News Da Marte #35 | Coelum Astronomia

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Bentornati su Marte! Questo nuovo aggiornamento dal Pianeta Rosso è interamente dedicato un rapporto preliminare presentato dalla NASA che fa luce sulla dinamica dell’incidente fatale che ha messo fine ai quasi 1000 giorni di operazioni di volo dell’elicotterino Ingenuity. Si parte!

L’ultimo volo di Ingenuity

È passato quasi un anno dal 18 gennaio 2024, il giorno in cui l’elicottero Ingenuity eseguì il suo ultimo volo. Si trattò della sua 72esima attività, programmata dagli ingegneri del Jet Propulsion Laboratory con lo scopo di confermare la posizione dell’elicottero che nel precedente volo si era, diciamo così, smarrito. Il volo 71 era stato interrotto bruscamente con un atterraggio di emergenza perché, dopo 35 secondi dal decollo, il sistema di navigazione ottica non riusciva più a calcolare lo spostamento rispetto al terreno a causa dell’assenza di dettagli al suolo. Per verificare con precisione la posizione di atterraggio di Ingenuity viene così programmata una breve attività aerea della durata di 32 secondi.

Come detto, l’elicottero si trovava a operare in una zona con un suolo privo di caratteristiche superficiali significative e con in più la presenza di importanti variazioni nel livello del terreno a causa delle dune di sabbia. Un ambiente estremamente diverso da quello che aveva ospitato i primi 5 voli di test di Ingenuity, pianeggiante e ricco di piccoli sassi.

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La programmazione del volo 72 consisteva in una rapida ascesa alla quota di 12 metri, lo stazionamento di alcuni secondi per catturare le immagini aeree e l’inizio della discesa 19 secondi dopo il decollo. Al 32esimo secondo, ad atterraggio quasi completato, la telemetria però si interruppe improvvisamente. Nei giorni che seguirono la NASA riuscì a riprendere contatto con l’elicottero e scattare alcune foto che documentavano lo stato dell’apparato: con grande delusione si scoprì che le punte delle quattro eliche erano spezzate. Terminava così la missione di esplorazione di Ingenuity.

Ingenuity sulla destra dell’immagine, adagiato su un crinale sabbioso. Sul lato opposto una delle sue eliche, scagliata a 15 metri di distanza. NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/CNRS

Cos’è successo quel giorno

Ci aiuta a ricostruire i fatti un’indagine dell’incidente, la prima a riguardare un velivolo su un altro pianeta. L’ha eseguita dalla NASA in collaborazione con AeroVironment, la compagnia che ha collaborato alla progettazione di Ingenuity. Il dettagliato rapporto sull’incidente sarà rilasciato nelle prossime settimane ma una news pubblicata dall’agenzia spaziale statunitense l’11 dicembre ci dà una prima interessante panoramica.

La catena di eventi che ha portato al danneggiamento dell’elicottero inizia probabilmente dal problema con il sistema di navigazione, basato sulla camera in bianco e nero puntata verso il basso, che non è riuscito a tracciare lo spostamento di Ingenuity nel corso del volo. Combinando l’informazione dell’altitudine con lo spostamento relativo dei sassi che riusciva a individuare, il sistema calcolava lo spostamento reale dell’elicottero e ne permetteva anche la stabilizzazione.

I dati di volo inviati da Ingenuity mostrano che dopo 20 secondi dal decollo l’apparato non riusciva più a trovare dei punti di riferimento e questo potrebbe aver causato una decisa deriva nello spostamento laterale mentre l’elicottero stava ancora discendendo al suolo.

Infografica con la sequenza dell’incidente occorso a Ingenuity. NASA/JPL-Caltech, traduzione Piras

Lo scenario più plausibile suggerisce un impatto violento sulla duna che combinato con la traslazione orizzontale ha portato Ingenuity a inclinarsi su un lato. Le eliche in rapidissima rotazione avrebbero quindi toccato il terreno spezzandosi tutte e quattro nel punto strutturalmente più fragile (a circa un terzo della loro lunghezza a partire dalla punta). Le eliche in queste condizioni, molto sbilanciate, avrebbero indotto forti vibrazioni nel sistema a doppio rotore comportando il distacco completo di una delle quattro eliche che è stata così scagliata a circa 15 metri di distanza. Durante questa sequenza di eventi un eccessivo assorbimento di corrente ha probabilmente portato al riavvio del computer di bordo e con esso alla perdita delle comunicazioni e delle immagini acquisite sino a quel momento.

NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/IRAP/Piras
Uno dei fotogrammi acquisiti da Ingenuity nel Sol 1059 (11 febbraio) durante le fasi di indagine sull’incidente. L’ombra delle due eliche mostra chiaramente le punte spezzate. NASA/JPL-Caltech

Ingenuity non vola più ma lavora ancora da terra

Evidentemente impossibilitato nel proseguire le sue attività aeree, alcuni mesi fa l’elicotterino è stato riprogrammato dai tecnici NASA per svolgere dei compiti di monitoraggio meteorologico. Nel dare aggiornamenti sull’indagine relativa all’incidente di Ingenuity è stato anche rivelato che i contatti radio con il rover Perseverance stanno proseguendo al ritmo di circa uno alla settimana, il che permette di scaricare dati meteo e di avionica (non è chiaro in cosa consistano). Ogni minima informazione sarà preziosa per lo sviluppo dei futuri esploratori aerei che voleranno nei cieli di Marte, il primo dei quali potrebbe essere Mars Chopper. Si tratterà di un apparato con sei motori quasi 20 volte più pesante di Ingenuity (quindi oltre 35 kg!) pensato per eseguire voli giornalieri di 3 chilometri trasportando un carico scientifico significativo.

Rendering del futuro Mars Chopper. NASA/JPL-Caltech

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News da Marte #34

Siamo di nuovo sul Pianeta Rosso! In queste ultime settimane Perseverance ha proseguito il suo spostamento verso ovest che stiamo documentando ormai da fine settembre. Tra spettacolari panorami e un insolito campo di candide rocce, vediamo quali sono state le sue attività più recenti. Partiamo!

Un panorama per la missione

Riguardo appunto alle immagini, un nuovo mosaico è stato recentemente diffuso nei canali NASA e in un colpo solo ci permette di osservare quasi tutte le regioni di Marte che Perseverance ha attraversato nei suoi anni sul Pianeta Rosso. Quest’ultima non è un’iperbole perché, grazie alle annotazioni, siamo in grado di individuare persino il sito di atterraggio dove il 18 febbraio 2021 il rover toccò la polvere marziana per la prima volta.

Panorama composto da 44 immagini acquisite il 27 settembre (Sol 1282) che spazia per decine di km. NASA/JPL-Caltech
Piccolissimo ritaglio di una porzione dell’immagine. Al centro, distante 8.7 km, c’è persino il sito di atterraggio di Mars 2020. NASA/JPL-Caltech

In questa immagine, e più precisamente la versione annotata con quasi 50 punti di interesse, riconosciamo alcune delle caratteristiche che ci hanno accompagnato in questi anni in cui abbiamo affiancato il rover nel corso della sua esplorazione di Marte. Per esempio la piana sopraelevata Kodiak, vista da vicino nell’aprile 2021, l’affioramento roccioso Enchanted Lake toccato nell’aprile 2022, o la regione di South Seitah sorvolata a 12 metri di altezza dall’elicottero Ingenuity il 5 agosto 2021.

Il panorama a piena risoluzione è grande 164 MB ma vale la pena perdersi al suo interno, lo trovate sul sito della NASA a questo link.

Nuove rocce a Pico Turquino

Sembra di  aver fatto un viaggio nel tempo, ma torniamo ora a cronache ben più recenti.

Per esempio alla foto di una roccia osservata nel Sol 1302 (18 ottobre) a cui viene assegnato il nome Observation Rock. Ci troviamo nella località Curtis Ridge, circa 200 metri a nord-est della posizione attuale individuata dalla mappa sottostante. Pico Turquino è invece il nome della più ampia regione in cui il rover sta transitando.

Mappa aggiornata al 13 novembre (Sol 1326). NASA/JPL-Caltech
Immagine di Observation Rock nell’elaborazione prodotta dagli esperti grafici. NASA/JPL-Caltech

Le tonalità apparentemente anomale sono dovute all’elaborazione, finalizzata ad aumentare il contrasto ed esaltare le deboli variazioni cromatiche. Insomma, non si tratta affatto di “rocce blu” scoperte da Perseverance come titolato in modo decisamente improprio da alcune testate qualche settimana fa riguardo a simili immagini marziane.

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Strani ciottoli chiari

Dieci giorni dopo la ripresa di Observation Rock, e a meno di 80 metri di distanza in linea d’aria, Perseverance si trova impegnato in nuovi rilievi fotografici: alla base dell’area sopraelevata denominata Mist Park le camere del rover inquadrano un campo di sassi brillanti il cui colore molto chiaro risalta rispetto al rosso della polvere marziana e degli altri massi.

Non è la prima volta che queste regioni mostrano di ospitare delle rocce particolari, oseremmo dire fuori posto rispetto al resto delle caratteristiche geologiche. E questo è un piccolo mistero per gli scienziati.

Campo di rocce chiare catturato dalla Right NavCam nel Sol 1311 (27 ottobre)

Sulla Terra siamo abituati alla diversità geologica perché questa è perfettamente giustificata dai complessi processi indotti dall’attività tettonica, che “mescolando” i materiali che costituiscono la crosta sono in grado di produrre minerali dall’ampia varietà chimica e cromatica. Ma su Marte, con tettonica a placche fondamentalmente inesistente e una chimica della crosta dominata dal basalto, abbondano minerali scuri come olivina e pirosseni mentre i materiali chiari sono estremamente più rari.

Panoramica della regione di Mist Park. Left MastCam-Z, Sol 1311. NASA/JPL-Caltech/Piras

Questa chicca inattesa ha portato gli scienziati a richiedere al rover ulteriori investigazioni fotografiche (la cosiddetta remote science) con i filtri spettrali delle MastCam-Z e con il laser vaporizzatore della SuperCam. Purtroppo la scienza di prossimità non è stata possibile perché i sassolini sono troppo piccoli per essere ispezionati in sicurezza dagli strumenti montati sopra il braccio robotico di Perseverance. L’auspicio è che rocce più grandi ma con analoga composizione saranno trovate più avanti lungo il tragitto programmato così da poter procedere con analisi di maggior dettaglio anche del loro interno.

Un secondo mistero legato a queste rocce riguarda le modalità con cui sono arrivate qui venendo sparpagliate in un’area di soli pochi metri quadrati. Anche in questo caso, come per recenti ritrovamenti fuori posto, una delle ipotesi è che questi sassi siano arrivati qui per rotolamento da regioni a maggior altitudine esposte a un materiale bianco di qualche tipo. Un’altra possibile spiegazione è che siano ciò che resta di un’erosione che ha interessato una vena rocciosa, con i materiali più deboli che sarebbero stati dissolti portando alla luce queste rocce più solide.

Dettaglio su alcune delle rocce di Mist Park fotografate con la MastCam-Z di sinistra impostata a 110 mm di focale. NASA/JPL-Caltech/Piras

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Facciamo di nuovo tappa sul Pianeta Rosso con nuove notizie sui rover Perseverance e Curiosity. Si parte!

Un panorama

Terreno scivoloso

Nel Sol 1285 (30 settembre) Perseverance è impegnato ad aggirare un promontorio e sta cercando una via verso ovest dopo la faticosa ascesa raccontata in News da Marte #32. I piloti della NASA programmano il rover per una salita ma qualcosa sembra non vada per il verso giusto. La telemetria e le foto scattate dalle camere di navigazione tracciano un quadro chiaro dimostrando che il nostro robot non sia riuscito a completare il percorso previsto e che abbia slittato alcune volte durante i tentativi di avanzamento. Queste perdite di trazione sono visibili nella mappa dello spostamento come delle apparenti lievi correzioni di rotta.

