Inammissibile il cram down quando l’Amministrazione finanziaria è l’unico creditore

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L’omologazione dell’accordo di ristrutturazione del debito, il cosiddetto cram down, non è ammissibile nel caso in cui l’unico creditore sia l’Amministrazione finanziaria, poiché la natura pubblica del creditore e del credito richiede sempre la convenienza della proposta. Questo il parere della Corte d’Appello di Roma

L’accordo di ristrutturazione del debito raggiunto con i creditori non può coincidere con la transazione fiscale (cfr., Corte d’Appello di Roma, Sez. I, Decreto, n. 2304/2024).

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Il piano di ristrutturazione dei debiti, in sostanza, non può basarsi in via esclusiva, sull’adesione “forzata” dell’Amministrazione finanziaria alla transazione fiscale, mentre tutti gli altri creditori della società diversi dal fisco vengono magari considerati quali creditori estranei all’accordo, con integrale soddisfacimento.

In definitiva, l’accordo non può venire (forzosamente) raggiunto unicamente con il fisco e solo per effetto della valutazione giudiziale di maggiore convenienza delle condizioni offerte in suo favore nell’ambito della proposta di transazione fiscale rispetto all’alternativa fallimentare.

Tale possibilità non è ammissibile, laddove anche prima delle disposizioni introdotte dalla L. n. 103 del 2023 la legge fallimentare comunque presupponeva la necessità della preesistenza di un accordo di ristrutturazione, rispetto al quale si inserisse, in maniera determinante, la percentuale facente capo al creditore forzosamente aderente, atta a consentire il raggiungimento della percentuale minima di legge.

Ragionando in senso opposto, del resto, l’istituto del cram down si trasformerebbe, sempre e comunque, nell’imposizione ai soggetti pubblici di una soluzione unilaterale predisposta dal debitore.

Conclusione questa non sostenibile, in quanto implicante una distorsione degli strumenti offerti per la regolamentazione della crisi.

In definitiva, il cram down non è praticabile quando l’Amministrazione finanziaria sia l’unico creditore dell’accordo di ristrutturazione.

La diversità di trattamento che la norma riserva all’Amministrazione finanziaria ed agli enti previdenziali si giustifica peraltro in considerazione della natura del creditore e del credito, che appartiene alla collettività e deve essere gestito nel migliore dei modi, avendo riguardo all’effettiva convenienza della proposta.

Così si è espressa anche la Corte di Appello di Potenza nel corso del 2024.

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Inammissibile il cram down quando l’Amministrazione finanziaria è l’unico creditore: il caso analizzato

Nel caso di specie, la società aveva depositato proposta concordataria in continuità aziendale, ovvero per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis L.Fall, con un debito verso l’Erario di più di tre milioni di euro.

L’Agenzia delle Entrate non aderiva alla proposta e la società chiedeva dunque l’omologazione forzosa (cram down).

Il Tribunale disponeva consulenza tecnica d’ufficio allo scopo di valutare la convenienza della proposta rispetto alla liquidazione giudiziale; consulenza che confermava la maggiore convenienza dell’alternativa liquidatoria.

Il Tribunale, pertanto, non omologava l’accordo di ristrutturazione, rilevando:

  • l’impossibilità di accedere al cram down fiscale quando unico creditore sia l’Amministrazione finanziaria;
  • la maggiore convenienza, comunque, dell’alternativa liquidatoria rispetto alla proposta.

La società impugnava la detta decisione. La Corte d’Appello riteneva il reclamo infondato, osservando che, come detto, la natura pubblica del creditore e del credito, richiede sempre l’effettiva convenienza della proposta.

La circostanza poi che l’Amministrazione finanziaria fosse l’unico creditore, conferma la Corte, era ostativa all’omologa, in quanto, mancando un accordo di ristrutturazione dei debiti, l’omologa sarebbe finita con l’assentire la medesima proposta di transazione fiscale non accettata dall’Agenzia, in difetto di un accordo e di un’adesione di una percentuale significativa di crediti, che sono presupposti funzionali imprescindibili per regolare in modo ampio e sistematico l’esposizione debitoria complessiva.

