Il gioco è facile da capire. Si tratta di portare lo scontro sulla riforma della giustizia dentro al Csm. Accadrà a palazzo Bachelet il prossimo 8 gennaio, quando al plenum verranno discusse due proposte di parere sulla separazione delle carriere: una è nettamente contraria, l’altra decisamente favorevole. La prima ha il sostegno di tutti i togati, la seconda (per ora) ha in calce la firma del solo Felice Giuffrè, consigliere laico scelto da Fratelli d’Italia.
E COSÌ, per il semplice fatto che verranno discussi due documenti contrapposti, si potrà parlare di «spaccatura» in seno all’organo di autogoverno della magistratura italiana, che in realtà negli ultimi mesi sta dando prova di compattezza, perché tutte le correnti hanno espresso forti critiche verso l’idea di separare i percorsi dei requirenti da quelli dei giudicanti, con tanto di creazione di due Csm differenziati per composizione e funzioni e istituzione di un’alta corte per dirimere le faccende disciplinari. Prova ne sia, appunto, che la proposta di parere contrario in arrivo al plenum vede tra i suoi relatori esponenti di tutte le tendenze: Antonello Cosentino (Area), Roberto D’Auria (Unicost), Roberto Fontana (indipendente vicino a Magistratura democratica) e Eligio Paolini (Magistratura indipendente), oltre al laico del Pd Roberto Romboli. Gli argomenti sono quelli di cui già si parla da tempo: la separazione non contribuirebbe in alcun modo a risolvere i problemi della giustizia italiana, anzi potrebbe diventare un viatico per porre i pm sotto il controllo dell’esecutivo, senza considerare che i passaggi di funzione sono ormai pochissimi e che risulta molto poco chiaro come gli effetti della riforma potrebbero abbattersi sulla composizione degli altri organi costituzionali, a partire dalla Consulta.
GIUFFRÈ, dal canto suo, fa della separazione delle carriere un fatto di applicazione della Costituzione, intervenendo su alcuni presunti «nodi irrisolti» del titolo IV. Ma non conta tanto il merito, quanto il fatto in sé di avanzare una proposta e in questo modo dividere, almeno un po’, il consiglio. Da vedere cosa uscirà fuori dal plenum, anche se già si vede, e neanche tanto sullo sfondo, un nuovo capitolo dello scontro tra togati e laici di destra. Si tratta di un copione già recitato più volte negli ultimi tempi sulle pratiche a tutela aperte per i giudici di Bologna che avevano rinviato in Europa il cosiddetto «decreto Albania», a cui era seguita, quasi di conseguenza, una richiesta avanzata da due consigliere di destra di sanzione disciplinare per il segretario di Md Stefano Musolino.
PER IL RESTO, sul piano parlamentare, la separazione delle carriere è ormai incardinata verso un’approvazione che richiederà tempo (si parla dell’estate) ma che tutto sommato può considerarsi scontata. La partita vera si giocherà in sede di referendum costituzionale: l’Anm, che a fine gennaio rinnoverà il suo comitato direttivo, ha già costituito un comitato per intervenire in maniera più decisa in un dibattito pubblico che ribolle. Proprio durante i giorni di festa sono arrivate nuove bordate dall’Unione delle camere penali, con il presidente Francesco Petrelli che, commentando l’assoluzione di Matteo Salvini a Palermo per il caso Open Arms, ha parlato di «una magistratura che fa carriera e gestisce il potere e una magistratura che subisce la delegittimazione e la mancanza di fiducia che deriva dall’uso strumentale del potere giudiziario». Un modo per dire che la separazione delle carriere sarebbe quanto mai necessaria. L’Anm, dal canto suo, ha bollato il tutto come frutto di «scarsa lucidità nella lettura dei fatti» perché «i processi si fanno per accertare i fatti e non per validare verità precostituite».
E IN EFFETTI le assoluzioni e i proscioglimenti (come quello pure recente di Matteo Renzi per la vicenda Open) dimostrano casomai che a un giudice può capitare di dar torto a un pm anche adesso che le carriere non sono separate. Laconico, a questo proposito, il giudizio del segretario di Area Giovanni Zaccaro: «Un pm non più magistrato vorrà per forza ed ad ogni costo vincere il processo e le prime vittime saranno i cittadini, mi stupisco che alcuni avvocati penalisti non se ne preoccupino».
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