Le due tracce gialle mostrano il percorso di Perseverance nei Sol 1285 e 1286 (rispettivamente la porzione a destra e a sinistra). NASA/JPL-Caltech

La sabbia di questa regione dimostra delle proprietà particolari e si comporta in modo imprevisto, quasi come se fosse umida. Incastrandosi tra le righe trasversali del battistrada delle ruote genera un corpo compatto che slitta al suolo rallentando l’avanzamento del rover.
La soluzione più semplice sarebbe stata quella di prendere atto delle complicazioni, fare “inversione” e cercare un’altra strada. Ma questo avrebbe voluto dire allungare i tempi di spostamento e rinunciare a degli obiettivi scientifici che il team di geologi aveva evidentemente molto a cuore.

Quindi i piloti non si sono persi d’animo ed escogitano una soluzione brillante che consiste nel far procedere Perseverance…in retromarcia. Possiamo ipotizzare che si sia trattato di un discorso di bilanciamento, sfruttando magari il peso del generatore a radioisotopi (45 kg) che in questa inedita configurazione di spostamento si trovava quindi a generare una significativa leva sulle ruote posizionate più in alto. Sta di fatto che la mossa, eseguita nel Sol 1288, ha successo e permette al rover di risalire il crinale quanto basta prima di compiere una rotazione su sé stesso e proseguire verso ovest in assetto più convenzionale.

Sol 1287, dettaglio della ruota posteriore destra di Perseverance. La sabbia si è compattata in mezzo agli inserti in titanio del battistrada, compromettendo la trazione. Anche le tracce delle ruote sono estremamente confuse rispetto a quelle molto precise a cui siamo abituati. NASA/JPL-Caltech/Piras
Sol 1288, la ripresa con la Left NavCam mostra la parte posteriore del rover. Alle sue spalle mancano le consuete tracce nella sabbia o almeno i segni di una rotazione sul posto, a dimostrazione che Perseverance ha percorso questo tratto in retromarcia. NASA/JPL-Caltech/Piras
Foto del Sol 1288. Con la freccia gialla è indicata la posizione da cui l’immagine è stata acquisita al termine della giornata di spostamenti. In evidenza anche (marcato con la freccia rossa) lo stesso dettaglio nella sabbia con riferimento sia alla foto che alla mappa. Quello è presumibilmente il punto da cui Perseverance ha iniziato lo spostamento in retromarcia. NASA/JPL-Caltech/Piras

La Terra e Fobos osservati da Curiosity

Non è raro che i rover marziani vengano usati per fotografare il cielo del Pianeta Rosso. Questo avviene spesso di giorno per misurare il tau (il tasso di oscuramento legato alle polveri, rilevato quasi quotidianamente) o riprendere i transiti dei due satelliti di fronte al disco solare.

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L’ultima osservazione di questo tipo risale al 30 settembre ad opera di Perseverance che ha ripreso un passaggio della luna maggiore di Marte, Fobos. Il video che vi propongo qui sotto consiste di 64 frame acquisiti in 47 secondi ed è velocizzato di 4 volte. I fotogrammi sono stati ripuliti dal rumore digitale e le transizioni interpolate per ottenere un risultato più fluido.

Sono più rare, e forse per questo parecchio più affascinanti, le riprese del cielo notturno di Marte.

Una di queste occasioni è capitata di recente a Curiosity che il 5 settembre (Sol 4295 di missione) è stato programmato per puntare il suo “sguardo” verso l’alto dopo il tramonto del Sole. Dalla sua posizione su Texoli, una collina isolata alle pendici del Monte Sharp, il rover ha eseguito una serie di scatti che hanno spaziato dall’orizzonte fino a circa 15° di elevazione. E in un piccolo angolo di cielo, grande appena mezzo grado, Curiosity ha eseguito la prima osservazione in assoluto di Fobos insieme alla Terra. I due corpi sono visibili nella parte alta dell’immagine, processata dagli esperti della NASA a partire da 17 foto. E qui si svela un piccolo “trucco” perché 5 di queste foto sono state eseguite di giorno mentre le restanti 12 sono esposizioni lunghe (comunque solo pochi secondi per evitare l’effetto scia) acquisite otto ore dopo, di notte, quando il Sole era tramontato da svariate ore e a più di 20° sotto l’orizzonte.

Le due immagini così come processate magistralmente dai grafici del JPL. NASA/JPL-Caltech

Però vediamo di aggiungere qualcosa alle cronache della NASA sin qui riportate, nello spirito di questa rubrica che spesso indaga dettagli nascosti ma (spero) di grande fascino.

L’elaborazione dell’immagine con lo zoom su Fobos e la Terra, in mezzo al notevole disturbo che emerge schiarendo le aree buie, rivela un piccolo “grumo” di pixel sospetto. Si tratta di distribuzione casuale del rumore digitale o c’è dell’altro?

Una possibile risposta viene dalla simulazione della scena immortalata da Curiosity tramite il software Stellarium. I dati della posizione possono essere ricavati dalla mappa messa a disposizione dalla NASA con la posizione del rover, le informazioni di scatto (con la data e l’ora in formato UTC) sono invece incluse nei metadati che corredano ogni singola immagine raw.

Il simulatore fornisce una risposta insperata: quel piccolo gruppo di pixel potrebbe essere la nostra Luna terrestre che brillava con magnitudine 2.8. Gli altri corpi erano invece estremamente più luminosi, con la Terra stimata a -1.7 e Fobos -4.1. Queste misure non tengono però conto dell’estinzione dovuta alla presenza di polveri nell’atmosfera di Marte, attualmente causa di un significativo oscuramento dovuto alle temperature in aumento.

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Stellarium si conferma uno strumento di simulazione astronomica di notevole fedeltà. L’immagine qui mostrata è stata ottenuta modificando solo di una decina di arcominuti (corrispondenti all’incirca ad altrettanti km) la latitudine ricavata dalla mappa in modo da avvicinarsi quanto più possibile alla foto reale. L’ora di scatto è stata inserita esattamente come riportata nei metadati.

Sopra: elaborazione dell’immagine NASA con in evidenza l’area più chiara descritta. Sotto: simulazione da Stellarium. NASA/JPL-Caltech/Stellarium-Fabien Chereau/Piras

Anche per questo aggiornamento da Marte è tutto, alla prossima!

Gli ultimissimi aggiornamenti da Perseverance e un po’ di notizie relative a missioni spaziali del presente e del futuro. Si parte!

La scalata di Perseverance e una strana roccia con le strisce

Il rover della NASA ha iniziato circa un mese fa la sua ascesa verso sud che rappresenta l’inizio del quinto capitolo della sua esplorazione di Marte, la Crater Rim Campaign.
Perseverance sta affrontando alcune delle sue salite più ripide di sempre e ha già guadagnato decine di metri in altezza nell’arco di poche settimane. Lungo la strada è stata anche eseguita l’abrasione di una roccia sedimentaria in modo da dare agli scienziati elementi per valutare come la geologia muti mentre il rover si allontana dagli scenari familiari che ha frequentato i mesi passati tra Neretva Vallis e Bright Angel (l’area in cui tra le altre cose ha eseguito il suo ultimo prelievo, individuata dal piccolo marker rosso nella mappa sottostante).

Mappa con la posizione di Perseverance aggiornata al 26 settembre (sol 1280 di missione). NASA/JPL-Caltech
Foto della camera WATSON che documenta l’abrasione eseguita nel Sol 1257 (2 settembre). NASA/JPL-Caltech
Foto simile alla precedente ma scattata da due punti di vista distanti pochi cm l’uno dall’altro ed elaborata in modo da generare un’immagine stereografica chiamata anaglifo. Per ammirarne l’effetto di profondità sono necessari i comuni occhialini 3D rosso/ciano. NASA/JPL-Caltech/Piras

Grazie alle posizioni sopraelevate che sta raggiungendo possiamo godere di spettacolari paesaggi attorno al rover acquisiti per mezzo delle NavCam e delle MastCam-Z. Le montagne più lontane risultano oscurate a causa delle tempeste di sabbia che stanno attualmente affliggendo questa a zona di Marte. Vi propongo una breve selezione di immagini della regione.

Visuale verso sud nel Sol 1264 (9 settembre). C’è un moderato effetto fisheye in questa foto della NavCam, ma quella che si vede è la montagna che Perseverance sta scalando. NASA/JPL-Caltech/Piras
Mosaico di immagini della Left MastCam-Z scattate nel Sol 1266 (11 settembre), la camera era puntata verso est. L’inquadratura inclinata non è un errore di processamento ma testimonia la reale inclinazione del rover che in quel momento era impegnato nella salita in direzione sud (verso destra rispetto all’immagine). NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

La navigazione non procede a grande velocità, come intuibile nei tratti a nord della mappa dove si vede un’alta densità di pallini bianchi (ogni pallino rappresenta la posizione in un determinato Sol. La distanza di un pallino da quello che lo precede indica quasi sempre lo spostamento compiuto in quella giornata). Possiamo ragionevolmente supporre che la ragione dell’apparente lentezza non sia dovuta agli ostacoli del terreno che il rover si è trovato a dover evitare, poiché le immagini panoramiche non ne mostrano, ma piuttosto alle precauzioni adottate dai piloti che hanno fatto avanzare il robot su una collina parecchio scoscesa.

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Intorno al Sol 1264 (9 settembre) Perseverance arriva in un’area più pianeggiante e può così aumentare considerevolmente le distanze percorse giornalmente superando i 150 metri per Sol. Ma dopo alcuni giorni di terreni abbastanza monotoni c’è qualcosa che cattura l’attenzione dei geologi: una roccia molto particolare, come mai ne erano state osservate prima su Marte, che viene battezzata Freya Castle.

Freya Castle osservata dalla Right MastCam-Z nel sol 1268 (13 settembre). NASA/JPL-Caltech/Piras
Un’altra immagine di Freya Castle, ma stavolta è un anaglifo. NASA/JPL-Caltech/Piras

Gli appassionati su internet vanno in estasi per questa roccia grande circa 20 cm che iniziano a chiamare amichevolmente “roccia zebrata”. I geologi formulano alcune ipotesi sulla sua origine e sulla ragione per cui si trovi qui. Si pensa che possa essere di formazione magmatica, oppure metamorfica, oppure una combinazione dei due processi. Ciò che è quasi certo è che, date le profonde differenze con il terreno circostante, non si è formata nella zona in cui è stata individuata da Perseverance. Potrebbe piuttosto essere rotolata qua da regioni a quota maggiore. È una spiegazione elettrizzante perché significa che il rover potrebbe rinvenire interi campi di rocce simili mentre continuerà la salita verso il bordo del cratere.

Poco è noto della chimica di Freya Castle e, in attesa di poter analizzare più nel dettaglio rocce simili, il team scientifico ha programmato Perseverance per una serie di acquisizioni in banda stretta per mezzo delle due MastCam-Z. Le camere montate sulla “testa” del rover integrano dei filtri e con ciascuno di essi è possibile isolare bande molto strette dello spettro. A noi queste foto potrebbero sembrare tutte uguali, al massimo con alcune variazioni di luminosità, ma per i geologi sono la chiave per individuare le specie chimiche che compongono le rocce.

Raccolta delle immagini acquisite da Perseverance con tutti i filtri a banda stretta a sua disposizione. Sol 1268. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

In questa raccolta mancano quattro filtri: si tratta dei due RGB con cui le camere realizzano le foto normali e i due filtri solari.

