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Andiamo subito al punto, specificando cosa abbiamo trovato attraversando l’area Saint-Gobain. Forse il prossimo deposito di un supermercato, ma il comune di Caserta non ha pubblicato il permesso a costruire e manca il nome del proprietario e committente dei lavori. Su Egizya di Francescone, ritenuta dalla DDA di Napoli, ditta nelle mani di Camillo Belforte, figlio del boss Domenico, abbiamo già scritto. Ci sono anche le sue insegne su un cantiere in cui l’impresa esecutrice ufficialmente è la Reinforced Concrete che, caso vuole, ha la stessa sede di Egizya
CASERTA/MARCIANISE (g.g.) – Vogliamo applicare, per una volta, la pratica cinematografica del flashback, declinando ora il finale, che è anche la notizia, la news odierna, per poi riannodare, riavvolgere la pellicola, raccontando, a chi è interessato a queste fittissime trame (e in questa provincia Dio solo sa quanto sia necessario ampliare tale platea), gli antefatti, le cause della notizia principale.
In questo periodo siamo particolarmente fortunati ad incrociare scene o aree fisiche molto interessanti. Transitando in questi giorni l’auto nell’area tangente (anche la geometria ci soccorre) al palazzo che ospita l’amministrazione provinciale di Caserta, abbiamo incrociato un mega scavo con annesso cartello di cantiere, questa volta meno concreto di quello che apre l’area dei lavori Big-Toraldo (CLICCA QUI PER LEGGERE).
IL MEGA CANTIERE ANONIMO IN ZONA SAINT-GOBAIN. EGIZYA DI FRANCESCONE-BELFORTE E LA GEMELLA
Incompleto, ma non per questo meno significativo. Dalla foto che campeggia su questo articolo, i nomi si vedono. Per cui, possiamo tranquillamente declinarli: progettista architettonico, strutturale e direttore dei lavori è l’architetto Filippo Fecondo, che ha curato i servizi di ingegneria con la sua impresa Faber & Faber. La relazione geologica è stata compiuta da Vincenzo Cortese, collaudo e coordinamento della sicurezza sono in capo rispettivamente agli ingegneri Salvatore Petriccione e Massimo Fiodo.
La società esecutrice è ufficialmente la Reinforced Concrete, alla quale non fa certo difetto l’autostima, considerato lo striscione vistosissimo attaccato all’ingresso del cantiere in cui, però, ci sono anche le insegne tutt’altro che piccine picciò della Egizya srl. Queste due società si vogliono talmente bene da condividere la stessa sede sociale: piazza Matteoti, o piazza mercato, che dir si voglia, a Caserta, numero civico 67.
Del legale rappresentante di Egizya, ovvero Biagio Francescone, avete letto nell’articolo di sabato scorso e ne leggerete anche qui in basso. Il nome del legale rappresentante di Reinforced Concrete, invece, è Giovanni Stellato. Però sono gemellini, si vede che si amano, dalla vicinanza dei cartelli pubblicitari, dalla scelta della sede. E hanno anche lo stesso tipo di diffidenza rispetto alla ragione che noi, gente cogliona destinata a non farsi i soldi in questa provincia, riteniamo fondamentale, cioè richiedere all’iscrizione alla white list, cosa che puntualmente e puntigliosamente non ha fatto la Reinforced Concrete.
Questo terreno è stato acquistato all’asta fallimentare del crac finanziario degli Alois. L’intervento è autorizzato dal comune di Caserta con permesso di costruire emesso dal SUAP numero 7 del 2022 che naturalmente non abbiamo trovato in quello che il comune di Caserta spaccia come Archivio Pubblico, un’operazione trasparenza.
CHIAREZZA. PER EVITARE SPECULAZIONI
Si diceva di un cartello incompleto rispetto al cartello del Big-Toraldo. Magari, Filippo Fecondo, che è stato personaggio di primo piano in questa provincia, avrebbe potuto chiedere la pubblicazione di tutti i dettagli propri di un cartello di cantiere, compreso il nome del committente e non solo dell’impresa esecutrice. Ma così, giusto per creanza e per evitare ingiuste speculazioni sul fatto che, per un periodo, Fecondo è stato indagato per reati di camorra, a seguito delle dichiarazioni dei pentito Michele Froncillo e dello stesso Salvatore Belforte, nel breve periodo in cui ebbe lo status di collaboratore di giustizia e che disse di aver incontrato Fecondo personalmente, nei pressi del Maschio Angioino.
Per evitare ingiuste speculazioni, visto che la posizione di Fecondo è stata archiviata proprio dal pm Landolfi, titolare anche dell’inchiesta su Egizya.
