisce uno strumento “ulteriore” rispetto a quelli già disponibili – e dunque anche rispetto all’attenuante comune prevista dall’art. 62, n. 4) cod. pen. – per adeguare la sanzione al fatto. Pertanto, quando le caratteristiche della condotta siano tali da far ritenere che si versa in un caso di “offensività minima”, che legittima il riconoscimento dell’attenuante, il fatto che sia già stata riconosciuta l’attenuante comune prevista dall’art. 62, n. 4) cod. pen. non osta alla rivalutazione delle caratteristiche della condotta e della entità del danno, allo specifico fine di concedere l’ulteriore attenuante.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 86 del 2024 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, cod. pen., «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».
Nel corpo della motivazione è stato affermato che «l’esigenza dell’attenuante in questione – in misura non eccedente un terzo, come vuole la regola generale dell’art. 65, primo comma, numero 3), cod. pen. – trova fondamento costituzionale anche nei principi di individualizzazione della pena e di finalità rieducativa della stessa», dato che «un trattamento manifestamente sproporzionato rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto, e comunque incapace di adeguarsi al suo concreto disvalore, pregiudica il principio di individualizzazione della pena (sentenza n. 244 del 2022); «“l’individualizzazione” della pena, in modo da tenere conto dell’effettiva entità e delle specifiche esigenze dei singoli casi, si pone come naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali» così da rendere «quanto più possibile “personale” la responsabilità penale, nella prospettiva segnata dall’art. 27, primo comma» (sentenza n. 7 del 2022)».
I giudici della Consulta hanno anche affermato che «il principio della finalità rieducativa della pena è ormai da tempo diventato patrimonio della cultura giuridica europea, particolarmente per il suo collegamento con il “principio di proporzione” fra qualità e quantità della sanzione, da una parte, ed offesa, dall’altra (tra molte, sentenze n. 179 del 2017 e n. 313 del 1990)». E che, pertanto, «in presenza di una fattispecie astratta connotata, come detto, da intrinseca variabilità atteso il carattere multiforme degli elementi costitutivi «violenza o minaccia», «cosa sottratta», «possesso», «impunità», e tuttavia assoggettata a un minimo edittale di rilevante entità, il fatto che non sia prevista la possibilità per il giudice di qualificare il fatto reato come di lieve entità in relazione alla natura, alla specie, ai mezzi, alle modalità o circostanze dell’azione, ovvero alla particolare tenuità del danno o del pericolo, determina la violazione, ad un tempo, del primo e del terzo comma dell’art. 27 Cost.» (Corte cost. n. 86 del 2024, § 8.3.).
Si tratta di un intervento chiaramente diretto a consentire la migliore individualizzazione del trattamento sanzionatorio per le condotte di rapina, tenuto conto che per le azioni “minime”, la forbice edittale prevista dal legislatore è stata ritenuta sproporzionata ed irragionevole e, pertanto contraria progetto rieducativo indicato come necessario dall’art. 27 della Carta Fondamentale.
Tale pronuncia, se sopravvenuta alla condanna in grado di appello può legittimare la richiesta di annullamento della sentenza di appello, sempre che, con il ricorso, si indichino specifici argomenti a sostegno della necessità di un rinnovato vaglio, nel merito, della capacità dimostrativa delle prove, diretto (a) alla verifica della sussistenza delle condizioni per riconoscere la lieve entità della condotta; (b) all’applicazione, in concreto, della diminuzione (che è discrezionale in quanto possibile “fino ad un terzo”), ove tali condizioni siano considerate sussistenti.
Nel caso in esame la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 628 cod. pen. è intervenuta successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, che risale al 13 marzo 2024. Dunque, il ricorrente, aveva il diritto di invocare l’annullamento della sentenza di condanna per ottenere la valutazione della sussistenza delle condizioni per applicare la diminuente introdotta dalla Corte costituzionale (la rilevazione delle condizioni che legittimano la necessità di valutare, nel merito, la sussistenza delle condizioni per riconoscere l’attenuante è possibile anche ex officio: Sez. 2, n. 19938 del 15/05/2024). E, in concreto, lo ha esercitato indicando specificamente le ragioni a sostegno della pretesa, ovvero la modesta entità del fatto, sia con riguardo al danno cagionato, che alle modalità dell’azione predatoria.
Resta da verificare se l’attenuante introdotta dalla Corte costituzionale possa essere riconosciuta anche nel caso in cui, come quello in esame, sia già stata concessa l’attenuante comune prevista dall’art. 62, n. 4) cod. pen.
Il percorso motivazionale che caratterizza la sentenza n. 86 del 2024 indica con chiarezza che l’intento del Giudice delle leggi era quello di introdurre uno strumento “ulteriore” rispetto a quelli già disponibili – e dunque anche rispetto all’attenuante comune prevista dall’art. 62, n.4) cod. pen. – per adeguare la sanzione al fatto. La Corte costituzionale ha, cioè, ritenuto che, quando il fatto si configura come “estremamente modesto”, gli strumenti codicistici per temperare la sanzione sono insufficienti per garantire la proporzionalità della pena e la sua finalità rieducativa.
Tale approdo ermeneutico trova ulteriore conferma nel fatto che la dichiarazione di illegittimità costituzionale riguarda proprio in un caso in cui era stata “già” ritenuta sussistente l’attenuante prevista dall’art. 62 n. 4) cod. pen.
Tanto premesso deve essere rilevato che i parametri da considerare per applicare l’attenuante speciale sono – in larga misura – sovrapponibili a quelli individuati per applicare l’attenuante prevista dall’art. 62, n. 4) cod. pen.: infatti, mentre per ritenere sussistente l’attenuante di matrice costituzionale è necessario valutare «la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità», in modo del tutto sincrono, per concedere l’attenuante codicistica occorre valutare il «danno patrimoniale di speciale tenuità», ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, «il lucro di speciale tenuità», sempre che «l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità».
La omogeneità dei parametri, tuttavia, tenuto conto della ratio della sentenza additiva, non osta alla necessità di una loro “rivalutazione”, ai fini dell’ulteriore abbattimento della sanzione da infliggere in concreto.
In conclusione, il collegio afferma che l’attenuante introdotta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 86 del 2024 costituisce uno strumento “ulteriore” rispetto a quelli già disponibili – e dunque anche rispetto all’attenuante comune prevista dall’art. 62, n.4) cod. pen. – per adeguare la sanzione al fatto. Pertanto, quando le caratteristiche della condotta siano tali da far ritenere che si versa in un caso di “offensività minima”, che legittima il riconoscimento dell’attenuante, il fatto che sia già stata riconosciuta l’attenuante comune prevista dall’art. 62, n. 4) cod. pen. non osta alla rivalutazione delle caratteristiche della condotta e della entità del danno, allo specifico fine di concedere l’ulteriore attenuante.
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