Mentre Perseverance continua la sua avanzata gli scienziati si tengono pronti per la prossima tappa molto attesa: Dox Castle. Sarà quasi certamente un argomento per le prossime cronache.

La Cina vuole fortissimamente Marte

Sono trascorsi solo pochi mesi dalla conclusione della missione Chang’e-6 (se n’è parlato in questo articolo), con la quale l’agenzia spaziale cinese CNSA è riuscita nell’obiettivo di portare sulla Terra della regolite lunare (per la precisione 1935 grammi) raccolta per la prima volta sul lato lontano del nostro satellite. Ma i piani spaziali del gigante asiatico non si fermano: i progetti di espansione passano inevitabilmente anche per la prossima frontiera, Marte, e le possibilità di ricerca scientifica offerte dal pianeta rosso. Possiamo affermare che la NASA sia attualmente leader mondiale dell’esplorazione spaziale ma le cose potrebbero cambiare nell’arco di pochi anni e stavolta non per colpa delle compagnie private.

All’inizio di settembre la CNSA ha presentato dei piani di modifica alla sua missione Tianwen-3 che, secondo i programmi diffusi nell’autunno 2023, sarebbe dovuta partire nel 2030 per svolgere dei compiti di raccolta di materiale dalla superficie di Marte per poi portarlo sulla Terra.

Il concetto è il medesimo a cui NASA ed ESA (Agenzia Spaziale Europea) mirano con la loro Mars Sample Return. Con la differenza che mentre la missione occidentale sta soffrendo un’enorme complessità e un budget richiesto crescente che ne stanno causando gravi ritardi, l’agenzia spaziale cinese sembra si potrà permettere persino di anticipare i tempi.

Nel corso della seconda International Deep Space Exploration Conference tenutasi il 5 e 6 settembre a Huangshan, Liu Jizhong, progettista capo della missione, ha rilasciato un aggiornamento che vede la data di lancio di Tianwen-3 spostata dal 2030 al 2028. L’anticipo di circa due anni non è casuale ma dipende com’è noto dai periodi orbitali della Terra e di Marte. Le finestre ottimali con il massimo avvicinamento tra i due pianeti si aprono ogni circa 26 mesi e durano poche settimane, frangenti nei quali si trovano usualmente concentrati tutti i lanci diretti verso il pianeta rosso.

La missione cinese impiegherà due razzi Lunga Marcia 5. Essi porteranno verso Marte un orbiter (che includerà il veicolo di ritorno verso la Terra) e il lander dotato del razzo di ascesa. La raccolta di materiale sarà eseguita dallo stesso lander che metterà al sicuro circa 500 grammi di regolite e piccoli sassi. Liu ha aggiunto che la CNSA intende collaborare con partner internazionali e i veicoli spaziali cinesi ospiteranno anche carichi scientifici per conto di altre nazioni. Ci sarà inoltre condivisione di dati e persino di campioni di materiale, il tutto nell’ottica di stabilire un’aperta cooperazione globale.

L’importante obiettivo scientifico di Tianwen-3 è la ricerca di tracce di vita passata su Marte (suona familiare?) ma il suo successo, soprattutto nei tempi stimati, candiderebbe fortemente la Cina al ruolo di nuovo leader mondiale nell’esplorazione spaziale realizzando, per usare le parole del capo di stato Xi Jinping, il “sogno eterno” cinese. Grazie a enormi investimenti e piani lungimiranti il paese del dragone intende inoltre proseguire le missioni lunari robotiche ma non solo (il primo astronauta cinese è atteso sulla Luna entro il 2030), la raccolta di roccia da una cometa con Tianwen-2 e l’esplorazione del sistema satellitare gioviano con Tianwen-4.

A proposito del programma Tianwen, potreste ricordare la missione capostipite che nel 2021 portò attorno e su Marte per conto della Cina il suo primo orbiter, il primo lander e il primo rover (Zhurong). La missione riuscì in ogni aspetto, con uno dei risultati più notevoli legato all’atterraggio che i cinesi hanno azzeccato al loro primo tentativo.

Il rover Zhurong insieme al lander con cui è atterrato su Marte. Questa foto storica è stata scattata da una piccola camera indipendente che il rover ha deposto al suolo. CNSA

MAVEN e Hubble scoprono il destino dell’acqua marziana

Nonostante decenni di ricerca sono ancora molti i dubbi su quale sia stato il destino dell’acqua un tempo ospitata sulla superficie di Marte. Parte di essa è presumibilmente finita nel sottosuolo (a riguardo si vedano Coelum Astronomia 270 e News da Marte #31), ma che fine ha fatto il resto? Un nuovo tassello nella nostra comprensione della storia del pianeta viene da uno studio pubblicato a luglio sulla rivista Science Advances e a prima firma di John T. Clarke della Boston University.

Clarke e colleghi hanno utilizzato i dati della sonda MAVEN (Mars Atmosphere and Volatile Evolution) e del telescopio spaziale Hubble per cercare di quantificare il tasso di fuga dell’idrogeno marziano nello spazio.
Il meccanismo con cui l’acqua di Marte evapora viene indotto dalla radiazione solare che scinde le molecole di H2O nelle sue componenti ossigeno e idrogeno. Quest’ultimo atomo è molto leggero e tende a disperdersi nello spazio con facilità, ma in mezzo agli atomi di idrogeno è presente una certa quantità di deuterio. Si tratta di un isotopo più pesante perché nel suo nucleo ospita anche un neutrone. Con il doppio del peso atomico il deuterio fugge dall’atmosfera a un tasso estremamente inferiore e così, confrontando la sua percentuale in atmosfera rispetto all’idrogeno, gli scienziati hanno uno strumento per stimare quanta acqua fosse presente su Marte in passato.

Gran parte dei dati impiegati nello studio derivano da misurazioni della sonda MAVEN la quale però non è abbastanza sensibile da poter rilevare le emissioni dovute al deuterio durante un intero anno marziano. Questa impossibilità è legata alla distanza mutevole di Marte dal Sole in quanto, a causa della marcata ellitticità della sua orbita, la variazione di distanza tra afelio e perielio è addirittura del 40%. MAVEN può eseguire le sue rilevazioni solo quando Marte è più vicino al Sole e l’atmosfera si espande a causa del maggior calore ricevuto.
Il buco nei dati relativo all’afelio è stato colmato dal telescopio Hubble che produce osservazioni utili allo scopo fin dagli anni ‘90 e ha così permesso di coprire tre interi cicli annuali marziali, ciascuno composto di 687 giorni terrestri.

Foto nel profondo infrarosso realizzate da Hubble durante il afelio (sopra) e perielio marziani. NASA, ESA, STScI, John T. Clarke (Boston University); Processing: Joseph DePasquale (STScI)

Insieme all’analisi del rapporto D/H (deuterio/idrogeno) allo scopo di stimare quanta acqua Marte abbia posseduto, i ricercatori hanno anche affinato i modelli matematici usati per descrivere l’atmosfera del pianeta. Il team autore dello studio ha scoperto che Marte è molto più dinamico di quanto ritenuto in precedenza e presenta cicli termici che, pur all’interno della loro annualità, variano anche su tempi molto più brevi, persino poche ore.

Il nuovo modello messo a punto dagli scienziati mostra come le molecole di acqua tendano a salire in alta quota durante le fasi di riscaldamento ed è in questi momenti che avviene la “fuga atomica”. Tuttavia le temperature dell’alta atmosfera da sole non sono sufficienti per dare agli atomi abbastanza energia da abbandonare la gravità marziana ed è qui che intervengono altri fenomeni quali collisioni con i protoni del vento solare e reazioni chimiche indotte dalla radiazione luminosa.

Lo studio dell’evoluzione del clima di Marte attraverso la storia della sua acqua aggiungerà elementi alla comprensione del passato degli altri due mondi all’interno della fascia abitabile del Sole, la Terra e Venere, ma anche di molti esopianeti che è impossibile osservare con analogo dettaglio.

Le sonde ESCAPADE partiranno l’anno prossimo (forse)

Il via libera era arrivato a fine agosto ma il 6 settembre c’è stato un improvviso dietro-front. La NASA ha annunciato che i due satelliti gemelli ESCAPADE (Escape and Plasma Acceleration and Dynamics Explorers) non decolleranno verso Marte il 13 ottobre. La data sarebbe stata anche quella del primo volo del vettore pesante incaricato del lancio, il lungamente atteso New Glenn costruito da Blue Origin, compagnia spaziale fondata dal magnate e imprenditore Jeff Bezos.

Nonostante le rassicurazioni di Blue Origin la NASA non è parsa totalmente fiduciosa che il razzo sarebbe stato pronto per la data stabilita e che l’ultimo flusso di verifiche, integrazioni e lo static fire (prova di accensione dei motori) sarebbero andati lisci.

La ragione per rinunciare al lancio a più di un mese dall’apertura della finestra del 13-21 ottobre verso Marte si spiega con la necessità per la NASA di avviare le procedure di preparazione al lancio tra le quali la più critica è il caricamento del propellente nei serbatoi dei due satelliti. I composti utilizzati sono idrazina e tetrossido di azoto, rispettivamente combustibile e ossidante, che vengono fatti venire in contatto per generare una violenta reazione senza l’uso di altri inneschi. È un tipo di miscela usata fin dagli anni ‘50 per la sua affidabilità ma è altamente tossica e richiede particolari cautele nella sua gestione.
Attraverso la dichiarazione diffusa nei suoi canali la NASA ha affermato che nel caso di annullamento del lancio l’operazione di svuotamento dei serbatoi delle sonde avrebbe rappresentato una complicazione tecnica e di programmazione delle attività, nonché una grossa spesa aggiuntiva. Un’eventualità troppo azzardata che ha fatto decidere per rimandare il lancio a non prima della primavera 2025. Questo significa che le sonde ESCAPADE perderanno la finestra per arrivare verso il Pianeta Rosso lungo la traiettoria più rapida, rischiando che il viaggio si allunghi di svariati mesi rispetto ai 6/7 che sono necessari in condizioni ideali.

Non sono stati rilasciati dettagli su traiettorie alternative in fase di studio ma c’è una possibilità non trascurabile che il lancio venga persino rimandato di due anni in attesa del prossimo avvicinamento tra la Terra e Marte.

Rappresentazione artistica dei satelliti ESCAPADE. James Rattray/Rocket Lab USA

La missione ESCAPADE utilizzerà due veicoli spaziali identici per studiare come il vento solare interagisce con l’ambiente magnetico di Marte provocando la fuga dell’atmosfera del pianeta.

“Questa missione può aiutarci a studiare l’atmosfera di Marte, un’informazione chiave mentre esploriamo sempre più lontano nel nostro sistema solare e abbiamo bisogno di proteggere astronauti e veicoli spaziali dal meteo spaziale,” ha dichiarato Nicky Fox, amministratrice associata per la scienza presso il quartier generale della NASA a Washington. “Siamo impegnati a portare ESCAPADE in sicurezza nello spazio, e non vedo l’ora di vederla partire per il suo viaggio verso Marte”. E noi con lei!

Anche per questo aggiornamento dal Pianeta Rosso è tutto, alla prossima!

Bentornati su Marte! In questo nuovo appuntamento della rubrica ci sono aggiornamenti che interessano i due rover NASA Perseverance e Curiosity. Il primo sta esplorando delle aree a ovest del cratere Jezero e ha scoperto dei materiali di estremo interesse mentre il secondo, in modo decisamente fortuito, ha trovato dei materiali molto particolari all’interno di una roccia. Iniziamo le nostre cronache proprio con Curiosity, si parte!