Cosa diciamo ora, che un’impresa che lavora nelle stesse stanze di una ditta in odore di camorra, considerata dalla DDA sotto il controllo di Camillo Belforte di Domenico, è entrato pesantemente in un cantiere che, a quanto ci dicono, sia stato attivato da un imprenditore titolare di una catena di supermercati?
In effetti, il punto di domanda lo possiamo anche togliere, perché è esattamente così.
Stesso discorso vale per i rapporti tra l’architetto Fecondo e l’ingegnere Raucci che, professionalmente, parlano la stessa lingua e sono scelti da committenti che li arruolano, il secondo con ditte in odore di camorra, il primo con imprese che hanno la stessa sede di ditte ritenute vicine alla camorra.
PERCH’ SCRIVERE DEL CANTIERE CAFFE’ TORALDO ALL’EX BIG MAXICINEMA
Passando davanti al supercantiere che dalle ceneri del Big Maxicinema, ossia di quella che fu la maxisala più grande e importante, la più frequentata della provincia di Caserta, dovrà generare aree di produzione, di distribuzione, della nota azienda napoletana Caffè Toraldo, abbiamo pensato che non sarebbe stato serio per un giornale come il nostro di andare oltre e non occuparsi di un fatto così rilevante da un punto di vista economico.
Come usiamo fare in casi del genere, abbiamo fotografato il cartello del cantiere. Così, innocentemente.
Quando ci siamo soffermati su quell’immagine, il nostro livello di adrenalina è salito di qualche grammo. Il nome di Fabio Raucci, ingegnere di Marcianise, progettista, direttore dei lavori (in pratica fa tutto lui), assieme a quello di Egizya srl, l’impresa incaricata di erigere le fondamenta, ha provocato in noi la seguente reazione: “Azz, ma Fabio Raucci non era quello del centro direzionale Vanvitelli, attenzionato diversi anni fa dalla DDA, dal pm Luigi Landolfi, che credette a lungo al fatto che in quei lavori, in quel progetto si annidassero gli interessi della criminalità organizzata, quelli del clan Belforte?”
RAUCCI, TARTAGLIONE PICCOLO E IL CASO CENTRO DIREZIONALE VANVITELLI
Sì, era proprio lui. Fabio Raucci, imputato in quel processo insieme ad altre persone, tra cui gli ingegneri del comune di Marcianise, Angelo Piccolo e Fulvio Tartaglione, quest’ultimo rientrato nei ranghi da allora, assumendo una posizione molto rigorosa rispetto ai permessi di costruire che gli è costata anche il posto, visto che dai tempi di Antonello Velardi sindaco e con la breve interruzione del commissario Michele Lastella, al tempo viceprefetto vicario, oggi prefetto di Pordenone, che lo volle al suo fianco, l’ingegnere Tartaglione è stato incredibilmente confinato alla ripartizione Cultura, con conseguente auto-inflizione da parte del comune di Marcianise di un danno erariale, sui cui motivi ci siamo soffermati spesso e sul quale ci dovrà essere qualcuno avente causa che, finalmente, lo sollevi dinanzi alla Procura regionale della corte dei Conti.
Fabio Raucci, con Tartaglione, Angelo Piccolo e gli altri imputati, non arrivarono mai ad ascoltare una sentenza a proprio carico. Erano diciassette i capi d’imputazione che li riguardavano, ma l’esclusione dell’aggravante camorristica di cui 416 bis comma 1 del codice penale (già articolo 7 della legge 203/1991), riconosciuta dallo stesso pm Landolfi durante il processo, fece scattare il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione sui reati ascritti.
CORRISPONDENZA DI AMOROSI SENSI TRA FECONDO E RAUCCI
Fabio Raucci, dunque, non fu assolto e continuò giustamente a svolgere la sua professione. A Marcianise si è sempre detto che si trattava di un ingegnere vicinissimo alla scuderia di Filippo Fecondo che, oltre ad essere stato sindaco di Marcianise, ha svolto la sua professione di architetto sempre a contatto con strutture di potere pubbliche e private molto forti: interporto, con cui poi, ad un certo punto, litigò di brutto, diventandone avversario dopo esserne stato strenuo difensore, anche contro le posizioni dei suoi partiti di riferimento (prima i DS, poi il PD); l’ASI Caserta, di cui è stato vicepresidente alla corte di cotanto presidente, Piero Cappello.
Dall’ASI alla famiglia imprenditoriale dei Canciello il passo è breve. Con l’architetto Fecondo che diventa, per committenza privata di Ferdinando Canciello, il progettista di riferimento dell’operazione, abortita (o solo temporaneamente), dei 200 mila metri quadrati di aree agricole trasformate incredibilmente in aree produttive proprio in questi giorni di qualche anno fa, dall’allora pensionando viceprefetto, nonché commissario di Carinaro, ovvero Luigi Palmieri.
