Anche i ricchi piangono, è il titolo di una famosa telenovela messicana del 1979 molto seguita all’epoca in Italia. Parafrasando, ci si potrebbe chiedere se anche le borse piangono. Nel 2024 a fronte di 21 ipo, di cui una sola sul segmento principale ( Sys-Dat sullo Star), ci sono stati 28 delisting cui aggiungere 9 opa annunciate a fine anno con intenzione di far uscire le società dalla borsa. Fra i grandi gruppi che hanno lasciato il Ftse Mib, si possono citare Cnh Industrial e Saras.
Il tema della fuga dalle borse non è solo italiano, ma mondiale. Il maggiore listino europeo, il mitico Ftse 100 di Londra, è in crisi dalla Brexit. E quest’anno ha contato 88 delisting e 15 ipo, cifre così non si vedevano dal crack di Lehman Brothers. Perché le società sono spinte a uscire? Sia in Italia che all’estero i temi più ricorrenti sono due: la mancanza di liquidità, che nasce da pochi investitori e pochi scambi e dalla concorrenza del private equity. Infatti i fondi sono grandi osservatori della borsa e spesso lanciano opa sulle società quotate cogliendo l’occasione di sconti importanti. Le pmi, per esempio, hanno sofferto non poco a Piazza Affari il rialzo dei tassi con una conseguente forte riduzione dei valori di borsa.
«Il fenomeno delisting è diffuso, ormai diventato un trend globale», conferma Franco Gaudenti, fondatore di EnVent Capital Markets, «Milano è del tutto in linea e certamente non peggiore delle altre piazze finanziarie dell’Europa Continentale, mentre è decisamente la più brillante per numero di ipo grazie all’Egm, il segmento delle pmi». Gaudenti cita, fra le ragioni, i temi finanziari, con la concorrenza del «private equity, un mercato secondario asfittico, costi di quotazione…, ma anche legate alla strategia industriale e al posizionamento di mercato». Poi Gaudenti cita Londra (EnVent opera anche su quel listino), «l’unica tra le grandi piazze finanziarie mondiali che ha visto la diminuzione del numero di azioni liquide con uno scambio giornaliero medio negli ultimi sei mesi di oltre 1 miliardo di dollari: 319 azioni rispetto a 869 azioni del resto dell’Europa, 1411 azioni in Giappone, 3000 azioni negli Usa, secondo i dati del FT». Ecco perché l’arrivo a inizio 2025 del fondo del Mef (guidato da Cdp) a capitale misto pubblico e privato per sostenere le società di Piazza Affari, «una volta reso operativo rappresenterà il catalizzatore per l’afflusso di nuove risorse sul mercato», conclude Gaudenti. E questa è una buona notizia per il 2025. Ma non è l’unica.
I traini: Listing Act, bonus ipo, Legge Capitali
Accanto al fondo del Mef, il cui regolamento è in dirittura di arrivo, Ugo Orsini, partner di Linklaters Italy, cita come elementi positivi per incentivare le ipo, «le iniziative come il Listing Act (pacchetto di norme Ue nato per attirare l’interesse verso le quotazione delle pmi, ndr), la Legge Capitali, il bonus ipo nazionale e Quota Lombardia (bonus ipo regionale, ndr), strumenti utili per stimolare sempre più imprenditori a valutare seriamente un progetto di quotazione». Tuttavia, aggiunge Orsini, «non rappresentano misure risolutive. Occorre lavorare da un lato sul fronte della domanda e dell’altro sulla cultura aziendale: occorre far comprendere che la Borsa può giocare un ruolo decisivo per lo sviluppo delle nostre imprese affinché eccellenze spesso definite come italiane possano crescere sempre di più, beneficiare di una molteplicità di forme di finanziamento rese accessibili dalla quotazione, affermarsi o confermarsi come primari player di livello internazionale, essere in grado di attrarre e trattenere i migliori talenti».
Secondo Francesco Eugenio Pasello, Counsel di Linklaters Italy, «può essere fuorviante utilizzare il numero o il valore dei delisting confrontato a quello delle ipo come misura dello stato di salute del nostro mercato azionario. I delisting non rappresentano necessariamente una sconfitta. In certi casi, sono la testimonianza della qualità espressa dalle imprese quotate su Euronext Milan». Pasello ritiene che sia importante continuare a investire tempo e risorse per stimolare «i nostri imprenditori a crescere e a cogliere le opportunità che offre il mercato dei capitali, indipendentemente dal numero delle imprese che stanno facendo il percorso inverso. In altre parole, serve promuovere le ipo in quanto necessarie per la crescita delle imprese e del Sistema Paese senza demonizzare i delisting».