Il primo zolfo puro rinvenuto su Marte

È stato con grande stupore che gli scienziati hanno rilevato una scoperta fatta dal veterano dei rover marziani (a proposito, il 5 agosto è ricorso il 12esimo anniversario dell’atterraggio di Curiosity sul Pianeta Rosso). Il 30 maggio il robot si stava spostando quando una delle sue ruote è passata sopra una roccia che si è frantumata mettendo in evidenza dei particolari cristalli gialli. La roccia è stata denominata “Convict Lake”, e le successive analisi sui cristalli eseguite con lo spettrometro APXS hanno rivelato qualcosa di mai osservato prima su Marte: zolfo puro.

 La roccia sbriciolata da Curiosity porta alla luce cristalli di zolfo puro. Foto del 7 giugno (Sol 4208). NASA/JPL-Caltech/MSSS
Questa roccia, battezzata “Snow Lake” e fotografata l’8 giugno, è molto simile a quella frantumata da Curiosity nove Sol prima. Un intero campo di rocce come questa circonda il rover e tutte presumibilmente inglobano zolfo. NASA/JPL-Caltech/MSSS

Da ottobre 2023, ovvero da quando ha iniziato la sua avanzata all’interno del canale chiamato Gediz Vallis, Curiosity ha incontrato spesso dei composti chiamati solfati. La regione abbonda di questi sali (costituiti da zolfo legato con altri elementi) i quali si sono formati quando l’acqua che li ospitava è evaporata. La formazione di cristalli di zolfo puro richiede invece condizioni differenti e molto particolari che gli scienziati non ritenevano potessero essersi verificate in questa regione. Sulla Terra sono per esempio coinvolti processi vulcanici e attività idrotermale.

Di zolfo sembra essercene davvero parecchio qui in quanto Curiosity ha documentato un intero campo di rocce brillanti analoghe a quella frantumata. “Scoprire cose strane e inaspettate è ciò che rende emozionante l’esplorazione planetaria” ha commentato Ashwin Vasavada, scienziata che lavora alla missione. “Un campo di pietre fatte di puro zolfo non dovrebbe trovarsi là, perciò ora dobbiamo trovare una spiegazione”.

Gediz Vallis è uno dei principali motivi per cui il team scientifico ha scelto di atterrare in questa zona di Marte. Si pensa che il canale sia stato scavato da flussi di acqua liquida e detriti che hanno lasciato creste di massi e sedimenti che si estendono per quasi tre km e mezzo lungo il versante della montagna al di sotto del canale. L’obiettivo attuale è comprendere meglio come questo paesaggio sia cambiato miliardi di anni fa e, sebbene le recenti scoperte abbiano aiutato, c’è ancora molto da svelare. Le ultime osservazioni di Curiosity sembrano indicare che due fenomeni abbiano alternativamente plasmato la regione. Da una parte violenti flussi alluvionali, testimoniati da rocce smussate e arrotondate portate dall’acqua, dall’altra frane avvenute in un ambiente asciutto le cui prove sono rocce dai bordi netti e angolati. Le reazioni chimiche avvenute in ambiente umido hanno modificato la chimica delle rocce e infine l’azione di vento e sabbia ha continuato a sagomare il paesaggio.

 

Mappa con la posizione di Curiosity aggiornata al 18 agosto. In evidenza il canale denominato Gediz Vallis e al centro sulla sinistra, per confronto, Piazza San Pietro nella Città del Vaticano: la porzione qui sovraimposta è lunga 565 metri. NASA/JPL-Caltech/Piras

Un prelievo di roccia, il 41esimo per Curiosity, è stato eseguito il 18 giugno sulla roccia “Mammoth Lakes”. Le rocce di zolfo sono estremamente fragili per lo strumento di campionamento del rover, perciò l’operazione ha richiesto qualche attenzione extra sia nella ricerca di una roccia con caratteristiche adatte che nell’operazione di “parcheggio” di Curiosity in modo che esso risultasse stabile e non a rischio di scivolare. I materiali sono stati poi depositati negli strumenti del rover per analisi dettagliate e i risultati aiuteranno gli scienziati a decifrare la storia geologica di questa regione.

Da giugno il rover si è ormai allontanato dall’area del prelievo su “Mammoth Lakes” e si è spostato verso sud percorrendo poco più di 100 metri. Tante nuove foto e anche un ulteriore campionamento di roccia stanno tenendo impegnato Curiosity mentre procede nell’ascesa verso Aeolis Mons, il rilievo di 5500 metri che svetta all’interno del Cratere Gale, con ogni strato della montagna che rappresenta un diverso periodo nella storia di Marte.

Foto della roccia “Mammoth Lakes” scattata nel Sol 4234. In basso è inquadrato il foro del trapano mentre in alto si nota l’abrasione superficiale eseguita tramite lo spazzolino metallico con il quale Curiosity pulisce le rocce da analizzare. NASA/JPL-Caltech/MSSS

 

Macchie di leopardo per Perseverance

A circa 3700 km di distanza dal Cratere Gale continuano le investigazioni dell’altro rover messo in campo dalla NASA e che sta esplorando il bordo ovest del Cratere Jezero. Nel numero 269 di Coelum Astronomia avevamo lasciato Perseverance poco dopo il suo arrivo a “Bright Angel”, la località caratterizzata da rocce chiare situata a nord di Neretva Vallis. Quest’ultimo è il canale sabbioso largo 400 metri dove un tempo scorreva un impetuoso fiume che alimentava il lago all’interno di Jezero.

L’abrasione del Sol 1179 (13 giugno), come ipotizzato, ha preceduto un prelievo vero e proprio che è stato eseguito a metà luglio nel punto più a nord raggiunto dal rover, dove l’argine del canale si eleva diventando quasi invalicabile. È qui che, nelle settimane antecedenti il momento del prelievo, una serie di osservazioni ha prodotto uno dei più importanti risultati della missione fino a questo momento. Facciamo un passo indietro e vediamo con ordine le scoperte fatte dal rover a “Bright Angel”.

Il 23 giugno, durante un breve spostamento all’interno dell’area, Perseverance incontra una formazione molto interessante sopra una roccia con dimensioni 100×60 cm che viene battezzata Cheyava Falls.

 

Dettaglio di Cheyava Fall con delle annotazioni che indicano i dettagli di interesse del masso: le “macchie di leopardo” e un grosso cristallo di olivina. NASA/JPL-Caltech/MSSS

La roccia è percorsa da vene bianche parallele tra loro composte da solfato di calcio con inglobati qua e là cristalli di olivina, un minerale dalle tonalità verdi che si forma nelle rocce magmatiche. In mezzo alle vene bianche viene individuato del materiale rossastro che indica la presenza di ematite, uno dei composti che conferiscono alla superficie a Marte il suo caratteristico colore. La porzione di ematite è costellata di piccoli puntini con dimensioni nell’ordine di pochi millimetri, con contorni scuri e irregolari che racchiudono zone di colore chiaro. Questa conformazione e colorazione è ciò che ha ispirato gli scienziati che li hanno denominati “macchie di leopardo”.

Una serie di scansioni con lo strumento SHERLOC (ebbene sì, ha ripreso a funzionare ma lo vediamo dopo) ha dimostrato in modo molto convincente che le rocce di Cheyava Falls contengono composti organici. Questa rilevazione si aggiunge a due dati importanti: il primo è il fatto, praticamente assodato vista la quantità di indicazioni in questo senso, che qui anticamente scorreva abbondante acqua. Il secondo dato è fornito dalle “macchie di leopardo”.

Dettaglio delle particolari formazioni rinvenute su Cheyava Falls, macro della camera WATSON del 23 giugno (Sol 1188). NASA/JPL-Caltech

Si ritiene che siano state delle reazioni chimiche a trasformare l’ematite da rossa a bianca con il rilascio di ferro e fosfati che sono andati a formare l’alone scuro documentato nelle immagini della camera WATSON. Tali reazioni chimiche sono ben note sulla Terra, ed è appurato che possono essere usate come fonte di energia da forme di vita batterica fornendo una correlazione molto forte tra la presenza di microbi e questo tipo di formazioni nelle rocce sedimentarie. In un colpo solo quindi Cheyava Falls si è rivelata essere la scoperta più importante eseguita fino a questo momento da Perseverance.

Inizia la scienza di contatto

Le investigazioni proseguono con un’abrasione che viene eseguita nel Sol 1191 (26 giugno). Il masso investigato non è però quello interessato dalle precedenti analisi ma uno collocato a fianco a Cheyava Falls, poco più in alto rispetto alla prospettiva del rover, che viene denominato Steamboat Mountain.

La zona brillante al centro della foto è il punto dell’abrasione eseguita il 26 giugno. La grande roccia sedimentaria in basso è Cheyava Falls. NASA/JPL-Caltech/Piras

Una documentazione fotografica di grande dettaglio viene acquisita dalla camera WATSON sia di giorno che di notte. Questo strumento fotografico è infatti dotato di sei illuminatori a LED che producono luce bianca e negli ultravioletti. Lunghezze d’onda ad alta energia quali gli UV sono usate per rilevare i fenomeni di fluorescenza propri di alcuni minerali.

 

Parte frontale della camera WATSON fotografata l’8 marzo 2021 (Sol 17). Il coperchio frontale della camera è chiuso ma quattro aperture mostrano i LED bianchi (sopra e sotto) e quelli UV (a sinistra). NASA/JPL-Caltech/MSSS

 

 

Osservazione notturna dell’abrasione larga 5 cm acquisita da WATSON. La scena è illuminata dai LED della camera. Sol 1191. NASA/JPL-Caltech

Dopo una breve deviazione alcuni metri verso est che lo impegna per non più di cinque giorni, il rover torna sui suoi passi il 17 luglio (Sol 1211) ed è pronto per proseguire le indagini sul masso Cheyava Falls. Si inizia con una fresatura della roccia che espone il materiale interno e in corrispondenza della porzione abrasa permette agli scienziati di continuare a comprendere le caratteristiche eccezionali illustrate nel paragrafo precedente. Gli strumenti impiegati sono le MastCam-Z, SuperCam, WATSON, SHERLOC e PIXL. Ciascuno di essi indaga un diverso aspetto del materiale per fornire una visione d’insieme ma, inevitabilmente, limitata. Tale limite è dettato dalla dimensione e dal peso degli strumenti che il rover ha potuto portare con sé sul Pianeta Rosso. Per andare oltre servirebbe portare queste rocce in laboratori specializzati, ma per fortuna Perseverance è attrezzato per questo obiettivo.

Il trapano di cui è dotato, in combinazione con un set di particolari punte che ormai conosciamo bene, permette al rover di estrarre piccoli carotaggi di roccia. Dopo l’interesse suscitato da questo masso era inevitabile che gli scienziati intendessero prelevarne un campione, e il rover è stato messo in azione il 21 luglio (Sol 1215). Il campione viene sigillato nella sua fiala lo stesso giorno del prelievo, misura 62 mm e viene denominato “Sapphire Canyon”. Si tratta del 22esimo campione di roccia raccolto sinora dal rover e quello appena chiuso è il 25esimo contenitore impiegato. Infatti, oltre a quelli rocciosi, Perseverance ha raccolto due campioni di sabbia a dicembre 2022 e un campione di aria ad agosto 2021.

