La Colombia è una fonte inesauribile di soldati. Il Paese con oltre 50 milioni di abitanti e con una lunga storia di conflitti interni, oggi si trova al centro di un fenomeno globale tanto inquietante quanto significativo: l’esportazione di soldati mercenari. Nell’ultimo decennio, in Colombia si è riscontrata una notevole crescita nella richiesta dei cittadini di essere partecipi nei conflitti armati in tutto il mondo, diventando uno dei principali fornitori di manodopera militare.
Un interesse per il mercato mercenario e della sicurezza ben giustificato. Possiede uno degli eserciti più grandi e meglio addestrati al mondo. Soldati addestrati secondo la dottrina della contro-insurrezione per 60 anni, dove, effettivamente, hanno combattuto. Questo è il motivo per cui sono così ricercati dagli eserciti stranieri e dalle società di sicurezza private. Dal 2000, la presenza di mercenari colombiani è stata segnalata in decine di paesi, tra cui Russia, Yemen, Libia, Somalia e Afghanistan.
Scosso da anni di conflitto armato interno il Paese conta oggi 285mila soldati, uomini esperti, abituati ad operare in un ambiente ostile. Ammaestrati dalla guerra civile e dal confronto con il narcotraffico, molti ex militari colombiani si sono trasformati in una risorsa umana per conflitti esteri, assumendo ruoli che spaziano dall’addestramento di trafficanti di droga in Messico alla partecipazione ad assassinii politici.
Uno degli episodi più rappresentativi di questo fenomeno è l’assassinio di Jovenel Moïse, Presidente di Haiti, (luglio 2021). Al centro dell’operazione vi erano venti ex militari colombiani, reclutati dalla società CTU Security, guidata dal venezuelano Antonio Intriago con base a Miami. Questi uomini, inizialmente ingaggiati per svolgere “funzioni di sicurezza” nella Repubblica Dominicana, sono stati coinvolti in un piano che, secondo le indagini, mirava a un colpo di stato.
Un piano risoltosi tragicamente, con l’uccisione di Moïse, la morte di tre mercenari e l’arresto degli altri. Evento che ha portato anche all’arresto di Emmanuel Sanon, medico haitiano e pastore evangelico, ritenuto una delle menti dietro il complotto, insieme a uomini d’affari ed ex funzionari di vari paesi.
Le radici di un fenomeno complesso
Le origini dell’esportazione di soldati colombiani si trovano in una storia segnata da decenni di conflitti interni. La violenza perpetrata da gruppi armati illegali, guerriglieri e narcotrafficanti ha plasmato una società polarizzata, in cui l’esperienza militare è diventata quasi una norma per molti cittadini. L’esercito colombiano, uno dei più grandi e addestrati della regione, ha formato generazioni di soldati che, una volta congedati, si trovano spesso senza prospettive lavorative adeguate.
Oggi presenti in varie regioni del mondo, dal Medio Oriente all’Africa, fino ad alcune parti dell’America Latina. Molti di loro vengono reclutati da società private di sicurezza e governi, che li impiegano per una vasta gamma di missioni: protezione di infrastrutture strategiche, addestramento delle forze locali, e persino partecipazione diretta a operazioni militari.
In Medio Oriente, ad esempio, sono stati impiegati in ruoli chiave in Paesi come gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, spesso come parte di nuclei privati utilizzati per operazioni di sicurezza in Yemen. Recentemente, in Africa, circa 300 assoldati sono stati coinvolti nel conflitto in Sudan, schierati al fianco delle Forze di Supporto Rapido (RSF).
La loro presenza è stata documentata anche in Libia, Somalia e Afghanistan, dimostrando l’ampiezza di questo mercato in espansione. Ciò solleva una serie di interrogativi sull’etica e la legalità di queste attività, nonché sull’impatto che hanno sulle dinamiche internazionali dei conflitti armati.
Tale contesto socioeconomico ha spinto molti colombiani a cercare opportunità all’estero, trasformando la figura del mercenario in una via percorribile per migliorare la propria condizione di vita. Le competenze militari accumulate durante anni di servizio trovano applicazione nelle zone di conflitto globale, dove la domanda di professionisti della sicurezza continua a crescere.
Una parte fondamentale di questa realtà è la volontà di distanziarsi dalla classificazione di “terroristi” che spesso accompagna i colombiani nella narrativa internazionale. I mercenari cercano, in sostanza, di dimostrare che il loro ruolo è quello di offrire servizi di sicurezza e di non partecipare ad atti di violenza indiscriminata. In questo senso, molti sostengono che il loro contributo sia necessario in un mondo in cui i conflitti sono sempre più complessi e sfaccettati.