Da respingere erano dunque gli argomenti opposti dalla reclamante, la quale aveva evidenziato come negli accordi di ristrutturazione non si possa in realtà parlare di interesse concorsuale e dovendosi comunque preservare l’interesse, preminente, alla conservazione della continuità aziendale.

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Secondo la Corte d’Appello, tuttavia, l’accordo di ristrutturazione è e resta un mezzo di risanamento a cui l’impresa ricorre per ridurre l’esposizione debitoria ed assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria e, a tal fine, il Legislatore, anche nella versione normativa vigente ratione temporis, ha previsto comunque la soddisfazione di un numero di creditori che rappresentino il 60% dei crediti.

Il comma 4 dell’art. 182 bis, in tema appunto di omologa forzosa, stabilisce poi che se l’adesione dell’Amministrazione è decisiva ai fini del raggiungimento della detta percentuale l’omologa può essere disposta anche in mancanza di suo assenso (quando per la stessa più conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria).

Il limite a tale adesione forzosa, come nella specie, sussiste però quando l’Amministrazione finanziaria sia l’unico creditore, laddove, rileva la Corte, il riferimento normativo agli “accordi” va letto in modo non disgiunto dalla detta percentuale di soddisfazione della platea dei creditori.

D’altronde, aggiungono i giudici, la ratio della previsione normativa è quella per cui il detrimento delle ragioni del creditore pubblico è giustificato dalla soddisfazione di una percentuale significativa del ceto creditorio, laddove l’interesse concorsuale “giustifica” il trattamento deteriore riservato al creditore pubblico (cfr., Cass. SSUU n. 8405/2021 e Corte d’Appello Milano 23 febbraio 2023).

Ulteriore conferma di tale conclusione si rileva del resto anche dagli adempimenti pubblicitari a tal fine necessari, laddove la norma richiede che l’imprenditore che domanda l’omologazione degli accordi debba depositarli ed iscriverli nel registro delle imprese. Il che, ancora, presuppone l’esistenza comunque di un “accordo”, laddove la transazione fiscale non accettata non può certo essere iscritta nel registro delle imprese.

La Corte d’Appello concludeva dunque nel senso che “l’esistenza di un accordo con altri creditori è un requisito da cui non è possibile prescindere e pertanto, anche laddove la proposta si rivelasse più conveniente rispetto alla liquidazione giudiziale, difetterebbe un presupposto applicativo non altrimenti surrogabile”.

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Inammissibile il cram down quando l’Amministrazione finanziaria è l’unico creditore: conclusioni

In conclusione e al di là dello specifico caso processuale, giova evidenziare che il cram down fiscale e contributivo mira a superare la possibile inerzia del creditore istituzionale, che può costituire (e che a volte costituisce in effetti) un ostacolo a soluzioni alternative alla liquidazione, quand’anche più convenienti per i crediti pubblici.

L’imposizione all’Amministrazione della proposta di transazione fiscale presuppone però, comunque, un accordo di ristrutturazione dei debiti con alcuni creditori, laddove oggetto dell’omologazione da parte del Tribunale è proprio l’accordo di ristrutturazione dei debiti, in cui si inserisce appunto la proposta di transazione fiscale.

In mancanza dell’accordo, pertanto, la proposta di transazione fiscale non può essere omologata, né può essere imposto coattivamente all’Amministrazione il trattamento da essa previsto.

In mancanza di accordo e quindi di creditori aderenti, ed in presenza solo di creditori estranei che devono essere pagati integralmente, l’Amministrazione finanziaria verrebbe infatti a subire coattivamente un trattamento deteriore non giustificato dal sistema (cfr., Corte d’Appello di Firenze, Decreto del 14 ottobre 2022).

Affinché l’esposizione debitoria venga regolata “in modo ampio e sistematico”, in via altrettanto sistematica, la percentuale dei creditori aderenti non può essere dunque nulla o irrisoria; neppure quando l’ammontare dei crediti dell’amministrazione sia, da solo, superiore al 60%, inserendosi appunto la ristrutturazione dei debiti dell’Amministrazione (con le regole e i limiti di ammissibilità della transazione fiscale) nell’ambito, più ampio, della ristrutturazione del passivo dell’impresa.



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