 

Mosaico di foto della Left MastCam-Z che mostra il foro e l’abrasione su Cheyava Falls, la roccia a sinistra dell’immagine. Sol 1217 (23 luglio), NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

 

Cambia la prospettiva ma le due rocce sono ben riconoscibili: Cheyava Falls sulla sinistra, con in mostra la fresatura appena eseguita, e Steamboat Mountain a destra con l’abrasione di qualche Sol più vecchia. Left NavCam, Sol 1211. NASA/JPL-Caltech/Piras

 

 

Lo stato di Mars Sample Return e la scala CoLD

Come ben sanno i lettori di questa rubrica, il prelievo di campioni per il loro invio verso la Terra è una delle parti più importanti della missione Mars 2020 e costituisce il primo passaggio nell’ambito del progetto ampio (e molto più complesso) chiamato ‘Mars Sample Return’. I campioni di sabbia e roccia che Perseverance sta raccogliendo durante la sua esplorazione del Cratere Jezero vengono sigillati all’interno di piccole fiale di titanio. Questi contenitori saranno poi affidati nell’ordine: a un lander per raccolta e manipolazione; a un piccolo razzo che li porterà in orbita marziana; infine a un orbiter che da Marte tornerà verso la Terra con il contenitore dei campioni, affidando agli scienziati attuali e alle future generazioni il compito di svelare i segreti del Pianeta Rosso. Data prevista di fine missione circa entro metà del prossimo decennio, a patto che la NASA riesca nell’obiettivo di revisione della missione per ridurre i costi e velocizzare il termine delle operazioni (questa fase è descritta in maggior dettaglio in ‘Bentornati su Marte’ del numero 268 di Coelum Astronomia). L’agenzia statunitense ha terminato da alcuni mesi la fase in cui attendeva input da privati e centri NASA per modificare gli aspetti più critici della Mars Sample Return, e un resoconto è atteso per l’inizio dell’autunno. In quel momento comprenderemo meglio il futuro della missione e capiremo se davvero, come auspichiamo da anni con fiducia, i ricercatori potranno mettere le mani sui campioni per svelare eventuali tracce di passata vita batterica su Marte.

Del resto Cheyava Falls, il masso oggetto della cronaca che state leggendo, si è rivelato sinora il più promettente e tantissimi scienziati sono elettrizzati dai risultati preliminari delle sue analisi. Ma, al momento, quanto è probabile la rilevazione di possibile vita microbica extraterrestre sulla base delle informazioni disponibili?

Gli astrobiologi hanno sviluppato la scala CoLD (Confidence of Life Detection) per indicare con quanta probabilità un determinato campione possa essere associato a forme di vita, passata o presente. La scala si compone di sette gradini che vanno dalla ‘rilevazione del possibile segnale’ allo step finale che è la ‘conferma indipendente’. Ci sono passaggi intermedi come per esempio ‘esclusione di contaminazioni’, ‘esclusione di processi non biologici’ o ‘segnali aggiuntivi indipendenti’, tutti pensati in accordo con il metodo scientifico con lo scopo di non dare nulla per scontato. Data l’eco che la loro scoperta ha generato, potremmo essere portati a pensare che le rilevazioni su Cheyava Falls si collochino su una posizione di rilevo della scala CoLD, ma sono stati gli stessi scienziati che lavorano con Perseverance a stemperare gli entusiasmi. Siamo infatti ancora sul primo gradino, vale a dire il semplice rilevamento di un elemento d’interesse. Esistono alcuni processi non biologici che potrebbero aver generato queste ‘macchie di leopardo’ osservate sull’ematite tra i quali l’esposizione a temperature elevatissime, incompatibili con la vita, e che fornirebbero una spiegazione alla presenza dell’olivina la quale ha appunto origine magmatica.

Perseverance si scatta un nuovo selfie

Forse grazie all’agenda di attività un po’ più libera del solito o forse per celebrare la scoperta di questo masso così interessante e il successo del campionamento, il 24 luglio Perseverance si scatta un selfie. Per la maggior parte di noi umani si tratta ormai di un’operazione quasi banale ma su Marte, a centinaia di milioni di km di distanza e con un robot di una complessità spaventosa, non esistono operazioni semplici.

Perseverance impiega 46 minuti per scattare 62 immagini con la camera WATSON installata sul braccio robotico. Seguendo una sequenza di dettagliate istruzioni stilate dai tecnici del Jet Propulsion Laboratory, il rover muove il suo arto come in una precisissima coreografia nel corso della quale orienta lo stretto campo visivo della camera in tutte le direzioni attorno a sé. La finezza migliore è riservata per i momenti in cui il braccio rischierebbe di finire all’interno dell’inquadratura: con ulteriori acrobazie permesse dai cinque snodi di cui esso è dotato, Perseverance riesce a portare a termine una panoramica di 180° nella quale sembra che la foto sia stata fatta da qualcuno là su Marte a fianco al rover. Con una piccola variazione di appena tre foto è stata elaborata una versione alternativa dell’immagine riportata su queste pagine, dove sembra che il rover, invece di guardare in camera, stia ammirando con compiacimento il lavoro che ha eseguito sulla roccia al suolo.

Il più recente autoscatto di Perseverance. Sol 1218. NASA/JPL-Caltech/MSSS
Uno degli scatti alternativi nei quali la “Mast” del rover guarda verso il basso. NASA/JPL-Caltech/Piras

Combinando i singoli scatti nel modo opportuno, e soprattutto posizionandoli nel punto corretto del mosaico finale, possiamo anche renderci conto dell’ordine nel quale il rover abbia “scansionato” il paesaggio attorno a sé. Ve lo mostro in questo video che ho realizzato. La proiezione è diversa da quella usata dalla NASA perché le opzioni sono numerose quando si desidera di passare da una ripresa panoramica a una rappresentazione su un piano, ciascuna con i suoi pro e contro.

Dopo il prelievo e questo simpatico selfie sembra che per Perseverance non ci sia altro da studiare in questa regione, Bright Angel, che ha rispettato appieno le attese degli scienziati. Il rover può così tornare indietro verso il centro di Neretva Vallis e riprendere la sua strada verso sud-ovest dove inizierà la prossima parte della sua missione.

Sol 1224 (30 luglio), Perseverance si lascia alle spalle Bright Angel. NASA/JPL-Caltech
Posizione di Perseverance aggiornata al 20 agosto. La larga striscia chiara in alto è la regione Bright Angel con il marker relativo al prelievo lì eseguito. NASA/JPL-Caltech.

 

Un nuovo capitolo di esplorazione a Jezero

Quattro campagne scientifiche completate, tre anni e mezzo di esplorazione del fondo di Jezero e del delta del fiume, quasi 28 km percorsi e 22 campioni di roccia raccolti. Con questi numeri e i suoi strumenti scientifici in eccellenti condizioni operative Perseverance ha iniziato a fine agosto il quinto capitolo di esplorazione, la Crater Rim Campaign, che lo vedrà raggiungere il bordo occidentale del cratere. Lo attendono probabilmente i terreni più ripidi affrontati finora, con pendenze che arriveranno a 23° di inclinazione richiedendo la massima attenzione da parte dei piloti e ottime prestazioni dell’autonavigatore. Le regioni di maggiore interesse che il team scientifico intende esplorare sono state individuate in “Pico Turquino” e “Witch Hazel Hill”.

Mappa con il percorso elaborato dai piloti di Perseverance attraverso il bordo ovest del cratere Jezero. NASA/JPL-Caltech/University of Arizona

 

Il percorso verso la prima di queste regioni dista 1.8 km da “Serpentine Rapids”, l’area dove Perseverance si trovava a metà agosto, e richiederà al rover di risalire un primo dislivello di 300 metri. Nelle immagini satellitari “Pico Turquino” mostra fratture che potrebbe essere state causate da un’antica attività idrotermale. Le osservazioni orbitali di “Witch Hazel Hill” documentano invece possibili stratificazioni di materiali risalenti a un’epoca molto antica, quando il clima marziano era profondamente diverso rispetto a quello attuale. Questa zona, situata circa 1700 metri a ovest di “Pico Turquino” e ulteriori 250 metri più in alto, presenta un substrato roccioso chiaro simile a quello incontrato a “Bright Angel”, il che fa ipotizzare che anche qui potrebbero venir rilevate strutture e biosignature chimiche analoghe, generate forse miliardi di anni fa da batteri in presenza di acqua corrente.

 

Mosaico di 59 scatti che mostra la visuale verso sud delle zone che Perseverance si accinge a raggiungere. La prima di esse, “Dox Castle”, si trova poco a sinistra del rilievo di destra a 750 metri dalla posizione dell’immagine. Foto del 4 agosto (Sol 1229), NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS

I campioni finora raccolti da Perseverance hanno già offerto informazioni scientifiche di grande valore, ma la missione intravede altre scoperte all’orizzonte. “I campioni attuali rappresentano una raccolta di enorme interesse scientifico, ma esplorare il bordo del cratere ci offrirà l’opportunità di ottenere ulteriori campioni che potrebbero rivelarsi cruciali per comprendere la storia geologica di Marte,” ha dichiarato la scienziata Eleni Ravanis, membro del team Mastcam-Z di Perseverance e uno dei leader scientifici della Crater Rim Campaign. “In particolare ci aspettiamo di analizzare rocce provenienti dalla crosta marziana più antica. Queste rocce si sono formate attraverso una moltitudine di processi geologici, e alcune potrebbero rappresentare ambienti antichi, potenzialmente abitabili, che non sono mai stati esaminati da vicino prima d’ora.”

Ma raggiungere la cima del cratere non sarà un’impresa semplice. Perseverance dovrà seguire un percorso studiato dai tecnici per ridurre al minimo i rischi, pur offrendo al team scientifico delle opportunità di ricerca. Durante la prima parte dell’ascesa il rover guadagnerà circa 300 metri di altitudine raggiungendo la sommità in un’area che il team scientifico ha battezzato “Aurora Park”.

Da lì, a centinaia di metri sopra un vasto cratere di 45 chilometri di diametro, Perseverance sarà pronto per iniziare il prossimo capitolo della sua esplorazione.

Un oceano di acqua sotterranea all’interno di Marte?

Impiegando i dati acquisiti dal lander InSight della NASA, nel corso dei quali ha rilevato e misurato migliaia di piccoli sismi, un gruppo di ricercatori delle Università di San Diego e Berkley sono giunti alla conclusione che l’interno della crosta marziana potrebbe ospitare quantità enormi di acqua a profondità comprese tra 11.5 e 20 km. Fratture e porosità delle rocce ignee all’interno del pianeta, saturate di acqua, fornirebbero la migliore giustificazione ai dati rilevati dalla sonda. La quantità dacqua che permea le rocce sarebbe tale da poter ricoprire l’intero pianeta con un immenso oceano profondo circa 1.5 km. Questa scoperta non solo arricchisce la nostra comprensione del ciclo dell’acqua marziano, ma offre anche nuove prospettive su come il clima di Marte sia cambiato drasticamente. La possibilità che parte dell’acqua marziana sia rimasta intrappolata nella crosta, piuttosto che evaporare completamente nello spazio, potrebbe aiutare a risolvere il mistero di come il pianeta abbia perso la sua atmosfera e si sia trasformato da un mondo potenzialmente abitabile a un deserto gelido. Sebbene l’accesso a queste riserve dacqua sia attualmente fuori dalla nostra portata, lo studio apre la possibilità che tali ambienti profondi possano ospitare forme di vita microbica, analogamente a quanto osservato nelle miniere e negli oceani profondi sulla Terra. I risultati della ricerca potrebbero influenzare la pianificazione delle future missioni su Marte, indirizzando l’attenzione verso l’esplorazione del sottosuolo. La possibilità di trovare acqua liquida a grandi profondità potrebbe portare a missioni mirate a sondare queste zone e, in futuro, a sviluppare tecnologie in grado di sfruttare queste risorse che potrebbero rivelarsi cruciali per la colonizzazione del pianeta.

