È l’altra faccia del gelo della produzione industriale, che su base annuale cala da 21 mesi consecutivi in tutti i settori a partire dall’automotive. Mentre il governo festeggia i sempre nuovi record degli occupati, le ore di cassa integrazione autorizzate dall’Inps continuano ad aumentare. Gli ultimi dati diffusi dall’istituto, aggiornati allo scorso settembre, parlano di 44,9 milioni di ore in un mese, contro i 37,8 milioni dello stesso mese dell’anno prima. “A incidere di più”, spiegava l’istituto di statistica nell’ultimo aggiornamento mensile, “sono stati i settori metalmeccanico, in particolare il settore auto e relativo indotto, e il settore tessile con alcuni grandi gruppi interessati da una riduzione della produzione e adeguamento alle dinamiche del mercato”. Subito dopo l’istituto alla cui guida si è insediato lo scorso aprile Gabriele Fava ha deciso di “rivedere il calendario delle pubblicazioni”: da ora in poi gli osservatori sulla cig diventeranno trimestrali, per cui le informazioni su ottobre e novembre saranno disponibili solo a gennaio. Scelta discutibile, per usare un eufemismo, quella di ridurre la trasparenza nel pieno di una pesante crisi della manifattura.
Tant’è. Tornando alle cifre messe a disposizione finora, a livello nazionale tra gennaio e settembre le ore di cig autorizzate sono salite del 20%, soprattutto per effetto di un’esplosione di quella ordinaria che totalizza 227 milioni di ore di cui 212 nell’industria. In nove mesi lo strumento che tutela i dipendenti da crisi aziendali dovute a eventi transitori o situazioni temporanee di mercato è stato autorizzato per soli 2 milioni di ore in meno rispetto a quelle concesse per l’intero 2023. A settembre anche la richiesta di attivare i fondi di solidarietà è salita del 122% anno su anno, dopo otto mesi in cui a livello cumulato il ricorso a quei sostegni al reddito riservati ai lavoratori non coperti dalla cassa ordinaria era sceso.
Cig a +25% nell’industria. La moda in sofferenza – La sola industria, tra cig ordinaria, straordinaria e in deroga, ha chiesto 318,2 milioni di ore totali, il 25% in più rispetto allo stesso periodo del 2023. Tra queste ben 152 milioni riguardano la meccanica, 26 milioni il comparto di pelli, cuoio e calzature, 22 milioni il tessile, 9,2 milioni l’abbigliamento. A fine ottobre il governo ha dovuto inserire in corsa in un decreto per velocizzare le opere del Pnrr degli “Interventi urgenti per fronteggiare la crisi occupazionale dei lavoratori dipendenti delle imprese del settore moda“. Con uno stanziamento di 64,6 milioni è stata autorizzata fino al 31 dicembre la richiesta di cig in deroga per sostenere il reddito dei dipendenti delle piccole aziende dell’abbigliamento, calzaturiero e conciario che abbiano finito la cassa ordinaria.
Cigo su del 200% in Valle d’Aosta – Da un’analisi per Regione realizzata dal fattoquotidiano.it sulle serie storiche Inps emerge un decollo delle richieste di cig ordinaria superiore al 200% in Valle d’Aosta, su numeri assoluti ovviamente contenuti (da 122mila a 383mila ore). Seguono Abruzzo con +115% (da 2,4 a 5,1 milioni di ore) e Toscana con +84,9% (da 8,3 a 15,4 milioni di ore), dove si sta facendo sentire pesantemente la crisi della filiera della pelle. Poi Piemonte con +73,6% (da 13,3 a 23,1 milioni di ore), Campania con +63,7% (da 8 a 13,1 milioni di euro), Veneto con +56,2% (da 29,2 a 45,7 milioni di ore) e Puglia con +53,6% (da 6 a 9,3 milioni di ore).
La cigs sale in Umbria e Emilia Romagna – La cig straordinaria, quella che segnala un allarme rosso perché viene attivata da imprese in difficoltà produttiva per cause non risolvibili nel breve periodo, a livello cumulato nei primi 9 mesi è calata dell’8,5%. Ma a livello regionale emergono situazioni preoccupanti: in Umbria le ore autorizzate fanno segnare un +87,5%, in Emilia Romagna un +76,3%, nelle Marche +54,8%. Quanto alla cig in deroga, a cui ricorre chi è escluso da cigo e cigs o ha esaurito le tutele ordinarie, tra gennaio e settembre il Veneto e la Sardegna hanno visto un boom di richieste autorizzate: rispettivamente da 866 a 130mila ore (+14940%) e da 176 a 19.980 (+11252%).
Poca visibilità sul tiraggio – Fin qui, appunto, le ore autorizzate. Meno chiaro il quadro su quelle effettivamente godute. La decisione dell’Inps di rinviare la pubblicazione dei nuovi dati a gennaio non consente di avere visibilità sul tiraggio delle varie misure, che nel report di ottobre era aggiornato solo fino a luglio. Fino a quel momento l’utilizzo effettivo delle ore autorizzate era pari al 23,9% per la cigo, 22,7% per la cigs, 50,9% per la cig in deroga. Nulla si sa su come sia andata dopo l’estate, quando per l’industria è arrivata una flessione del 3,6% con punte di -40% nell’auto e -7,6% per il tessile/abbigliamento.
Per i lavoratori perdita media di 4.485 euro – Per quanto il tiraggio sia ridotto rispetto alle ore autorizzate, le conseguenze per i lavoratori sono drammatiche. Considerando solo le ore totali di cig equivalenti a posti di lavoro con lavoratori a zero ore, un report del Centro Studi dell’associazione Lavoro&Welfare ha calcolato che tra gennaio e settembre si sono perse 45,2 milioni di giornate lavorative e i lavoratori in cig hanno visto diminuire il monte salari complessivo di oltre 1 miliardo di euro al netto delle tasse. In media ognuna delle persone che sono state a zero ore da gennaio a settembre ha subìto una riduzione del proprio reddito di oltre 4.485 euro al netto delle tasse.
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