Le continue proteste in Serbia contro il malgoverno di Vucic

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Un tragico incidente, verificatosi lo scorso novembre nella città serba di Novi Sad e costato la vita a quindici persone, ha generato una forte ondata di proteste in Serbia. Molti serbi ritengono che il crollo della pensilina ferroviaria, schiantatasi sui passeggeri in attesa del treno, sia legata alla corruzione dilagante presente nel Paese e alla superficialità con cui vengono condotti i lavori infrastrutturali appaltati a ditte cinesi. 

Le proteste sono guidate dagli studenti universitari, supportati da diverse categorie professionali come gli agricoltori, i professori e i lavoratori dello spettacolo e l’obiettivo delle dimostrazioni è quello di ottenere giustizia per quanto avvenuto. Le indagini hanno portato, sinora, all’arresto di tredici persone incluso un ministro del governo, poi rilasciato. La tragedia di Novi Sad si inserisce in un più ampio clima di scontento nei confronti del Capo di Stato Aleksandr Vucic, al potere dal 2014 e figura di primo piano nello scenario politico serbo, accusato di autoritarismo e repressione dei diritti civili. Il Partito Progressista Serbo, legato al Capo di Stato, giunto al primo posto in tutte le consultazioni svoltesi dal 2012 a oggi e alle elezioni legislative del 2023 ha ottenuto il quarantotto per cento dei voti.

Il sostegno di cui gode Vucic non è, però, uniforme in tutte le categorie sociali e l’affluenza alla dimostrazione svoltasi domenica scorsa nella capitale Belgrado lo dimostra. Decine di migliaia di persone, guidate dagli studenti universitari in sciopero, sono scese in piazza per manifestare il proprio scontento e il susseguirsi di proteste, nel corso delle ultime settimane, sta iniziando a mettere sotto pressione l’amministrazione presidenziale.

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Non è detto, però, che la pressione si traduca in mutamenti significativi dello scenario politico. La formazione di una coalizione unitaria delle opposizioni progressiste, denominata Serbia Contro la Violenza, non ha impedito al movimento di Vucic di trionfare alle elezioni del 2023 e le successive proteste anti-governative non hanno inciso sul quadro nazionale.

Una missione internazionale di monitoraggio del voto, come riportato dalla Cnn, aveva reso noto che le consultazioni si erano svolte «in condizioni ingiuste» a causa della parzialità dei media, dell’influenza impropria esercitata dalla Vucic e «dell’intimidazione e pressioni esercitate sui votanti, come la compravendita del voto». Freedom House, un’organizzazione non governativa internazionale che si occupa del monitoraggio dei diritti civili e politici nel mondo, considera la Serbia come una nazione parzialmente libera in cui le opposizioni hanno scarse possibilità di vincere le elezioni in maniera democratica e di assumere il potere. Il quadro politico serbo ricorda, in diversi ambiti, quanto è accaduto e continua a verificarsi nell’Ungheria del Primo Ministro Viktor Orbàn, che può contare sul supporto dei media nazionali e sul radicamento di un partito che sembra fondersi con le istituzioni statali.

La posizione di Bruxelles sulla situazione politica di Belgrado è complicata dall’europeismo, perlopiù di facciata, professato da Vucic e dagli interessi della Russia nella nazione balcanica. La Presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen ha incontrato il capo di Stato serbo lo scorso settembre ed ha affermato, come riportato da Euronews, che «l’Europa è fortemente impegnata per il futuro europeo della Serbia»  mentre Bruxelles ha offerto sei miliardi di euro agli aspiranti membri dei Balcani Occidentali per favorirne la crescita economica.

Vucic ha reso noto che la Serbia non entrerà a far parte dell’Unione Europea nel 2028, una data fissata come obiettivo da altre nazioni dei Balcani Occidentali. Si tratta di un ridimensionamento di prospettive legato alle oggettive difficoltà dei colloqui di adesione, che richiedono a Belgrado un miglioramento delle condizioni democratiche, dello Stato di diritto, una riforma del sistema giudiziario e una lotta serrata alla corruzione per entrare a far parte della famiglia europea.

La politica estera della Serbia è stata condotta, negli ultimi anni, favorendo lo sviluppo delle relazioni diplomatiche tanto con l’Unione Europea quanto con la Russia ma questa posizione ambigua è difficilmente sostenibile nel mutato quadro geopolitico continentale. La Russia è un alleato storico di Belgrado, con cui condivide tradizioni linguistiche e religiose e la Serbia dipende dai rifornimenti energetici russi e dal sostegno di Mosca per contrastare l’indipendenza del Kosovo. 

La Serbia, pur condannando l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe di Mosca, non ha aderito alle sanzioni occidentali contro il Cremlino sia per ragioni ideologiche che pratiche, dato che una rottura con Mosca la priverebbe della protezione internazionale e della stabilità energetica necessaria allo sviluppo interno. Belgrado intrattiene ottime relazioni economiche con l’Unione Europea, principale partner commerciale estero del Paese mentre la popolazione del Paese si divide tra nazionalisti simpatizzanti di Mosca e filo-occidentali che auspicano una maggiore democratizzazione della vita politica interna. 

Le difficoltà incontrate sinora dalle opposizioni hanno impedito lo sviluppo di un polo realmente alternativo alla figura di Vucic e le ambiguità dei partner internazionali, che considerano la Serbia un importante elemento di stabilità nei Balcani, hanno sinora frenato possibili sviluppi alternativi.

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