Rappresentazione artistica dell’interno di Marte in base allo studio in oggetto. James Tuttle Keane e Aaron Rodriquez, Scripps Institute of Oceanography

 

 

Riprendiamo l’esplorazione del Pianeta Rosso con Perseverance che si trovava a un passo da Neretva Vallis, il greto sabbioso dell’antico fiume che miliardi di anni fa scorreva verso est confluendo nel Cratere Jezero. C’è anche qualche interessante integrazione riguardante le aurore marziane catturate direttamente dalla superficie e per finire eccellenti conferme sullo stato della camera SHERLOC. Si parte!

Dove eravamo

Nel precedente appuntamento della rubrica abbiamo lasciato il rover Perseverance impegnato nell’analisi di un’abrasione eseguita su una roccia depositata al suolo. Grazie agli aggiornamenti NASA abbiamo nel frattempo scoperto che la roccia viene battezzata Old Faithful Geyser, ma ci sono dettagli geologici molto più interessanti del suo nome.

Avvio dell’operazione di fresatura catturato dalla Front Left HazCam, Sol 1051. NASA/JPL-Caltech/Piras
Una delle fotografie diurne eseguite dalla camera WATSON successivamente alla fresatura, Sol 1051. NASA/JPL-Caltech

La roccia Old Faithful Geyser, così come i tre prelievi che l’hanno preceduta eseguiti lungo la Marginal Unit (Pelican Point, Lefroy Bay e il più recente Comer Geyser), si conferma ricca di carbonati. Ma ci sono alcune differenze nel modo in cui i grani sono cementati all’interno che rendono ciascuna roccia, in un certo senso, unica. La spiegazione potrebbe risiedere nei meccanismi di formazione o in differenti processi di alterazione. Lo studio di questa nuova roccia è stato pensato per integrare le analisi sinora a disposizione degli scienziati in modo da espandere i campionamenti man mano che Perseverance si muove verso ovest e servirà a comprendere se le rocce carbonatiche lungo il percorso siano formate tramite processi sedimentari, vulcanoclastici o ignei.

L’osservazione di Old Faithful Geyser non si è fermata all’imaging esterno ma ha impiegato anche lo strumento PIXL, lo spettrometro a raggi X installato sul braccio robotico, che ha analizzato l’interno della roccia per mappare la dimensione e distribuzione dei grani della roccia. Anche questo rilievo sarà confrontato con quelli analoghi eseguiti nelle settimane passate.

Confronto fra le tre rocce da cui Perseverance ha estratto gli ultimi tre campioni. NASA/JPL-Caltech/Piras

Perseverance mette il turbo

Dopo aver completato il percorso a ostacoli schivando massi e sabbia lungo l’Unità Marginale e procedendo per questa ragione a rilento, i piloti della NASA vedono finalmente tra le dune uno spiraglio verso nord che permetta al rover di accedere all’interno di Neretva Vallis senza pericoli. Il rischio di insabbiarsi era prima d’ora talmente concreto che è stato accettato di perdere tempo con la lenta traversata sulle rocce della West Marginal Unit.

Visuale verso nord nel Sol 1158 (23 maggio). NASA/JPL-Caltech/Piras
Spostamenti di Perseverance dal Sol 1159 al 1176

Il Sol 1162 (27 maggio) Perseverance si è così potuto insinuare verso nord attraverso Dunraven Pass, muovendosi per la notevole distanza di 200 metri e ricordandoci delle sue vere potenzialità messe in ombra nelle precedenti settimane: la tratta unica più lunga era stata di 90 metri, ma mediamente ogni spostamento (o drive, come li chiamano i tecnici) non ha superato i 30.

Il rover giunge al centro dalla valle sabbiosa un tempo costituente il letto del fiume che fluiva verso est in direzione del cratere Jezero. Dalla posizione indicata con il marker rosso a destra nella mappa numero 2 Perseverance esegue una serie di scatti con le MastCam-Z per comporre un mosaico di Mount Washburn, il rilievo che si erge all’interno di Neretva Vallis ben visibile nelle immagini satellitari e che il rover inquadra guardando verso est. Gli scienziati avevano già osservato la regione da lontano cogliendo alcune peculiarità nella composizione e trama delle rocce e appena l’occasione si presenta decidono di indagare ulteriormente.

Il risultato è indubbiamente un bel panorama ma c’è qualcosa di più che salta all’occhio anche ai meno esperti: al centro dell’immagine si staglia un masso alto circa 40 cm eccezionalmente brillante con delle macchie scure. Viene battezzato “Atoko Point” dal nome di un rilievo a est del Grand Canyon in Arizona.

Panorama del Sol 1162. NASA/JPL-Caltech

È noto che impetuosi fiumi, su Marte come sulla Terra, siano stati in grado di trasportare materiale verso valle anche per lunghe distanze, e il masso qui inquadrato sembra provenire davvero da molto lontano. Peraltro non è l’unico con una superficie così chiara in quanto ingrandendo l’immagine se ne scorgono anche altri. Potrebbe essere una piccola anteprima di ciò che attende il rover nei prossimi mesi e anni di missione, o addirittura provenire da regioni che Perseverance non raggiungerà mai. I tecnici non si fanno sfuggire l’occasione di investigare più nel dettaglio “Atoka Point” e lo fanno con ulteriori zoom della MastCam-Z e con la SuperCam, quest’ultima impiegata anche con il suo laser vaporizzatore per indagare la chimica del masso.

Atoko Point nel dettaglio catturato dalla Left MastCam-Z, Sol 1162. NASA/JPL-Caltech/ASU/Piras
Unione di tre immagini di SuperCam RMI, Sol 1162. NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/IRAP/Piras

Finalmente Bright Angel!

Dopo l’osservazione di Mount Washburn Perseverance non ha fatto altre tappe e ha proceduto spedito prima leggermente verso nord a toccare “Tuff Cliff” e poi verso ovest attraversando “Cedar Ridge” fino all’arrivo alla destinazione finale: Bright Angel.

Immagine NavCam del Sol 1172. Ci troviamo all’interno di Neretva Vallis e guardiamo verso ovest. A destra si intuisce Bright Angel appena alle pendici del rilievo. NASA/JPL-Caltech

È questo il nome che gli scienziati hanno dato all’area al confine ovest dell’Unità Marginale e parzialmente inglobata in Neretva Vallis. Ben visibile anche dalle immagini satellitari grazie al suo colore chiaro che spicca rispetto alle zone circostanti, era nel mirino dei ricercatori ancora prima che la missione del rover iniziasse nel 2021. Le rocce chiare che costituiscono Bright Angel potrebbero essere sedimenti che nel tempo si sono accumulato e hanno formato il canale o materiale ancora più antico, esposto dall’azione erosiva dell’acqua.

Perseverance arriva alla base dell’affioramento intorno al 10 giugno. Le prime immagini stupiscono i geologi e l’intero team scientifico: le rocce presentano strutture stratificate con bordi taglienti che richiamano alla mente vene minerali, simili a quelle osservate mesi fa alla base del cono alluvionale con la differenza che qui sono molto più abbondanti. Ci sono anche alcuni piccoli sassi raggruppati tra loro che presentano delle piccole sfere in superficie. Il team ci mette poco a inventare un’analogia per queste strutture che vengono scherzosamente definite “simili a popcorn”. La visione d’insieme suggerisce che in questa regione scorresse acqua di falda.

Le strutture a “popcorn” di Bright Angel osservate da Perseverance nel Sol 1175, Left MastCam-Z. NASA/JPL-Caltech/ASU/Piras
Sottilissimi scaglie di roccia emergono dalla sabbia e proiettano al suolo le proprie ombre frastagliate. Right MastCam-Z nel Sol 1182. NASA/JPL-Caltech/ASU/Piras

Nei Sol successivi Perseverance è risalito verso nord di qualche decina di metri documentando il paesaggio circostante e la chimica delle rocce con analisi spettrali. Nei Sol 1179 e 1191 (13 e 26 giugno) si è poi proceduto a due distinte fresature di basamenti al suolo, a non troppa distanza l’uno dall’altro.

Fresatura eseguita da Perseverance nel Sol 1191. NASA/JPL-Caltech/Piras
Osservazione dell’abrasione con la camera WATSON, Sol 1191. NASA/JPL-Caltech/Piras

Vedremo se prima di proseguire le esplorazioni il rover, che nel frattempo è praticamente stazionario da alcune settimane, verrà programmato anche per un nuovo prelievo. La regione attualmente in esplorazione è un tesoro per i geologi tra lastre erose dall’acqua, concrezioni di olivina e vene minerali che tagliano in due i massi al suolo.

Credo che siamo in tanti a non vedere l’ora di leggere le analisi degli scienziati al lavoro nella missione del rover non appena saranno disponibil! E come sempre troverete sulle pagine di Coelum Astronomia una completa e rigorosa sintesi delle evidenze risultanti, perciò continuate a seguire questa rubrica web e la sua gemella sulla rivista cartacea.

Riguardo a Perseverance, una volta terminati i lavori in quest’area tornerà sul versante sud del canale in direzione di “Serpentine Rapids” per poi continuare a percorrere Neretva Vallis verso ovest.

Breve avanzamento di Perseverance all’interno di Bright Angel e posizione aggiornata al Sol 2104 (9 luglio)

La CME di maggio: i risultati scientifici

Nel precedente appuntamento della rubrica avevamo visto che l’orbiter MAVEN e il rover Curiosity si stessero preparando all’analisi delle espulsioni di massa coronale originate dalla macchia solare AR3664.

Le rilevazioni più importanti dei due apparati statunitensi non hanno però riguardato le CME legate al brillamento di classe X3.8 dell’11 maggio (quello direttamente responsabile delle aurore documentate sulla Terra sino a latitudini tropicali) e neppure il brillamento X8.79 del 14 maggio.

Un terzo brillamento di intensità ancora maggiore è avvenuto il 20 maggio quando la macchia AR3664 era ormai sparita dal disco solare visibile dalla Terra ma è stata rilevata e misurata nella sua intensità dal satellite NASA-ESA Solar Orbiter. La potenza stimata è stata X12, rendendo questo l’evento più energetico misurato dal novembre 2003.

Sulla superficie di Marte i tecnici di Curiosity si sono fatti trovare pronti con lo strumento Radiation Assessment Detector (RAD), ma non solo. Il rilevatore di particelle del rover ha misurato una quantità di radiazioni al suolo pari a 8.1 millisievert, equivalenti all’incirca a 30 radiografie al torace. Pur non rappresentando una dose letale per un astronauta che si fosse trovato senza adeguate schermature su Marte, è tuttavia la massima rilevazione mai misurata da Curiosity nei suoi 12 anni di operazioni.

Altre analisi di Curiosity hanno impiegato degli strumenti ottici, ovvero MastCam e NavCam. Queste ultime hanno monitorato il paesaggio marziano e documentano l’interazione delle particelle cariche con i fotorilevatori del sensore CCD. Il risultato è rumore digitale che dà luogo a una specie di “neve”. Nelle immagini acquisite si notano persino intere strisciate, generate da singole particelle che hanno percorso il piano del sensore eccitando molteplici pixel.

Immagine NavCam del 20 maggio, Sol 4190. NASA/JPL-Caltech

Le osservazioni con le MastCam sono state invece un po’ diverse a partire dal fatto che si sono svolte durante la notte e hanno cercato di rilevare l’emissione ottica del vento solare, ovvero l’aurora. La ricerca di questa debolissima traccia giustifica le acquisizioni descritte in News da Marte #29 che, a una prima occhiata, poteva sembrare avessero poco senso. Ma abbiamo fatto bene a non giungere a conclusioni affrettate e riservarci di tornare in seguito sulla loro analisi.

