Dagli Houston Rockets a Palazzo Taverna, Tilman Fertitta ambasciatore di Trump a Roma

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È arrivato, l’ambasciatore. Anzi, no: arriverà forse a fine gennaio, ed è quello nominato da Donald Trump destinato all’ambasciata di via Veneto, palazzo della Regina madre (finché in Italia ci fu un re figlio): è un uomo forte e massiccio nel pieno della carriera con caratteristiche da ambasciatore che non corrispondono ai protocolli europei.

È un uomo d’affari, non sa di diplomazia perché ha iniziato la sua carriera come figlio di siciliani sgusciando gamberetti per il ristorante del padre e grande amico dell’astronauta e senatore Mark Kelly. Si chiama Tilman Fertitta: la “a” finale certifica che è di origini italiane e del Sud. Trump si è congratulato con lui così: “È un affermato uomo d’affari che ha fondato e costruito una delle principali società di intrattenimento e immobiliari del nostro, paese dando lavoro a più di 50.000 americani. Tilman ha una lunga storia di uomo che non dimentica la società”. Questo dettaglio non è affatto un dettaglio. La corrente di pensiero repubblicana a cui Donald Trump e Fertitta appartengono è quella del compassionate capitalism: il capitalismo con un cuore, che mentre fa profitto investe in donazioni a sostegno dei settori deboli.

Tutti gli imprenditori americani moderni che partendo da zero sono arrivati a fortune stratosferiche hanno praticato il compassionate capitalism, che ha il vantaggio di mettere al riparo dalle tasse una buona fetta del capitale. Questo è un punto sul quale noi italiani stentiamo un po’ a capire: Trump manda a Roma un amico suo miliardario per ricompensarlo dei i soldi che quello ha investito nella sua elezione. Il che è vero perché Fertitta, come tutti i trumpiani straricchi, ha messo il portafogli a disposizione del leader. Ma Trump lo ha scelto perché ha caratteristiche “da italiano” che, secondo lui possono aiutare a capirsi – cosa opinabile ma possibile. Kamala Harris ha speso per le elezioni molto più di Trump e si trova straricca dopo le generose donazioni che Biden le ha procurato.

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Le nomine che sta annunciando Trump sono per ora soltanto proposte al Congresso: nomi che lo stesso Congresso metterà sotto l’esame delle commissioni per verificare la qualità necessaria per l’incarico. Fertitta sarà probabilmente promosso a pieni voti perché risponde ad una prassi consolidata di cui l’elemento rappresentato dal cognome italiano non è l’ultimo: un nome italiano in indica il livello di considerazione che la nuova Casa Bianca intende garantire nei rapporti fra Italia e Stati Uniti dopo il rafforzamento del legame con il governo Meloni. Fertitta è stato scelto perché incarna l’uomo pratico destinato a sviluppare la relazione con Meloni, ritenuta all’esterno un politico inconsueto.

Del probabile prossimo ambasciatore sappiamo ancora poco, puntando sulle caratteristiche della ricchezza e dell’amicizia con Trump. È un costruttore di ricchezza non ideologico, padrone di hotel, ristoranti, casinò, presidente amministratore delegato di Ladry’s 600 che guida il business delle danze e dei giochi in ben 35 stati americani, oltre che nel distretto di Columbia. Come Trump ha anche avuto un ruolo di star nel reality show Billion Dollar Buyer su CNBC. Come ogni grande grande industriale ha finanziato democratici e repubblicani, sia i Clinton che i Bush, ma anche Joe Biden e ovviamente Donald Trump che ne fa il suo ambasciatore presso Giorgia Meloni e questo è un dato di fatto.

Secondo il manuale del buon miliardario che fabbrica prosperità e capitalista intelligente, non sarebbe buona politica schierarsi per partito preso da una parte o dall’altra, con i Dems o con i Maga, se non durante il mattatoio elettorale in cui non si fanno prigionieri. Questo è uno degli inimitabili segreti della democrazia americana: la brutalità con cui i candidati tentano di eliminarsi perché il momento della resa dei conti è quello che risponde all’aureo detto “when the going gets tough, the tough get going”: quando si gioca duro, solo allora entrano in campo i duri. Da noi il concetto è opposto: si simula che il bello della democrazia sia l’unità, quando invece è la chiarezza e la franchezza della divisione.

Fertitta, 67 anni, texano di Sicilia, dovrà passare sotto le forche caudine del Congresso dove sarà “grilled”, grigliato, prima di vedersi concedere le chiavi di Palazzo Taverna che è il cuore della Roma americana e dei rapporti fra Washington e Palazzo Chigi. Non appena il Congresso – dopo l’entrata trionfale del nuovo presidente nella bianca magione di Pennsylvania Avenue – gli avrà concesso le preziose chiavi di palazzo Taverna, questo texano tra i più ricchi e laboriosi del mondo, patron e padrone degli Houston Rockets, cercherà di tessere una trama che si raccordi a quella dell’America della transizione, non ben definita ma sostenuta da molte speranze. L’ultimo ambasciatore americano di cognome italiano prima di Fertitta è stato Ronald Spogli, durante la presidenza W. Bush e che lasciò l’ambasciata di via Veneto nel 2009 totalmente frustrato dalla politica estera italiana perché filo putiniana.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.

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