Europa in ritardo sulla crescita, ma si può colmare il gap con gli Usa sfruttando innovazione e trucchi delle Big Tech

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Dal 2019 al 2023, la Ue è cresciuta meno del 4%, mentre gli Usa oltre il 9%. Per colmare il divario, l’Europa deve investire in innovazione e digitalizzazione, con aiuti di Stato mirati a stimolare produttività e competitività

Nei 4 anni da fine 2019 a fine 2023, l’Unione europea è cresciuta di meno del 4%. Gli Stati Uniti di più del 9%. Per capire il perché di questo dato di fatto, occorre scendere sotto il livello del Pil per vedere le differenze nelle radici della crescita: la prima differenza è che la crescita in Ue è dovuta a nuovi posti di lavoro, non alla produttività del lavoro, che è cresciuta dello 0,6%, mentre negli Stati Uniti del 6% nei 4 anni. Cioè, noi stiamo creando posti di lavoro a bassa produttività. In Italia, per esempio, i soldi del Superbonus varato dal governo Conte2 sono andati alle costruzioni, settore in fondo alla graduatoria della produttività, insieme all’agricoltura. La seconda differenza è che la ripresa nella Ue è stata guidata dal manifatturiero, mentre negli Stati Uniti dai servizi informatici e dai servizi per le imprese, cioè dalle superstar della produttività, le Big Tech dei servizi (Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet, Meta…).

L’innovazione come chiave per ridurre il gap di produttività

Dunque, se vogliamo ridurre il gap di produttività con gli Stati Uniti, dobbiamo incentivare le imprese competitive nei servizi informatici e per le imprese. Il peso del settore manifatturiero in Europa è del 25% del Pil totale (in Italia del 18%) contro un peso dei servizi del 70%. Il basso aumento della produttività nel settore manifatturiero rispecchia un settore maturo che fatica a innovare prodotti e processi produttivi. Durante la transizione energetica, la politica industriale, di cui parleremo sotto, deve sostenere settori importanti come l’automotive, ma rifuggendo dall’accanimento terapeutico che sposta solo il problema di qualche anno. E condizionando gli aiuti di Stato, cioè i soldi dei cittadini, all’innovazione del settore e alla riqualificazione dei lavoratori, in una prospettiva coordinata a livello europeo, che è l’unica che garantisce il successo.

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Gli aiuti di Stato nella Ue: un approccio necessariamente coordinato

Infatti, le buone intenzioni non bastano: lo spiega uno studio del Fmi appena pubblicato. Gli aiuti di Stato da parte dei paesi membri dell’Unione europea sono triplicati nell’ultimo decennio, passando dallo 0,5% del Pil nel 2012 a circa l’1,5% nel 2022, principalmente legati alle tecnologie verdi e all’efficienza energetica. Sussidi o incentivi fiscali possono aumentare l’innovazione, la produttività e i redditi, ma possono anche diventare una strategia perdente se scarsamente coordinati, in particolare in un’economia aperta come quella della Ue. Lo studio mostra i trade-off che riducono l’effetto complessivo sull’economia europea, come gli aiuti di Stato tedeschi ai produttori di apparecchiature elettriche e ottiche, che vanno a discapito del suo partner commerciale, la Francia.

Il rapporto del Fmi avverte che occorre un approccio centralizzato come quello del mercato unico e ricorda il caso esemplare di Airbus, che ha permesso all’Europa di avere la sua industria d’aviazione civile con un programma congiunto. Una storia di successo con una joint venture finanziata da Francia, Germania e Gran Bretagna. La supervisione della Commissione europea tramite la politica di concorrenza e di aiuti di Stato non è più adeguata nell’economia digitale. “Un organo decisionale centralizzato potrebbe semplificare le priorità e allocare meglio le risorse alle aree di reciproco vantaggio.”

Fondi di coesione per l’innovazione: l’Europa impari dalle Big Tech

Convogliare i fondi di coesione in un fondo per l’innovazione sembra la cosa giusta da fare. Ricordiamo che la dotazione finanziaria di Orizzonte Europa era pari a 95,5 miliardi di euro nei 6 anni 2014-20, meno della spesa in R&S della sola Microsoft negli stessi 6 anni di 99,8 miliardi di dollari. Da considerare insieme ai 84,9 miliardi di dollari di Apple, 77,7 miliardi di dollari di Google e 63,5 miliardi di dollari di Facebook. Le superstar dell’innovazione, ricerca e investimenti sono infatti le Big Tech, delle quali si parla per gli exploit di valore azionario, ma sono egualmente eccezionali per spese di capitale e di ricerca. L’anno scorso le Magnifiche 7 hanno reinvestito 419 miliardi di dollari in spese di capitale e R&S. Ciò di cui non si può accusare queste aziende è di massimizzare i profitti a breve termine a discapito degli investimenti, a differenza di Stellantis, di cui si parla in Italia in questi giorni. In questo caso, come per altri simili che si presenteranno, è essenziale condizionare ogni forma di aiuto a investimenti per ricerca e innovazione – come anche raccomandato dal Cnel al Parlamento – e corsi di riqualificazione per i lavoratori. Invece di incentivi all’acquisto che non servono senza l’infrastruttura di ricarica, ecc.

Incentivi intelligenti: come stimolare la crescita sostenibile senza sprechi

Condizione, l’abbiamo imparato con il Pnrr, significa che i soldi vengono dati al raggiungimento dell’obiettivo finale o in rate per gli obiettivi intermedi. Condizioni di un contratto che deve essere conosciuto da tutti i cittadini: non si deve ripetere il caso dei 6,5 miliardi dati dal governo Conte2 a Stellantis che non sappiamo come siano stati spesi.

Ricordiamoci infine che le imprese high-tech continuano ad innovare e accrescere la produttività, distanziando le imprese a bassa produttività. Queste, con la loro numerosità, abbassano la produttività del paese e pagano i più bassi salari. Se la diffusione dell’innovazione al resto dell’economia è bloccata, aumenta la polarizzazione economica e sociale. Dunque, dobbiamo diffondere l’innovazione alle piccole e medie imprese, riqualificare lavoratori e manager, digitalizzare la PA anche per favorire la digitalizzazione di base della popolazione.

Innovazione e IA: la ricetta per crescita, sostenibilità e competitività globale

L’innovazione aumenterà la produttività e la crescita della quale abbiamo bisogno per pagare i costi della transizione energetica, la nuova rivoluzione industriale guidata dall’IA e il rafforzamento della difesa. Ma anche per la sostenibilità del debito pubblico, che permetterà ai bilanci pubblici di integrare gli investimenti privati in questo sforzo. Non solo: buone prospettive di crescita sono parte essenziale della determinazione del rating del paese da parte delle agenzie di rating, ciò che riduce il costo degli investimenti anche per i privati.

Partire dalla digitalizzazione, inclusa l’Intelligenza Artificiale Generativa, permetterà la crescita malgrado una popolazione in età di lavoro che si restringe inesorabilmente in Europa, riducendo così la necessità dell’immigrazione per assicurare la crescita.

Da un approccio coordinato e centralizzato della politica industriale avremo un ultimo vantaggio: data la forte propensione all’export della Ue, siamo già indicati come possibili destinatari dell’aumento delle tariffe di Trump. Invece, con una politica industriale centralizzata e l’Unione dei Capitali, potremo usare “in casa” gli abbondanti risparmi europei – che oggi vanno a finanziare investimenti negli Stati Uniti – per gli investimenti che ci occorrono, prevenendo così aumenti delle tariffe da parte degli Stati Uniti.

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