Le aurore su Marte

Sul Pianeta Rosso, a causa dell’assenza di un campo magnetico globale, l’interazione tra le particelle cariche e l’atmosfera non è concentrata sui poli come sulla Terra ma genera fenomeni differenti. Uno tra questi è noto con il nome di aurora diffusa e si manifesta a livello planetario come un bagliore nell’emisfero al buio in specifiche linee di emissione nell’ultravioletto a cavallo tra 130.4 e 297.2 nanometri dovute ad anidride carbonica, monossido di carbonio e ossigeno atomico. Le lunghezze d’onda interessate sarebbero perciò esterne alle bande passanti dei filtri di Curiosity che arrivano al massimo a circa 420 nm, corrispondenti al limite inferiore della banda del colore blu. Recentissimi studi hanno però confermato l’esistenza finora solo teorizzata di un’emissione aggiuntiva legata all’ossigeno localizzata a 557.7 nm, nella lunghezza d’onda del colore verde e perciò in piena banda visibile. È un risultato attualmente ancora in fase di pre-print e che dovrebbe venir presentato tra un paio di settimane alla decima International Conference on Mars a Pasadena, California, e che sfrutta le rilevazioni eseguite con le camere di Perseverance. Le tecniche di analisi sono estremamente interessanti e meritano una descrizione nel paragrafo finale di questo articolo.

In orbita marziana era contemporaneamente al lavoro MAVEN che ha rilevato il fenomeno già menzionato delle aurore diffuse nell’intero emisfero in ombra mentre il pianeta veniva investito dalle particelle solari. Durante le osservazioni, eseguite dal 14 al 20 maggio, la sonda parrebbe aver rilevato anche un’altra tipologia di fenomeno chiamato aurora discreta. Queste ultime sono generate dall’interazione del vento solare con le aree, piccole e sparpagliate soprattutto nell’emisfero sud di Marte, in cui si conserva un intenso magnetismo crostale. Si tratta di regioni di crosta raffreddatesi quando ancora il pianeta aveva un magnetismo globale che si è così conservato nelle rocce. Queste regioni non sono state in seguito bersagliate da grandi impatti meteorici che, alzando la temperatura oltre la soglia per cui la roccia perde le proprietà magnetiche (temperatura di Curie), hanno fatto sì che gran parte della superficie di Marte perdesse anche questo magnetismo residuo. Ma nelle aree dove ancora si conserva è talmente intenso da guidare la formazione di aurore estremamente localizzate.

Rilevazione del 20 maggio di MAVEN nell’emisfero notturno di Marte con lo strumento sensibile all’ultravioletto. NASA/University of Colorado/LASP

Per completare la trattazione vale la pena menzionare un ulteriore tipo di aurora marziana: a quelle diffuse e quelle discrete si aggiungono le aurore protoniche (scoperte da MAVEN nel 2018) che riguardano l’emisfero illuminato.

Nel 2022 la sonda emiratina Hope ha invece rilevato per la prima volta un potenziale quarto tipo di aurora (definito come sinuosa discreta) la cui emissione osservata nell’ultravioletto si distendeva per una grande porzione dell’emisfero marziano in ombra. La spiegazione per questo nuovo fenomeno non è al momento chiara perché mostra caratteristiche simili a quelle delle aurore discrete, ovvero una precisa localizzazione, sebbene sia apparentemente generata dagli stessi meccanismi delle aurore globali. I prossimi mesi di attività solare e le osservazioni che seguiranno aiuteranno a far chiarezza.

Emirates Mars Mission

L’aurora nel visibile di Perseverance

Il 15 marzo un flare di intensità C4.9 (quindi circa 90 volte inferiore rispetto al fenomeno X3.8 legato alle aurore terrestri di maggio) originato dalla macchia solare AR3599 ha generato un’espulsione di massa coronale interplanetaria che ha viaggiato sino a Marte. Nel paper intitolato First Detection Of Visible-Wavelength Aurora On Mars (Knutsen, McConnochie, Lemmon et al., 2024) vengono riportati i risultati del quarto tentativo, stavolta riuscito, di rilevare un’aurora diffusa direttamente dalla superficie di Marte e, per la prima volta in assoluto, dell’emissione a 557.7 nm dell’ossigeno atomico responsabile della tinta verde comune anche alle aurore terrestri. Per farlo gli scienziati sono ricorsi a Perseverance e allo spettrometro della SuperCam, dotato tra le altre cose di un amplificatore ottico nell’intervallo 535-853 nm utile per aumentare l’intensità della debole emissione d’interesse. 

L’ora di arrivo della tempesta solare ha rispettato le previsioni e l’impatto con Marte è stato confermato anche da un incremento di errori nella memoria della sonda Mars Express di un fattore 4. Le osservazioni spettrali di Perseverance sono partite alle 00:34 del Sol 1094 e, dopo aver compensato il rumore di fondo e applicato gli opportuni filtraggi, mostra in modo eloquente il picco di luce alla lunghezza d’onda attesa.

In nero la media delle acquisizioni spettrali della SuperCam e in verde la curva di miglior adattamento. In basso in rosso il rumore residuo. Knutsen, McConnochie, Lemmon et al.

Al termine delle rilevazioni con la SuperCam, Perseverance ha eseguito acquisizioni anche con le MastCam-Z utilizzando i filtri RBG con cui produce le immagini nello spettro visibile. Nonostante la presenza in cielo del luminoso Fobos che ha aggiunto una tinta giallo-arancio alle immagini, al termine delle compensazioni anche le immagini della MastCam-Z hanno mostrato un eccesso di radiazione nel canale verde. 

I ricercatori hanno concluso che l’evento CME studiato ha prodotto un’emissione con intensità stimata di 93 Rayleigh (unità di misura per il flusso luminoso). Le rilevazioni oggetto di studio sono state parzialmente degradate dalla presenza di polveri in sospensione nell’atmosfera che hanno ridotto la luminosità dell’evento, ma si ritiene che in condizioni atmosferiche migliori o nel caso di CME di poco più potenti si potrebbe raggiungere la soglia di visibilità umana. Quindi, un giorno, astronauti e astronaute potrebbero vedere con i loro occhi aurore su Marte.

SHERLOC è di nuovo operativa

La comunicazione ufficiale è arrivata il 17 giugno attraverso gli aggiornamenti resi disponibili dalla NASA e conferma ciò che su queste pagine avevamo già ipotizzato a metà maggio in News da Marte #28. Succede spesso che nelle immagini grezze si nascondano piccole anticipazioni su ciò che verrà narrato più tardi nelle cronache dei rover…

Sono state proprio le immagini acquisite l’11 maggio che hanno confermato la ripresa funzionalità della camera SHERLOC che a inizio gennaio era rimasta con lo sportellino di protezione della lente bloccato in posizione socchiusa.

Posizione della camera SHERLOC ACI sulla torretta del braccio robotico, Sol 1044. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

I tentativi di ripristinare la funzionalità del piccolo motore che aziona lo sportellino, che permette inoltre il fondamentale controllo della messa a fuoco, hanno avuto parziale successo nel corso dei mesi di lavoro. I tecnici hanno scaldato l’attuatore coinvolto, hanno azionato il trapano nel tentativo di smuovere granelli di polvere che potessero ostacolare il movimento di apertura, eseguito particolari acrobazie con il braccio robotico…

Non si sa di preciso quale di queste azioni sia stata risolutiva, ma alla fine i tecnici sono riusciti ad aprire lo sportellino quanto bastava per non ostruire più la lente di SHERLOC che è sia una camera che uno spettrometro. Il motore non era però in grado di muoversi liberamente e perciò una precisa messa a fuoco era ancora impossibile da ottenere. È servito un piano B.

Se l’obiettivo fotografico non può agire sulla messa a fuoco allora si può intervenire avvicinando o allontanando la camera al soggetto. Sfruttando l’estrema precisione dei movimenti del braccio robotico, capace di spostamenti minimi di 0.25 millimetri, i tecnici hanno eseguito un test sul target di calibrazione di SHERLOC individuando in 40 mm la distanza dal soggetto per ottenere una precisa messa a fuoco.

La prima immagine nuovamente a fuoco di SHERLOC viene acquisita nel Sol 1047. NASA/JPL-Caltech/Piras

Per il primo test vero e proprio su una roccia bisogna aspettare qualche giorno marziano, il Sol 1153. Il risultato dà esito positivo.

18 maggio, Perseverance fotografa di nuovo una roccia con SHERLOC ACI. NASA/JPL-Caltech

Quasi un mese dopo, il 17 giugno, si presenta l’occasione di testare anche lo spettrometro di SHERLOC. Anche questo test ha successo, e la NASA può così dichiarare ufficialmente riuscito un debug hardware eseguito su un apparato distante centinaia di milioni di km. Pur con la limitazione di non poter agire sulla messa a fuoco diretta tramite l’obiettivo, Perseverance continuerà a produrre dati di immutata qualità scientifica con SHERLOC. Avanti tutta!

Anche per questo appuntamento è tutto, alla prossima!

Questo aggiornamento sulle attività dei rover NASA sarà un po’ più mirato del solito e si focalizzerà principalmente su due tipi di tempeste, di sabbia e solari, e le loro conseguenze. Nella seconda parte ci divertiremo poi a indagare il Sole grazie all’occhio acutissimo di Perseverance. Si parte!

Il massimo del ciclo solare

Maggio è stato un mese di grandissimo interesse per chi si occupa di scienza del Sole. Ci avviciniamo al picco di attività della nostra stella all’interno del ciclo di 11 anni, e gli strepitosi fenomeni di aurore e SAR osservati sulla Terra sino a latitudini tropicali ne sono stati la prova. Su Marte la NASA non si farà trovare impreparata in quanto ha due apparati pronti non solo per rilevare ma anche misurare l’intensità delle eruzioni solari e i fenomeni che ne conseguono.

MAVEN

Il primo di questi apparati si trova in orbita ed è la sonda MAVEN, acronimo di Mars Atmosphere and Volatile Evolution. La missione del satellite, iniziata nel settembre 2014, è focalizzata sulla misurazione della fuga dell’atmosfera di Marte, cercare di comprenderne l’evoluzione nel tempo e da qui dedurre quale fosse il clima del pianeta nel suo passato.

NASA/GFSC

Non è poi un caso che MAVEN sia progettata anche per rilevare radiazioni e influenza del vento solare; infatti i picchi di attività della nostra stella, su un pianeta privo di campo magnetico globale come Marte, riescono a soffiare via l’atmosfera durante tempeste solari particolarmente violente. I modelli climatici prevedono che le stagioni marziane più calde, oltre a produrre le celebri tempeste di sabbia che talvolta arrivano ad avvolgere l’interno pianeta, riscaldino e “gonfino” significativamente l’atmosfera. In essa si trova miscelato anche il vapore acqueo che sublima dai ghiacci e che viene così investito dal vento solare e disperso nello spazio. Questo processo, ripetuto nel corso di miliardi di anni, potrebbe aver avuto il potenziale di trasformare un mondo umido nell’attuale deserto arido che è Marte. Un cruciale fattore di riscaldamento globale del pianeta giunge dal suo posizionamento in perielio, punto di massima vicinanza al Sole. L’orbita di Marte ha una marcata eccentricità e questo fa sì che nel punto di perielio il pianeta riceva quasi il 50% di radiazione e calore in più rispetto all’afelio. La stagione delle tempeste di sabbia è attualmente in corso. Siamo infatti a ridosso del perielio (avvenuto l’8 maggio) e quest’anno in concomitanza, come detto, di un periodo di intensa attività solare. MAVEN sta sfruttando questa sovrapposizione di eventi per compiere studi alla ricerca di conferme sperimentali sulla validità delle teorie attuali sulla fuga dell’atmosfera.

