GIUSTIZIA: I CASI SALVINI E RENZI, C’E’ UN GIUDICE A BERLINO

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Dario Gedolaro

Esiste, dunque, un giudice a Berlino”.  Ci scuserà Bertolt Brecht se prendiamo a prestito la frase di una sua opera famosa (in cui si narra la storia di un mugnaio che lotta tenacemente contro l’imperatore per vedere riparato un abuso e trova alla fine giustizia grazie a un magistrato onesto) a proposito di due sentenze di proscioglimento di due esponenti politici di primo piano che, guarda il destino, non solo hanno lo stesso nome, Matteo Renzi e Matteo Salvini, ma erano finiti nei guai per vicende in cui compariva la stessa parola: Open.

Al di là del fatto che le due sentenze potranno essere impugnate, hanno però un pregio fondamentale per una democrazia, quello di definire i limiti entro i quali la giustizia deve operare, cioè senza invasioni di campo o interpretazioni di parte. E sì, perché per entrambe era forte la sensazione che il castello di accuse fosse stato costruito più per motivi di “antipatia”politica che per violazioni di legge, alla faccia del sacro principio delle democrazie liberali della separazione dei tre poteri – il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario – per impedire che la società sia governata in modo dispotico.

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Il Senatore Matteo Renzi

Partiamo da Renzi, che esce da un tunnel lungo ben 5 anni. L’inchiesta della Procura di Firenze nella quale era coinvolto insieme ad altri esponenti di Italia Viva (Maria Elena Boschi e Luca Lotti) era denominata Open, dal nome della Fondazione che organizzava i raduni della Leopolda. Secondo i pubblici ministeri fiorentini, la Fondazione Open era la cassaforte dell’allora segretario del Partito Democratico che, raccogliendo denaro per essa, aveva commesso un bel “giardinetto” di reati: dal finanziamento illecito ai partiti, al traffico di influenze, corruzione, autoriciclaggio ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Accuse talmente campate in aria che ora il gip di Firenze, Sara Farini, non ha ritenuto fosse nemmeno il caso di imbastire un processo. L’inchiesta ne seguiva un’altra, quella denominata Consip che vedeva anche in quel caso coinvolto Renzi (e suo padre) e che ha finito per portare sul banco degli imputati non il senatore, ma chi lo accusava. Tutto bene? Neanche per idea, perché obiettivamente Renzi si è viste rovinate le sue prospettive politiche. In molti gli sono saltati addosso, compagni di partito e non (in primis Giuseppe Conte e Giorgia Meloni) e giornalisti. Ora nessuno pagherà. Nessuno si preoccuperà dell’alterazione del dibattito democratico e non si può dare torto a Renzi quando afferma: “Gli ultimi cinque anni li ho vissuti da ’appestato”.

Matteo Salvini (foto di F.  Ammendola – Ufficio Stampa e  Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Il caso di Salvini è per certi aspetti ancora più inquietante, perché rivolto a un ministro nell’esercizio delle sue funzioni. Il castello costruito dai pubblici ministeri di Palermo è però crollato con la decisione del tribunale di assolvere “perché il fatto non sussiste”. Ma per il leader della Lega sono stati tre anni di gogna.I principali mass media (che pure dovrebbero essere impregnati di quella culturale liberale di cui si parlava) non gli hanno fatto sconti: Salvini non solo era un mostro senza cuore per avere tentato di non far attraccare ai porti italiani la nave Open Arms piena di migranti clandestini (la quale, detto per inciso, aveva rifiutato altri approdi), ma soprattutto aveva impunemente violato la legge come ministro in carica, commettendo reati gravi: sequestro di persona e rifiuto di atti ufficio. Sin da subito l’inchiesta lasciava perplessi, in primis perché Salvini aveva operato in base a decreti predisposti dal governo giallo-verde (Lega-Movimento 5 Stelle), in secondo luogo perché non era stato contraddetto dagli altri membri dell’esecutivo, in particolare dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Chiamato a deporre, l’ex ministro alle Infrastrutture, Danilo Toninelli, ammise: “Confermo la collegialità politica della lotta all’immigrazione clandestina, era scritto nel contratto di governo creato prima dell’inizio del governo Conte 1”. E allora? Come mai lui (che aveva competenza sui porti italiani), il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, non erano finiti sul banco degli imputati?

Insomma, come detto, l’indagine puzzava di ostilità politica ad personam e ad partitum. Ma gli oppositori parlamentari di Salvini non si erano scandalizzati, i partiti delle “mani nette” e delle “regole costituzionali da rispettare” avevano dato l’autorizzazione a procedere senza nessuno scrupolo.

Uscendo da queste due vicende giudiziarie, c’è da rilevare tristemente che il vero problema della politica italiana (che la porta spesso ormai al livello degli stati sudamericani dei golpe facili e dei “ladrones” al governo) è la totale mancanza di rispetto per l’avversario politico, considerato un nemico da annientare a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo.

Il Presidente Sergio Mattarella

Una recrudescenza del confronto democratico con il ricorso all’ arma “impropria” della magistratura, che ebbe inizio con l’inchiesta di “mani pulite” , che proseguì con la discesa in campo di Silvio Berlusconi e che ebbe il suo massimo campione in Beppe Grillo e il suo Movimento 5 Stelle. Berlusconi parlò di “accanimento giudiziario” nei suoi confronti e venne preso in giro dall’opposizione di sinistra, poi ci fu il libro dell’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara, che chiarì bene come stavano le cose. In un’intervista televisiva lo stesso Palamara ha affermato: “Io racconto come In quell’ epoca non una ci fosse una vera opposizione politica ai governi di centro destra, la facevamo noi (cioè la magistratura, n.d.r.)”.

Il quadro si è dunque via via deteriorato – le gente sconcertata diserta in massa le varie elezioni – e il dibattito sull’ ultima manovra economica ha avuto momenti che si potrebbero definire comici (Elly Schlein ha battuto tutti), se non fossero preoccupanti, e non a caso nei giorni scorsi c’è stato l’intervento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha richiamato i politici all’”armonia e alla massima convergenza”, mettendo l’accento su parole come dialogo, mediazione, collaborazione.  Qualcuno lo ascolterà?

 

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