Nella casa dei minori stranieri soli, con Ahmed. Che è tornato a sperare

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Alcuni momenti al centro che la Comunità Papa Giovanni XXIII ha aperto nel vecchio convento dell’Annunziata a Reggio Calabria. Da qui sono passati 200 minori negli ultimi dieci anni. La loro età media va dai 9 ai 14 anni: bambini che hanno conosciuto violenza e dolore, senza avere accanto i genitori nei loro lunghi viaggi sulle rotte migratorie – .

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È piena di speranza e sogni da realizzare, la casa in cui si curano le ferite e i traumi interiori dei bambini soli, schiavi dei trafficanti. Bambini, perché la loro età media va dai 9 ai 14 anni: bambini che hanno conosciuto violenza e dolore, senza avere accanto i genitori nei lunghi viaggi sulle rotte che da Corno d’Africa, Sahel o Afghanistan o dalle baraccopoli egiziane portano alle coste italiane. E che qui rinascono. In 10 anni, dal centro che la Comunità Papa Giovanni XXIII ha aperto nel vecchio convento dell’Annunziata a Reggio Calabria, sono passati 200 minori stranieri non accompagnati. Anche la memoria delle mamme e dei bambini che non ce l’hanno fatta ha costruito l’identità della comunità. Come le 45 salme sbarcate il Corpus domini del 2016 dalla nave Vega della Marina militare. Come quella mamma che ha fatto in tempo, in mare, a mettere la figlia neonata nelle mani di un soccorritore, prima di annegare. La comunità che gestisce la casa, guidata da Giovanni Fortugno, prese parte a quella giornata di dolore e anche da lì si è rafforzata la convinzione di accompagnare soprattutto i più piccoli, i più fragili, facendo loro ritrovare la famiglia che hanno lasciato per cercare di costruirsi un futuro in Europa.

Oggi l’Annunziata è una sfida vinta dalla Papa Giovanni che cerca subito di fare aprire questi bambini con gli operatori, si mette in contatto con i loro familiari, manda i ragazzi nelle scuole, collabora con le autorità cittadine e la giustizia minorile, dando a chi arriva dal mare regole da rispettare, diritti e doveri. Una casa che accoglie nel rispetto delle leggi sul modello di amore familiare e carità profeticamente immaginato da don Benzi almeno mezzo secolo fa per guarire ferite interiori che rischiano di lacerarli per sempre. Un modello che verrà presentato alla Conferenza Stato Regioni con la proposta di replicarlo. Ogni anno spariscono molti minori stranieri non accompagnati in Italia, conferma l’Unhcr, in media uno su sei. Fuggono incantati da trafficanti che sfruttano soprattutto gli under 14 in vari circuiti. Questa casa fa eccezione, anche se non è accreditata nel circuito nazionale, ma nel sistema di welfare regionale calabrese. Si è specializzata nell’accogliere 16 persone alla volta che possono restare fino al compimento della maggiore età seguendo percorsi scolastici. Diversi si sono diplomati e lavorano.

«Molti arrivati qui hanno meno di 16 anni, la media è da 9 a 13. E a ognuno diamo la possibilità di realizzare il sogno che lo ha portato in Italia» spiega Fortugno. All’Annunziata si ascoltano storie che svelano cosa passano i piccoli viaggiatori della speranza sbarcati soli sulle nostre coste. Storie che neanche l’odissea del film “Io Capitano”. Come quella di Ahmed, nome di fantasia, partito dalla dilaniata Somalia nel febbraio 2021 a soli 13 anni. Non è mai andato a scuola perché la sua zona è controllata dai jihadisti di Al-Shaabab che ammettono solo lo studio coranico. Il viaggio lungo la rotta dell’Africa orientale lo ha intrapreso assieme a un amico che conosceva un trafficante di origine somala. Prima li ha portati nella vicina Etiopia camminando due giorni a piedi e poi in pickup. Ci sono rimasti due mesi. Poi sono arrivati in Sudan per rimanere un altro mese e via Ciad sono giunti in Libia.
«Nel deserto – racconta Ahmed – non avevamo acqua e venivamo picchiati anche se scendevamo dal pick up. Ho visto morire di fame e di sete alcune ragazze».

Un momento di socialità nella struttura calabrese

Un momento di socialità nella struttura calabrese – .

Arriva nell’aprile 2021 nella città oasi di Cufra e lì viene rinchiuso in un magazzino con altre 100 persone, tra cui donne e bambini. Il somalo li aveva venduti a un altro trafficante. «Un posto lurido, infestato da pidocchi, scarafaggi e topi. Ci grattavamo tutti per la scabbia». Chi non paga un riscatto diventa schiavo, ma la famiglia di Ahmed è poverissima e perciò lui viene tenuto prigioniero due anni durante i quali viene picchiato e torturato tutti i giorni per indurre i genitori a pagare. Legato ai polsi con una corda a una trave viene lasciato penzolare, mentre lo torturano con scariche elettriche al collo, sui polsi e sulla schiena. Oppure lo picchiano con i calci dei fucili e tubi di gomma alla testa, alla faccia alla schiena. Dal magazzino infernale il ragazzo schiavo viene fatto uscire solo per andare a lavorare nei terreni di alcune persone. La paga la tiene il trafficante. «Dopo due anni, mi sono ammalato e mi hanno fatto uscire. Ero senza soldi. Alcune persone mi hanno aiutato a pagare il biglietto dell’autobus per Tripoli». Il trafficante che gestiva questo lager è il famigerato Abuselam, uno schiavista responsabile di decine di viaggi della morte. Eritreo, si sposta impunemente tra Svezia ed Emirati Arabi, dove attualmente risiede.

Arrivato a Tripoli, Ahmed riesce a chiamare finalmente la famiglia e incontra altri ragazzi somali con i quali vive un anno. «Facevo le pulizie alle stazioni degli autobus per mangiare. Ma volevo arrivare in Europa e mi sono rimesso in viaggio». Attraversa il deserto in sette giorni per arrivare in Tunisia assieme al suo amico. In tre mesi riesce a raccogliere i 600 dollari necessari per imbarcarsi da Sfax per l’Italia. A Lampedusa arriva il 4 aprile e da lì viene inserito all’Annunziata a Reggio. «Ci siamo subito accorti – spiega Giovanni Fortugno – che faceva fatica a masticare. Abbiamo visto i segni delle torture lungo il suo corpo. Chiunque dopo avere vissuto quegli orrori quelle violenze si sarebbe incattivito. Lui no, è un ragazzo buono e riesce a trasmettere dolcezza con il suo sguardo e l’espressione del suo viso. Stiamo completando una serie di esami clinici per capire se oltre ai traumi psicologici che porta dentro non ci siano danni fisici». Ahmed ha cominciato ad andare a scuola. Aveva paura di non essere all’altezza per i suoi continui mal di testa, eredità della Libia. Ora può provare a rinascere e perfino a realizzare i sui sogni, sapendo che non sarà mai più schiavo.

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