Curiosity

Il secondo apparato messo in campo dalla NASA per studiare gli attuali picchi di attività solare è il rover Curiosity. Insieme agli strumenti per l’analisi chimica delle rocce e le numerose camere, il robot monta sulla propria plancia uno strumento chiamato RAD. Il nome è l’acronimo di Radiation Assessment Detector e si tratta di un rilevatore di particelle altamente energetiche.

NASA/JPL-Caltech/MSSS

RAD studia la radiazione solare che filtra nell’atmosfera e colpisce la superficie di Marte. Queste particelle hanno sufficiente energia per spezzare le molecole organiche, inducendo dei processi che danneggiano le eventuali tracce fossili di vita batterica che rappresentano gli attuali obiettivi di studio sul Pianeta Rosso. Ma gli scopi di RAD non si fermano qui: lo strumento sta fornendo indicazioni sulle schermature di cui i futuri habitat umani dovranno essere dotati per fornire un sufficiente livello di sicurezza ai primi astronauti che metteranno piede su Marte. Prima ancora dell’atterraggio sul pianeta nel 2012 a bordo di Curiosity, RAD ha misurato la radiazione nello spazio interplanetario, anche in questo caso con lo scopo di quantificare la pericolosità di un viaggio spaziale per un equipaggio. Gli strumenti di MAVEN e il RAD di Curiosity si completano a vicenda, potremmo dire: i detector del satellite sono sensibili alle radiazioni a bassa energia mentre RAD rileva quelle estremamente più energetiche che riescono a penetrare l’atmosfera e arrivare sino alla superficie. Per questa ragione capita che i team del rover e della sonda lavorino fianco a fianco per caratterizzare da prospettive differenti un medesimo evento solare. Vedremo probabilmente in uscita nei prossimi mesi qualche news o paper scientifico basato sulle rilevazioni che questi due apparati stanno portando avanti.

A caccia dell’aurora

Il 14 maggio la macchia solare AR3664, balzata ai proverbiali onori delle cronache in quanto responsabile pochi giorni prima delle aurore più potenti dal 2003 a oggi, era ormai sul bordo orientale del Sole. Forse intenzionata a dare un saluto memorabile alla Terra, quel giorno ha prodotto un flare di classe X8.79, il più potente del Ciclo Solare 25.

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Immagine a 131 Å del satellite Solar Dynamics Observatory. NASA/SDO/AIA team

Ma mentre la conseguente espulsione di massa coronale non ha interessato la Terra a causa della posizione al confine del disco solare, AR3664 era orientata in direzione di Marte. Sul Pianeta Rosso, a causa dell’assenza di un campo magnetico, l’interazione tra le particelle cariche del vento solare e l’atmosfera non è concentrata sui poli come sulla Terra ma appare come un’aurora diffusa globale. Gli aggiornamenti NASA sulle attività del rover Curiosity riportano che i tecnici abbiano deciso qualche giorno dopo la CME di svolgere un’osservazione notturna del cielo con le MastCam del rover alla ricerca dell’elusivo bagliore aurorale. L’attività è stata eseguita nella tarda serata del Sol 4189, producendo complessivamente 24 immagini a lunga esposizione (12 per ciascuna camera) a intervalli di 105 secondi che sono state rese disponibili nelle pagine dedicate alle foto grezze. Nel database NASA non ho purtroppo trovato disponibili dei dark frame per rimuovere il rumore digitale dei sensori e provare così a ripulire le immagini. Ogni tentativo di elaborazione di queste foto è stato inutile e tutto ciò che si vede è il disturbo di acquisizione che sovrasta anche l’eventuale segnale prodotto dalle stelle. Da parte mia non posso fare assunzioni se queste riprese abbiano avuto successo, vedremo in future news ufficiali quali siano stati i risultati.

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Una delle 24 immagini notturne acquisite da Curiosity nel Sol 4189. Right MastCam. NASA/JPL-Caltech/MSSS

C’è da aggiungere che, nonostante queste foto siano state scattate sia dalla MastCam di destra che da quella di sinistra, probabilmente solo la Left ci avrebbe permesso di apprezzare il fenomeno astronomico dell’aurora grazie alla lunghezza focale di 34 mm opposta al 100 mm della Right. Dal punto di vista della tecnica fotografica un teleobiettivo è estremamente limitante qualora si vogliano osservare ampie parti del cielo come sarebbe stato opportuno in questo caso. Ma da settembre 2023 la Left MastCam continua a presentare il problema della ruota portafiltri bloccata a metà del filtro trasparente L0 (problema descritto per la prima volta in News da Marte #23). Attualmente i tecnici stanno continuando a impiegare la camera con l’accorgimento di scaricare perlopiù solo dei ritagli delle foto per non sprecare risorse con le porzioni oscurate delle immagini.

Foto del Sol 4191 della Left MastCam di Curiosity. NASA/JPL-Caltech/MSSS  
Simulazione del ritaglio a cui le immagini della Left MastCam vengono attualmente sottoposte. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras
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Recente immagine della Left MastCam con il ritaglio descritto. NASA/JPL-Caltech/MSSS

Nuove osservazioni solari di Perseverance

Curiosity non è stato l’unico rover che a maggio ha guardato il cielo di Marte. Anche Perseverance è stato impegnato in osservazioni con il naso all’insù, sia solari che stellari. Come visto in passato su queste pagine, le rilevazioni solari sono permesse dalle MastCam-Z, la coppia di camere montate sulla testa (da qui il termine Mast) del rover e dotate di uno zoom (da qui la lettera Z) con escursione 26-110 mm che si differenziano dalle focali fisse di Curiosity. Ciascuna camera monta una ruota di filtri con cui isolare specifiche lunghezze d’onda nello spettro, in modo da capire esattamente quali specie minerali siano più abbondanti in determinate rocce. Tra questi filtri ce ne sono anche due solari, con i quali il rover osserva quasi quotidianamente il Sole per studiare quante polveri siano presenti in sospensione nell’atmosfera e di conseguenza stimare il parametro dello spessore ottico indicato con la lettera greca tau. Alle migliaia di foto scattate da scienziati e semplici appassionati alla macchia AR3664 menzionata nelle cronache di Curiosity, è doveroso per noi esploratori marziani aggiungere le riprese eseguite da Perseverance. Questa macchia, talmente grande da essere stata visibile persino a occhio nudo (ma sempre, ricordo, con gli opportuni filtri), alla sua massima dimensione si è estesa su una lunghezza pari a quasi 18 Terre una a fianco all’altra.

Il Sole visto da Marte il 12 maggio

Tra le immagini che ho selezionato per l’articolo la prima è stata acquisita il 12 maggio (Sol 1147) quindi all’indomani dei fenomeni aurorali estremi. Quando ormai sulla Terra AR3664 si accingeva a tramontare sul lato orientale del disco solare (come illustrato nell’immagine di SDO) su Marte la macchia aveva da poco iniziato a dare bella mostra di sé.

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Foto della Left MastCam-Z del 12 maggio, Sol 1147. NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS/Piras  
Il Sole del 12 maggio visto dallo strumento Helioseismic Magnetic Imager a bordo del satellite SDO. NASA/SDO/HMI team/SpaceWeatherLive

Vale la pena tornare un po’ indietro nel tempo con le immagini del satellite SDO della NASA e ripescare un’acquisizione dello strumento Helioseismic Magnetic Imager datata 4 maggio. In essa si riconosce quasi perfettamente la configurazione di macchie solari che 8 giorni dopo, in seguito alla rotazione della superficie della nostra stella, era rivolta verso Marte.

Immagine del 4 maggio. NASA/SDO/HMI team/SpaceWeatherLive

Il Sole visto da Marte il 14 maggio

11 ore prima che AR3664 producesse l’impressionante brillamento con intensità X8.79 menzionato a inizio articolo, Perseverance aveva fotografato ancora una volta il Sole. L’immagine risultante conferma l’ottimo allineamento della macchia solare in direzione di Marte e ci lascia a fantasticare su quali aurore l’eruzione avrebbe potuto produrre sulla Terra se fosse avvenuta pochi giorni prima!

NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS/Piras

Rotazione solare: animazione

Le ultime immagini sul tema che desidero mostrarvi sono due animazioni realizzate a partire dalle foto solari di Perseverance dal 30 aprile al 22 maggio. I frame della prima gif sono quelli originali così come scaricati dalle pagine NASA, con l’unico accorgimento di aver centrato l’inquadratura sul Sole. Si notano i pixel colorati dovuti al rumore digitale del sensore, l’inclinazione variabile del Sole in base all’ora a cui le foto sono state scattate e soprattutto la mutevole luminosità legata a quanta polvere fosse presente in atmosfera.

NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Ho quindi sottoposto i frame alla pulizia dagli hot pixel, uniformato l’esposizione e corretto l’inclinazione del disco in modo da rendere fluida la rotazione. Questo è il ben più gradevole risultato.

NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Ma questa polvere nell’aria che la sta facendo da padrona…si riesce a vedere? Come spesso avviene, un’immagine vale più di mille parole. Ecco una foto realizzata dalla camera di navigazione di Perseverance che illustra come i rilievi all’orizzonte quasi svaniscano a causa dell’oscuramento atmosferico.

Ripresa con la Left NavCam nel Sol 1158, 23 maggio. In basso c’è un ritaglio della porzione superiore della stessa foto. NASA/JPL-Caltech/Piras

Astrofotografia da Marte

Apparentemente non legato all’osservazione di particolari fenomeni nei cieli marziani, nella notte del Sol 1153 Perseverance ha eseguito uno scatto a lunga esposizione con la MastCam-Z di sinistra. Stavolta, a differenza delle immagini notturne di Curiosity, i tecnici hanno prodotto anche dei rudimentali dark frame eseguendo preliminarmente degli scatti con il filtro solare che, grazie all’oscuramento estremo che fornisce, ha bloccato a sufficienza ogni potenziale luce in ingresso alla camera. Ho potuto utilizzare queste particolari immagini per provare a migliorare il light frame, ovvero la foto notturna vera e propria. L’immagine è rimasta comunque rumorosa perché ho aumentato molto il contrasto con lo scopo di evidenziare sia la scia delle stelle che parte del paesaggio. Ebbene sì, Perseverance ha osservato delle stelle all’orizzonte.

Left MastCam-Z, Sol 1153. NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS/Piras

I metadati dell’immagine grezza ci aiutano a collocare lo scatto esattamente in direzione ovest e questo è coerente con l’inclinazione delle stelle le quali, viste dall’emisfero nord di Marte, stanno tramontando. Con l’ausilio del software di simulazione Stellarium possiamo ricostruire il cielo visto da Perseverance inserendo data e ora della foto (le 2:49 italiane del 18 maggio). Se con un po’ di pazienza inseriamo anche le specifiche del sensore, la lunghezza focale impiegata per quest’acquisizione e inseriamo un correttivo che tenga conto dell’inclinazione del rover rispetto al terreno, troviamo un’ottima corrispondenza con il campo inquadrato dalla MastCam-Z e scopriamo l’esatta zona di cielo puntata.

Simulazione della foto notturna di Perseverance. Stellarium/Piras
Costellazione australe della Gru vista da Marte

Andando a indagare nelle immagini diurne delle NavCam acquisite in quei giorni Sol (quando Perseverance è rimasto fermo alcuni giorni nella stessa posizione) troviamo il rilievo che compare nella foto e che, dopo un’opportuna compensazione della distorsione della lente, si sovrappone abbastanza bene con lo scatto notturno.
 

La foto notturna del Sol 1153 è qui sovrapposta a un’immagine della Right NavCam del Sol 1151. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

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