Sul tema degli assist alle quotazioni, Giulio Centemero, membro della Commissione Finanze, sottolinea che «nel 2025 cominceremo a osservare gli effetti positivi della Legge Capitali anche per il completamento del ciclo dell’equity. Una volta licenziato il regolamento, comincerà ad avere il proprio impatto anche il fondo di fondi (di Cdp, ndr). Con l’arrivo del nuovo Tuf la cassetta degli attrezzi sarà ben equipaggiata e soprattutto pronta prima che gli altri Stati membri implementino nei loro ordinamenti le misure del Listing Act». Nel 2026 gli effetti saranno «sicuramente più visibili anche se probabilmente il bonus ipo Quota Lombardia farà sì che nella nostra Regione ci saranno effetti positivi sul primario e in particolare su Egm, più marcati e già a partire da inizio 2025», aggiunge Centemero. Dal 2018 «ci siamo impegnati per migliorare il mercato dei capitali e ora si inizia a coglierne i frutti. La strada è ancora lunga e si continuerà a lavorare senza sosta», conclude il politico.
Un assist per le big cap
Una delle società italiane che conosce meglio la situazione è Italmobiliare, holding quotata di investimenti industriali che fa capo alla famiglia Pesenti. Alarico Melissari, Responsabile investor relations e membro della direzione business development & investments di Italmobiliare, ritiene probabile che «progressivamente il mercato si focalizzi su titoli a maggiore capitalizzazione e che trovano nella borsa una casa stabile». L’auspicio è che gli «incentivi e le relative risorse finanziarie siano concentrate su misure con impatto di lungo termine pensate per stabilizzare la presenza sui mercati di borsa di alcune società piuttosto che a incentivare la quotazione in borsa di piccole società che finiscono per essere solo virtualmente quotate con scambi quasi nulli e che quindi non hanno un vero accesso al mercato dei capitali». Melissari mette in evidenza che «il vero problema che affligge il mercato italiano è la carenza di asset investibili dai grandi istituzionali esteri. La direzione è quella di convogliare quanto più possibile le masse di risparmio privato e previdenziale sul mercato borsistico locale favorendo la crescita dimensionale dei livelli di capitalizzazione di mercato e flottante. In tal senso i delisting aiutano il processo di focalizzazione degli investitori su emittenti a maggiore potenziale». Melissari nota a questo proposto come la quota di scambi sia ormai sempre più in prevalenza «appannaggio degli Etf la cui azione è funzione del peso di un titolo negli indici internazionali, pertanto, l’interesse del mercato sarà sempre più polarizzata sui titoli a maggiore capitalizzazione e flottante».
Tornano le ipo: Ubaldi
Ubaldi Costruzioni rischia di essere la prima ipo del 2025, con scambi attesi dal 3 gennaio. Fondata nel 1946, la realtà di Maltignano (Ascoli Piceno) è specializzata in infrastrutture pubbliche, edilizia industriale, opere marittime e ritegni sismici. Come spiega Massimo Ubaldi, «disponiamo di un backlog importante che invita ad un miglioramento dell’organizzazione aziendale e la visibilità della quotazione aiuta». L’idea di aumentare ancora il parco commesse, «ci consiglia di procedere ad un rafforzamento patrimoniale per la parte assicurativa che per questo ci deve sostenere anche se la società è già molto solida e affatto indebitata». L’imprenditore cita un «cantiere che vale 28 miliardi solo per la parte privata a totale finanziamento pubblico».
Bakel si quota
Fra febbraio e marzo è attesa la quotazione di Bakel su Egm, lo spinoff di Culti (già quotata), che a sua volta è una società in portafoglio a Kme. Se Culti realizza candele di design ed essenze per l’ambiente di fascia alta, Bakel è un marchio italiano di Udine fondato da Raffaella Gregoris, attuale presidente, specializzato in skincare con attivi naturali abbinata alla ricerca biotecnologica. «Quotarsi in borsa per Bakel non significa rinunciare al controllo dell’azienda», racconta la fondatrice a Milano Finanza. «Al contrario, stiamo ristrutturando il nostro assetto societario per aprire a nuovi investitori, condividendo le opportunità di crescita orientate alla ricerca & innovazione e all’espansione commerciale, sia in Italia che all’estero».
Gregoris cita 12 brevetti internazionali «che hanno reso possibile la stipula di importanti accordi per lo sviluppo di prodotti innovativi che toccano il settore cosmetico, la nutraceutica e i presidi medicali». La divisione Ricerca & Sviluppo rimarrà sotto la sua direzione. La gestione è affidata a Jacopo Mazzolin, manager di lunga esperienza internazionale anche nei settori farmaceutico e biogenetico, che assume il ruolo di ad. Attraverso l’ipo, Bakel intende «raccogliere le risorse per sostenere la crescita in Italia, dove siamo presenti in oltre 350 punti vendita, ma anche all’estero e nell’ecommerce», conclude Gregoris. L’ipo è in aumento di capitale. Bakel ha chiuso il 2023 con 4,5 milioni di fatturato e un ebitda di 350 mila euro. (riproduzione riservata)
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