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Dopo il gesto estremo della ragazza, vittima di violenza da parte di un parente, avevano venduto la casa e la farmacia di lei. Già più volte avevano tentato di farla finita. Ma prima hanno voluto raccontare la loro storia
L’uomo che ha abusato di Chiara Giacoletto quando era bambina, il parente insospettabile che aveva libero accesso nella casa di famiglia a Rivalta è morto ormai da anni per un tumore a un polmone. Nessun processo possibile, quindi, ma Alessandro Giacoletto e Cristina Masera hanno continuato fino agli ultimi istanti di vita a chiedere giustizia per tutti bambini vittime di violenza: «Ancora oggi – aveva detto il medico di Orbassano durante un’intervista – Se il reato di abuso o molestia contro un minore è antecedente di dieci anni alla denuncia o al ricordo del fatto, questo cade in prescrizione e il responsabile non è perseguibile».
La storia della famiglia Giacoletto
Alessandro e Cristina avevano deciso di rendere pubblico il dramma vissuto dalla loro figlia già un anno e mezzo fa, impegnandosi nella campagna di Emergency «Justice Iniziative». E durante un convegno avevano rivelato tutta la loro storia, perché fosse un esempio: «È importante fare molta attenzione, imparare ad affinare le nostre sensibilità e la nostra capacità di percepire le emozioni di chi ci sta a fianco – avevano raccontato dal palco di Milano – Più si i è piccoli e più la mente, purtroppo, rimuove il trauma. Lo nasconde e a volte lo recupera a distanza di 10, 15 o 20 anni, quando ormai il danno è talmente grande e devastante che nemmeno la migliore psicoterapia del mondo, il migliore farmaco, il migliore psichiatra dell’universo è più in grado di ricomporre le migliaia di pezzi in cui il cuore è andato. Ogni mattina le vittime devono ricomporre i cocci della loro esistenza e provare a trovare un motivo buono per continuare a vivere».
Il lungo addio
Quel «motivo buono» i genitori di Chiara, anche loro vittime di questa tragedia, non l’hanno mai trovato. Cristina ha venduto la sua quota della farmacia a Claudia, la sua socia. Il ricavato è stato devoluto a una fondazione per aiutare i bambini in Etiopia, ma Cristina non è riuscita a trovare uno scopo. Aveva tentato più volte il suicidio e una volta era stata intercettata appena in tempo su un viadotto della Torino-Savona.
Assieme al marito aveva provato a togliersi la vita anche con il monossido di carbonio, ma non erano riusciti nel loro intento. Dopo quello che sarebbe stato il trentunesimo compleanno di Chiara, lo scorso 1 dicembre, hanno pianificato il suicidio nei minimi dettagli.
Un epilogo scontato
Un’ultima intervista all’Eco del Chisone per fare definitivamente chiarezza, la casa già venduta e le lettere che spiegavano come avrebbero voluto venissero suddivisi tutti i beni di famiglia. Un epilogo scontato che nei paesi di Rivalta e Orbassano, in provincia di Torino, in molti si aspettavano.
«L’avevano deciso sin da subito lui e Cristina, quella terribile sera di quasi tre anni fa, quando Chiara volle allontanare per sempre i demoni che la tormentavano da tempo – racconta commosso Alessandro Bassignana, amico e paziente di Alessandro Giacoletto e marito dell’ex socia di Cristina Masera -. Lo ricordo come fosse ieri, perché io e Claudia fummo buttati giù dal letto da una drammatica telefonata nel cuore della notte, urla disperate e che ancora mi rimbombano nel cervello. Ci precipitammo da loro, e quando arrivammo c’erano le luci blu di ambulanza e Carabinieri a raccontare il dramma che era avvenuto in quella casa. Quella notte iniziò, o meglio, finì tutto».
Che sarebbe finita così gli amici l’avevano capito, ma nessuno è riuscito a smuoverli dal loro intento: «Ci sono tante componenti anche il rimorso, assolutamente sbagliato e ingiustificato secondo me, per non essere riusciti a intercettare i segnali della figlia. Erano due persone eccezionali, lui mi ha salvato la vita cinque anni fa, ma ormai non avevano più la forza per continuare a lottare e nemmeno volevano trovarla. Una famiglia ormai distrutta, ridotta in cenere».
Di loro resta il ricordo splendido che tutti conservano. Alessandro, l’otorinolaringoiatra che faceva il medico di famiglia per mezzo paese. E Cristina, la farmacista paziente che aiutava tutti. La scoperta degli abusi e la morte di Chiara ha cambiato tutto: «Quando a una farfalla si toccano le ali, smette di volare», ripeteva spesso Alessandro citando una frase letta in un libro di Mauro Corona. E quando il 9 dicembre l’elicottero del 118 è atterrato in un prato tra Orbassano e Rivalta, era già chiaro cosa fosse successo: «Alla fine l’hanno fatto. Adesso sono di nuovo tutti insieme».
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