quanto spendiamo per celebrarlo a tavola, vincono i prodotti locali dal pandolce ai canestrelli

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Quanto spendiamo in questi giorni per celebrare le feste di Natale a tavola? Cosa compriamo e con chi trascorriamo queste giornate?

Secondo il consueto sondaggio sui consumi alimentari del Natale Fiesa Confesercenti-Ipsos, quest’anno tra cena della Vigilia e pranzo di Natale gli italiani hanno speso in media 126 euro a famiglia, per un totale di circa 3,5 miliardi di euro per festeggiare a tavola, a casa o al ristorante. E a vincere è la tradizione culinaria locale.

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Anche quest’anno “Natale con i tuoi”

Anche quest’anno si conferma la tradizione del ‘Natale con i tuoi’: il 59% delle famiglie inviterà ospiti per il 24 e il 58% per il 25, e più di otto italiani su dieci trascorreranno le festività a casa propria o di parenti, l’83% per la Vigilia e l’81% per il pranzo di Natale. C’è anche, però, un 8% che festeggerà a casa di amici, in entrambe le occasioni.

Saranno invece oltre 4,5 milioni le presenze al ristorante: 1,9 milioni per la sera della Vigilia, cui si aggiungono altri 2,6 milioni circa in occasione del pranzo del 25 dicembre, per una spesa complessiva intorno ai 500 milioni di euro. Per la giornata di Natale, si assiste ad una lieve riduzione della quota di chi festeggia in un ristorante o in un altro pubblico esercizio, quest’anno al 7% contro il 9% dello scorso anno. Resta stabile, invece, al 2% chi celebra in una location affittata per l’occasione.

Vincono i prodotti locali, soprattutto per i dolci

“Gli italiani non rinunciano alla buona tavola per festeggiare il Natale – commenta Daniele Erasmi, presidente di Fiesa Confesercenti, la federazione di categoria che rappresenta le imprese della distribuzione alimentari Confesercenti -. Si spenderà soprattutto per la cena della Vigilia, scegliendo menu di pesce; si punta però sui pesci di allevamento, con un abbassamento dello scontrino medio nonostante l’inflazione. Per quanto riguarda invece, i dolci, si assiste ormai all’affermazione dei prodotti locali più o meno in ogni territorio e comunque sui dolci classici della tradizione nazionale, preferibilmente artigianali”.

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Dunque si cerca sempre meno, invece, il prodotto ‘industriale’: “Complessivamente, però, si percepisce l’incertezza delle famiglie, che frena i consumi e taglia le vendite. A confermare le difficoltà delle famiglie, il fatto che gli acquisti sono guidati sempre di più da promozioni e sconti: si compra soprattutto ciò che è in offerta. Una caratteristica che prima era della sola grande distribuzione, ma che ormai si è diffusa in tutti i canali di vendita” conclude Erasmi.

Genova, il regno del pandolce (e non solo)

E parlando di dolci locali, a Genova non si può festeggiare il Natale senza l’immancabile pandolce della tradizione: questo tipico prodotto si trova nelle sue varianti alto e basso, ma poi ci sono anche ma poi ci sono anche i canestrelli, i gobeletti e chi più ne ha più ne metta. 

A proposito di pandolce, poche settimane fa si è concluso il campionato che elegge il miglior pandolce genovese basso: la competizione ha incoronato all’unanimità Serena Romina Brazzi come regina indiscussa di questo capolavoro di pasticceria senza tempo.

Il pandolce, tra l’altro, viene chiamato anche “pan du bambin“, ma forse tutti non sanno il perché: le risposte sono due. Primo perchè, essendo un dolce legato al Natale, sottolinea la nascita di Gesù che, appunto, era un bambino. Ma esiste anche un’altra teoria più interessante: l’antica tradizione, infatti, vuole che a portare in tavola il pandolce il giorno di Natale debba essere il più giovane della famiglia, il “bambin”, appunto. Sempre per seguire la tradizione, il pandolce nel momento in cui viene portato in tavola deve essere ornato con un rametto d’alloro, simbolo di fortuna e benessere. 

Il più giovane della famiglia, una volta portato il dolce, deve consegnarlo al più anziano che lo taglia e lo distribuisce, stando ben attento a conservare una fetta per “il primo povero che suona alla porta” e una per il giorno di San Biagio, il 3 febbraio.

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