Ecco le vere novità dopo la sentenza della Cassazione. L’analisi di Gianfranco Polillo
A sinistra, gran parte della grande stampa ha vissuto il comunicato della Cassazione sui migranti, come una sorta di derby. Hanno vinto i giudici o il Governo? È stata più brava Giorgia Meloni, che continua ad insistere sull’Albania, per “deportarvi” gli onesti migranti o quei magistrati, tutto cuore e comprensione, che si battono nel nome di un’umanità sofferente? Il testo del comunicato, per la verità, non aiuta. Il lessico è quello delle comuni sentenze, citazioni in latino comprese, che mal si presta alla comprensione dei comuni mortali. Sempre che alcuni di quei giornalisti possano essere annoverati in questa categoria.
Nel merito i supremi giudici mettono una pietra sul passato. Di fatto avallano la procedura finora seguita che, come si ricorderà, aveva garantito il viaggio di andata e ritorno, nello stesso giorno, ad un pugno di profughi tra le due sponde dell’Adriatico. Era difficile fare diversamente. Le procedure antecedenti il varo del decreto legge n. 158 del 2024, che includeva anche il Bangladesh e l’Egitto nei Paesi sicuri, li ritenevano tali solo in parte. Non erano menzionati tra i “buoni”, ma “attenzionati” (termine orrendo) dalla Farnesina e dal Ministero dell’Interno.
Nelle relative schede – paese, documenti custoditi gelosamente dalle rispettive burocrazie ministeriali, a proposito del Bangladesh, si poteva leggere, nella sezione “‘Eventuali eccezioni per parti del territorio o per categorie di persone’: i casi in cui si riscontra un effettivo bisogno di protezione internazionale sono principalmente legati all’appartenenza alla comunità LGBTQI+, alle vittime di violenza di genere, incluse le mutilazioni genitali femminili, alle minoranze etniche e religiose, alle persone accusate di crimini di natura politica e ai condannati a morte”. In più i cosiddetti “sfollati climatici”, vittime delle catastrofi naturali. Per il resto invece si rientrava nella normalità di un Paese arretrato.
Nel caso dell’Egitto, invece, il giudizio era ben più stringato “alla luce di quanto indicato e con riguardo alle disposizioni dell’art. 2-bis del d. lgs. n. 25/2018, si ritiene l’Egitto un Paese di origine sicuro. Si ritengono tuttavia necessarie eccezioni per gli oppositori politici, i dissidenti, gli attivisti e i difensori dei diritti umani o per coloro che possano ricadere nei motivi di persecuzione di cui all’articolo 8, comma 1, lettera e) del Decreto Legislativo 19 novembre 2007, n. 251.” Vale a dire gli oppositori politici al regime.
Vista la situazione di partenza, i giudici – come ricorda la Cassazione – avevano ritenuto che non si potesse applicare nei confronti dei migranti raccolti in mare, “il regime differenziato di esame delle domande di asilo per gli stranieri che provengono da paesi di origine designati come sicuri.” Regime molto più rapido al fine di pervenire alla decisione finale: l’accoglimento della richiesta d’asilo ovvero il respingimento, con conseguente rimpatrio coatto.
Ovvia la spiegazione: mentre in quel caso tutto si sarebbe dovuto concludere nel breve termine di 30 giorni, nel regime ordinario le indagini avrebbero richiesto un tempo maggiore. Si trattava cioè di stabilire se le condizioni individuali del migrante fossero tali da configurare un pericolo reale, tale da giustificare l’accoglimento della domanda d’asilo o se quest’ultima potesse essere tranquillamente respinta. Per essere più chiari: nel caso del Bangladesh il migrante doveva dimostrare di appartenere alla comunità LGBTQI+ e come tale essere perseguitato. In Egitto di essere un oppositore effettivo del regime. E via dicendo.
Naturalmente potevano sussistere anche altri motivi di discriminazione violenta, non contenuti nella declaratoria riportata, che il Giudice avrebbe comunque potuto valutare. Ma con un evidente aggravio dei tempi e della procedura, considerato che il Tribunale avrebbe dovuto compiere una vera e propria indagine, (si pensi al caso Regeni) con tutte le difficoltà legate al fatto di dover operare in un ambiente, il Paese d’origine del migrante, tutt’altro che favorevole.
La Cassazione ha confermato che il giudice ha ancora queste prerogative. “Inoltre, – ha sancito – a garanzia dell’effettività del ricorso e della tutela, il giudice conserva l’istituzionale potere cognitorio, ispirato al principio di cooperazione istruttoria, là dove il richiedente abbia adeguatamente dedotto l’insicurezza nelle circostanze specifiche in cui egli si trova. In quest’ultimo caso, pertanto, la valutazione governativa circa la natura sicura del paese di origine non è decisiva, sicché non si pone un problema di disapplicazione del decreto ministeriale.” Il caso concreto, in altre parole, fa aggio su quello “presunto”.
Rispetto a coloro che utilizzavano, in modo improprio, la leva giurisdizionale, il chiarimento è importante. Per ritornare all’esempio precedente, non vi potranno più essere contrordini. Né la navette dei migranti tra l’Italia e l’Albania. Per definizione la loro destinazione verso Shengjin e Gjader non potrà essere modificata da un’ordinanza collettiva, ma solo in base alle risultanze di ogni singolo ricorso, nel quale siano state accertate le condizioni effettive, e non solo teoriche, che porteranno al riconoscimento dello stato di rifugiato.
Nel frattempo dovranno rimanere in Albania, finché non sarà completato l’iter (articolo 4 comma 3 del Trattato). Nel caso precedente, il loro rimpatrio immediato, infatti, era stato determinato dal fatto che i giudici romani avevano escluso che si potesse ricorrere alla “procedura di frontiera” (art.7 del decreto legge 20/2023) in quanto quest’ultima presupponeva la provenienza da un Paese classificato come “sicuro”. Ed escludeva, al tempo stesso, ch’essi potessero essere autorizzati a entrare nel territorio italiano. Il venir meno del presupposto iniziale (provenienza da un Paese sicuro) aveva craccato l’intera procedura.
Che rimarrà ora? Si è molto ironizzato sulla scarsa affluenza di immigrati e sui costi sostenuti per realizzare le relative strutture. Magari fosse così! Nel qual caso quegli investimenti si sarebbero trasformati in un talismano in grado di far crollare il flusso dell’immigrazione clandestina o almeno dei relativi tentativi. In caso contrario, invece, vi sarà tempo per fare il conto effettivo costi. – benefici. Ed allora chi ha parlato con tanta leggerezza sarà inevitabilmente sbugiardato.
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