Pfas in Veneto, le associazioni denunciano: processo quasi al termine ma ancora niente bonifica

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Il processo Miteni sulle responsabilità del maxi inquinamento da Pfas in Veneto arriva alle ultime battute. Nel frattempo Mamme No Pfas, Isde, Cillsa e la rete dei comitati denunciano ritardi su bonifica e monitoraggio sanitario

Il processo Miteni sulle responsabilità del maxi inquinamento da Pfas in Veneto arriva alle ultime battute. A febbraio inizieranno la requisitoria del pubblico ministero e le arringhe delle parti civili e delle difese. Nel frattempo Mamme No Pfas, Isde, Cillsa, Legambiente, Cgil Veneto, Medicina democratica e la rete dei comitati denunciano ritardi su bonifica e monitoraggio sanitario nell’area circostante lo stabilimento a Trissino, in provincia di Vicenza (La zona contaminata riguarda il triangolo tra questa provincia e quelle di Padova e Verona, in cui vivono circa 350mila persone). Le sostanze perfluoroalchiliche sono soprannominati inquinanti per sempre, e diversi di essi sono considerati potenziali cancerogeni, interferenti endocrini e legati a malattie cardiache e a infertilità. 

“Evitare prescrizione”

“Auspichiamo – scrive in una nota la rete – che il procedimento giudiziario si concluda in tempo utile per accertare e sanzionare le eventuali responsabilità, evitando di cadere nel rischio di prescrizione relativo ai diversi reati contestati. Ma al momento restano irrisolte alcune criticità che meritano risposta, dopo quasi 12 anni dalla scoperta della contaminazione da parte delle autorità pubbliche. Sono nodi da dipanare dato che la situazione della contaminazione è ben lontana dall’essere risolta e il silenzio rischia di avvolgere un disastro ambientale di portata epocale”.

Mancanza di trasparenza

Le associazioni rivolgono in particolare alcune domande ai diversi enti e organismi competenti. La prima rigurda la poca trasparenza circa lo stato della bonifica, sia per il terreno sia per la falda. “Nella recente audizione in commissione parlamentare è emersa l’esistenza di un ulteriore Tavolo di cui non si conosce né la composizione, né i contenuti discussi e tanto meno le priorità stabilite e i risultati conseguiti” scrivono le associazioni, “Vista la situazione del territorio, in cui il plume contaminante continua a fuoriuscire dal sito Miteni e con una popolazione già gravemente danneggiata, riteniamo grave questo modo di agire connotato da poca trasparenza e scarsissima informazione verso chi subisce i danni gravissimi di questo inquinamento. Perché non è dato sapere nulla dei lavori di questi Tavoli in cui si sta discutendo della bonifica, di chi vi partecipa e di quale sia l’oggetto di queste discussioni?”

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Ancora nessuna messa in sicurezza

Dalle informazioni a disposizione delle associazioni, la bonifica non è ancora iniziata e neppure la messa in sicurezza del sito ex Miteni è stata realizzata. “Abbiamo notizia di conferenze dei servizi, riunioni tecniche e ricorsi al Tar che allontanano nel tempo le soluzioni. Nel frattempo l’inquinamento continua inesorabilmente a scendere verso valle e a propagarsi, bioaccumulandosi in ambiente e negli organismi. Per quale motivo ad oggi non si ha notizia dell’avvio di un’indagine per omessa bonifica, che pur costituisce un reato gravemente punito dalla legge (Art. 452-terdecies c.p.)?” si chiedono le Mamme No Pfas e gli altri.

Le indagini epidemiologiche

Altra questione sollevata:  a che punto sono le indagini epidemiologiche e quali sono le ragioni per le quali allo studio di mortalità nella popolazione veneta, condotto dal Professor Annibale Biggeri, e ai suoi drammatici esiti in termini di eccessi di mortalità, non è stato dato adeguato riscontro e seguito in termini di misure conseguenti? “Perché non si aggiornano i dati epidemiologici dello studio sui lavoratori Miteni a 5 anni di distanza dalla ricerca Girardi-Merler per cercare risposte scientifiche agli impatti della contaminazione? – scrivono le associazioni – È una questione di costi o di volontà politica? L’Inail ha riconosciuto la malattia professionale ad alcuni ex lavoratori Miteni per la presenza di alti livelli di Pfas nel loro sangue. È fondamentale non sottostimare quanto sta avvenendo, come verificatosi in passato”.

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La mappa delle zone impattate

Visto il perdurare del rilascio di sostanze Pfas in falda, Isde e gli altri si chiedono perché la Regione Veneto non aggiorni la mappa delle zone impattate, andando a ricomprendere nuove aree toccate dalle dinamiche di falda e perché non vengano disposti campionamenti sui terreni per una definizione più precisa della portata dell’inquinamento chimico prodotto.

Il campionamento degli alimenti

“Data la situazione di base già compromessa del territorio, dei corsi d’acqua e della falda, è possibile conoscere se sono pronti gli esiti dei nuovi campionamenti degli alimenti anche in ragione delle normative europee più recenti, per evitare ulteriori fonti di esposizione e tutelare i consumatori e la popolazione?” scrivono le associazioni.

Il biomonitoraggio

Le associazioni si chiedoo se sarebbe utile e opportuno, “a discrezione dei medici curanti”, poter chiedere per pazienti vulnerabili o potenzialmente molto esposti il dosaggio dei Pfas nel sangue, soprattutto per il Pfoa e Pfos, dichiarati dallo Iarc rispettivamente “certamente cancerogeno” e “possibile cancerogeno”? Da quanto emerge dall’ultimo rapporto sulla sorveglianza sanitaria condotta nella Regione Veneto si evince che nelle due Ulss(8 Berica e 9 Scaligera) ad oggi, secondo i dati presentati, risultano sopra soglia per il Pfoa ben 16.222 individui. “Considerando che tale dato attiene al secondo round dei soggetti che hanno volontariamente preso parte al piano di sorveglianza, quali misure ulteriori di intervento si intendono prendere per affrontare questa emergenza sanitaria?” si chiedono Cillsa e le altre realtà. Intanto, alla fine di novembre è iniziato il biomonitoraggio degli abitanti residenti dei pressi del polo industriale di Spinetta Marengo, dove la ex Solvay produce Pfas.

Misure necessarie anche in agricoltura

“Dal momento che Arpav assiste la Sanità regionale nell’eseguire le analisi sui campioni che vengono raccolti per la tutela delle acque irrigue dei terreni agricoli, è possibile sapere se sono disponibili dati aggiornati al fine di implementare efficaci misure di prevenzione e limitare l’esposizione e la portata della contaminazione già in essere nonché ulteriori danni ad agricoltori e allevatori, anche a fronte delle recenti normative europee?” concludono le associazioni.

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