Un professionista, Fecondo, con i piedi ben saldati a terra e una prevalenza dei propri pensieri orientata agli affari, verso cui, forse, la politica poteva svolgere una funzione gregaria, complementare.
Quando l’altro giorno abbiamo chiesto un po’ in giro di Raucci e dello stato delle sue relazioni con Fecondo, qualche altro professionista dello stesso settore ci ha detto che questo rapporto stretto non c’era più.
Nel nostro articolo sul Big e su Toraldo siamo stati abbastanza prudenti, visto che la fonte ci sembrava consistente. Ma siccome le fonti sono buone quando uno comincia ad occuparsi di una storia, ma diventano man mano meno importanti, meno dirimenti per la risoluzione di interrogativi e problemi di ordine cognitivo nel momento in cui ci si immerge in una conoscenza più profonda, quella documentale, oggi possiamo dire che la nostra fonte non era evidentemente molto informata.
A NOI GLI OCCHI, PLEASE
Concentratevi un attimo: l’ingegnere Fabio Raucci, direttore dei lavori, progettista e tuttologo del cantiere Big-Toraldo dove la società Egizya è la principale impresa esecutrice in cantiere.
La società Egizya è finita sotto la lente della DDA perché, come scritto sabato, considerata un’impresa controllata dal clan Belforte, precisamente da Camillo Belforte, figlio di Domenico Mimì Belforte, detto Mazzacane, capo incontrastato di una cosca malavitosa, assieme al fratello Salvatore, protagonista di una delle guerre di camorra più sanguinose che la storia della nostra regione ricordi, ovvero quella contro il clan della famiglia Piccolo, i Quaqquaroni, che seminò centinaia e centinaia di morti.
Quella della DDA non fu solo una percezione, una sensazione, la Egizya subì il sequestro di un immobile al centro di Caserta, passato di mano attraverso Carlo Sparaco, imprenditore di San Nicola la Strada, ex presidente della Casertana, che i Belforte consideravano un loro socio.
Un socio moroso, un socio che meritava una lezione, dalla quale si salvò cedendo all’Egizya quell’immobile che lui aveva comprato con l’intenzione di utilizzarlo come una sorta di ristoro rispetto alle richieste dei Mazzacane, di Maria Buttone che ne aveva parlato a suo marito Domenico, in una conversazione intercettata nel carcere di Sassari.
In quelle vicende giudiziarie fu anche coinvolto l’amministratore unico di Egizya, quel Biagio Francescone, arrestato e considerato dal pm Landolfi della DDA un prestanome di Camillo Belforte.
Ora, non abbiamo rinvenuto dati conclusivi su quell’inchiesta ma, se Francescone guida ancora quell’azienda, vuol dire che è stato assolto. I nostri lettori più attenti sanno bene che noi abbiamo sempre distinto le questioni giudiziarie, gli esiti processuali, che hanno bisogno di possenti prove per portare alla condanna degli imputati, da quegli elementi, sicuramente più leggeri ma evidentemente sintomatici che riconducono l’autorità amministrativa, ossia le prefetture, a interdire un’azienda a causa di infiltrazioni camorristiche.
EGIZYA DITTA IN ODORE DI CAMORRA: LA NOSTRA IMPOSTAZIONE
Ci ha contattati stamattina Cristian Aiello, l’avvocato difensore del signor Francescone. Voleva parlarci. La conversazione era ed è, a nostro avviso, superflua. Per cui, ci siamo scambiati delle idee attraverso lo strumento degli audio messaggi Whatsapp.
Per non farvela molto lunga, abbiamo detto all’ottimo avvocato Aiello che CasertaCe è pronta a cospargersi la testa di cenere nel momento in cui la Egizya proporrà alla prefettura di Caserta la richiesta di iscrizione nella white list, ovvero nell’elenco di ditte non colpite da infiltrazione mafiosa, ottenendo successivamente l’inserimento nella stessa.
In caso contrario, il punto di vista del pm Luigi Landolfi – il cui nome è impredicato tra quelli dei magistrati che potrebbero arrivare a Santa Maria Capua Vetere per riempire la casella di procuratore aggiunto- varrà moltissimo. Molto di più di quanto possa valere il rispettabile punto di vista di un avvocato di parte, al quale promettiamo che nelle prossime settimane recupereremo tutti i documenti dell’inchiesta DDA su Egzya, per capire quale siano state le ragioni dell’assoluzione e se queste ragioni abbiano reso adamantine le posizioni di Francescone ed Egizya come operatore economico che, chissà perché, non ha mai presentato domanda di ammissione alla white list.
Crediamo di aver così chiarito la nostra impostazione e il motivo che ci fa dire ancora oggi che Egizya è una società in odore di camorra.
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