Ciononostante, l’ascesa del Paese sudamericano come esportatore di mercenari non è esente da critiche. Esperti di diritti umani e analisti politici avvertono dei rischi di questo trend. Man mano che i colombiani vengono implicati in conflitti esteri, sorgono preoccupazioni sulla possibilità che possano essere complici in situazioni che contraddicono i principi umanitari o in cui il confine tra difensore e aggressore diventa labile.
Regolamentazione mancante
Come è ben noto la normativa internazionale sui soldati è debole. La Convenzione delle Nazioni Unite del 1989, che proibisce il reclutamento, l’uso e il finanziamento di mercenari, è stata ratificata da pochi Paesi e non copre adeguatamente il settore privato. Questa carenza consente l’impiego di soldati in un contesto legale ambiguo, lasciando ampio margine per abusi.
Nel caso colombiano, la mancanza di regolamentazione interna sul controllo delle attività militari all’estero contribuisce al perpetuarsi del fenomeno. Il governo si trova in una posizione difficile, bilanciando tra il riconoscimento del diritto individuale al lavoro e le responsabilità internazionali di evitare la partecipazione a conflitti. La presenza di militari colombiani in Yemen e Sudan, paesi colpiti da gravi crisi umanitarie, evidenzia i rischi di violazioni dei diritti umani e il potenziale coinvolgimento in crimini di guerra.
Nonostante i tentativi di legittimazione, l’esportazione di soldati colombiani non è priva di critiche. Organizzazioni per i diritti umani e analisti politici avvertono che l’impiego di ex militari in conflitti esteri potrebbe contribuire a dinamiche di guerra che violano i principi umanitari internazionali.
Un esempio significativo è il coinvolgimento di mercenari colombiani in Yemen, un conflitto che ha causato una delle peggiori crisi umanitarie del nostro tempo. In simili scenari, il confine tra difensore e aggressore diventa labile, e la partecipazione a operazioni problematiche rischia di danneggiare ulteriormente l’immagine del Paese.
Un altro aspetto preoccupante è la mancanza di regolamentazione internazionale per il settore dei mercenari. Mentre le società private di sicurezza operano in un contesto legale ambiguo, i governi che assumono queste forze spesso evitano responsabilità dirette per le loro azioni. Questo vuoto normativo complica ulteriormente il dibattito sull’etica e la legalità dell’impiego di mercenari.
La crescente esportazione di militari colombiani riflette anche cambiamenti più ampi nelle dinamiche globali. In un mondo caratterizzato da conflitti sempre più complessi, la sicurezza è diventata una merce preziosa. La globalizzazione e l’insicurezza economica hanno ridefinito cosa significhi essere un combattente, trasformando figure come gli ex militari colombiani in attori chiave di un mercato transnazionale della sicurezza.
Questo fenomeno solleva questioni profonde sulla natura dei conflitti moderni e sul ruolo degli individui in essi. Se da un lato offre opportunità economiche per chi altrimenti rimarrebbe escluso dal mercato del lavoro, dall’altro mette in discussione i principi etici e umanitari che dovrebbero guidare la partecipazione ai conflitti.
Verso un futuro incerto
La storia dei mercenari colombiani è un esempio di come le pressioni socioeconomiche e le realtà geopolitiche possano trasformare un Paese e i suoi cittadini. Mentre il Paese continua a essere uno dei principali fornitori di manodopera militare privata, il dibattito sul futuro di questa tendenza è appena iniziato.
La comunità internazionale dovrà affrontare una serie di sfide per regolare il settore, garantendo che i principi umanitari non vengano sacrificati sull’altare della convenienza economica. Allo stesso tempo, è fondamentale che la Colombia, come Nazione, si interroghi su come questa tendenza incide sulla sua identità e sul suo ruolo nel panorama globale.
L’ascesa del Paese come esportatore di soldati rappresenta una delle trasformazioni più intriganti e dibattuta nella sua recente storia. Tra opportunità economiche e dilemmi etici, questo fenomeno offre uno specchio delle complessità del mondo moderno, in cui i confini tra sicurezza, guerra e mercato diventano sempre più sfumati. La strada da percorrere per affrontare queste sfide è lunga e tortuosa.
Tuttavia, ciò che è certo è che il ruolo della Colombia nella sicurezza globale continuerà a evolversi, sollevando domande fondamentali sull’equilibrio tra necessità economiche, valori etici e responsabilità internazionale.
Felicia Bruscino
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