Uso di cannabis e lucidità alla guida: due o tre cose scientifiche da sapere a proposito degli effetti sulle funzioni cognitive (e la possibile durata)

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Ha scatenato un acceso dibattito la norma introdotta dal nuovo Codice della Strada, in vigore dal 14 dicembre 2024, che riguarda chi si mette alla guida dopo aver assunto sostanze psicotrope o stupefacenti. La novità consiste nel fatto che si può essere testati anche in assenza di un evidente stato di alterazione psico-fisica e sanzionati, con la sospensione o la revoca della patente fino a tre anni, se vi è un risultato positivo al test del THC, (tetraidrocannabinolo), la sostanza psicotropa prodotta dai fiori di cannabis, di cui può restare traccia nell’organismo anche a distanza di vari giorni dopo l’assunzione.

L’iter è articolato ma chiaro: se, dopo i primi accertamenti, che possono includere un test salivare, si ha ragionevole motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi sotto l’effetto conseguente all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, gli organi di polizia stradale possono predisporre un’analisi tossicologica più approfondita su campioni prelevati e analizzati in laboratorio. Poiché questo risultato potrebbe non essere immediatamente disponibile, si può disporre l’immediato ritiro della patente di guida (per un periodo non superiore a dieci giorni) fino al responso degli accertamenti, impedendo al conducente di continuare a condurre il veicolo.
Se anche l’analisi tossicologica più approfondita dà esito positivo, il conducente titolare di patente di guida dovrà sottoporsi a una visita medica entro 60 giorni e, nel caso in cui fosse attestata la sua inidoneità alla guida, gli verrà revocata la patente per tre anni.

Alla base delle critiche, sollevate pubblicamente anche dal cantante Vasco Rossi, c’è la decisione di sottoporre al test anche chi non è in «evidente stato di alterazione psico-fisica». Nonostante le tracce di THC siano in genere rilevabili anche fino a 72 ore dall’assunzione di cannabis, ovvero fino a tre giorni dopo, lo stesso non si potrebbe dire degli effetti psicotropi, che tendono a scomparire dopo alcune ore.
Tuttavia, la pratica scientifica mostra che la situazione è un po’ più complessa di quanto si possa pensare, che le variabili in atto sono molteplici e che tutte riportano a quello che deve essere considerato sempre come un quadro soggettivo, che non si può generalizzare.

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Ad approfondire il tema con Vanity Fair è la neuroscienziata Grazia Madeo, con una lunga esperienza nel campo della neurofisiologia e patologie legate all’alterazione della funzione della dopamina. Già ricercatrice presso il National Institute on Drug Abuse, dove ha studiato i meccanismi alla base della disfunzione dopaminergica, Madeo è attualmente Direttore dell’Unità di Neuromodulazione e Ricerca Clinica del Centro Brain & Care.
«Quando parliamo di sostanze psicotrope psicoattive – e in particolare di THC, quindi cannabis – dobbiamo tenere in considerazione diversi fattori, primo fra tutti il metabolismo di queste sostanze da parte di ciascun organismo», spiega. «Quando vengono assunte per diverse modalità possono generare sostanze intermedie, chiamate metaboliti, capaci di mantenere un residuo di attività psicoattiva e psicotropa, ovvero un’azione sulle nostre capacità psichiche, sulle nostre funzioni cognitive e sui nostri comportamenti».

Sulla formazione di questi metaboliti, in particolare per quanto riguarda il THC, occorre naturalmente fare una distinzione tra l’utilizzatore occasionale, nel quale «è possibile rilevare nelle urine i metaboliti anche fino a tre giorni dall’assunzione» e l’utilizzatore regolare, che ne fa un consumo a volte anche quotidiano: «In questo caso, bisogna tenere conto anche delle dosi che vengono assunte e delle caratteristiche individuali», specifica Madeo. «Importante, ad esempio, considerare la percentuale di massa grassa presente nel corpo oppure la capacità di metabolismo più o meno elevata. Perché sono proprio tutti questi fattori a influenzare il tempo di permanenza di questi metaboliti in campioni biologici come la saliva, l’urina, il sangue oppure i capelli».

È possibile che, a distanza di tre giorni dall’assunzione di cannabis, possano ancora essere presenti effetti sulle funzioni cognitive?
«Da un punto di vista neurologico è necessario valutare caso per caso. Perché se vediamo tout court la modalità con cui queste sostanze vengono assorbite, i tempi entro cui si esauriscono gli effetti psicotropi, i metaboliti inattivi che ci sono nei giorni successivi potremmo naturalmente avere una posizione. Possono però esservi delle caratteristiche individuali che determinano effetti diversi a livello della nostra psiche e della nostra cognizione. Quindi, un giudizio medico molto netto a riguardo può essere espresso solo sulla base delle caratteristiche del soggetto».



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