SCENARIO/ Più armi (all’Ucraina), il passaggio Biden-Trump cambia i “piani” del governo

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Partiamo da un punto fermo: oggi il Consiglio dei ministri è chiamato a discutere uno schema di decreto legge per un nuovo invio di armi all’Ucraina. Si tratta del decimo pacchetto di questo genere, in meno di tre anni. La lista, come nel passato, è secretata, ma è ragionevole immaginare che si tratti principalmente di missili per i sistemi contraerei Samp-T, già forniti a Kiev e rivelatisi molto efficaci.



Ciò che merita attenzione è la scelta di tempo: il decreto, in preparazione da tempo, vedrà la luce a pochi giorni dall’insediamento di Donald Trump per il suo bis alla Casa Bianca. È come se Meloni seguisse l’esempio di Biden, che sta accelerando il tempo per fornire prima del 20 gennaio tutto l’aiuto possibile alla spossata resistenza ucraina. Il presidente uscente, peraltro, sembra intenzionato a esercitare il proprio mandato sino all’ultimo giorno, tanto che sarà a Roma per un’ultima visita fra il 9 e il 12 gennaio, e vedrà Meloni, Mattarella e il Papa.

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Fra la via vecchia e la nuova, insomma, è come se Meloni preferisse la vecchia, almeno per ora, almeno sino a quando non saranno chiare le intenzioni del Trump 2. In fondo, tutta la politica internazionale attende quel momento, compresi Putin e Zelensky: bisogna capire in che modo la nuova amministrazione USA intende agire per arrivare allo stop della guerra.

Che si vada in quella direzione sembra evidente. Meloni ha sentito direttamente da Zelensky questa settimana a Bruxelles l’ammissione che mancano le forze per la riconquista del Donbass e della Crimea. Che, insomma, di pace bisogna parlare. Sin qui però il governo italiano non ha fatto mancare il suo sostegno a Kiev, dimostrando in questo continuità con il governo Draghi. Anche perché – Meloni lo ha detto anche durante il vertice in Lapponia – la minaccia russa è molto più grande di quanto non ci immaginiamo, e non si esaurisce con la pur terribile vicenda ucraina. Corollario: le spese militari non sono inutili, sono al momento l’unica via per garantire la pace.



Qui arrivano le note dolenti: i 31 soci degli USA nella NATO attendono con il fiato sospeso di capire se quel 5% del Pil che Trump ha indicato giorni fa sia una cosa seria o una boutade da levantino esperto di trattative. Perché per l’Italia sarebbe una mazzata: nonostante un sensibile aumento negli ultimi anni, l’Italia non arriva all’1,5%. E già per arrivare al 2% (il livello cui tutti i Paesi NATO dovrebbero attestarsi) sarà durissima, servirebbe l’aumento di un quarto dei 32 miliardi di euro oggi a disposizione della Difesa, una cifra iperbolica, vicina a 10 miliardi. Figuriamoci andare più su: noi quei fondi non li abbiamo, a meno di non sfondare tutti i tetti imposti dal rigore europeo, come ha spiegato con cruda chiarezza il ministro Giorgetti.

Ecco che la variabile internazionale, a partire dall’Ucraina, diventa delicata e fondamentale per il futuro anche del governo italiano, pressato dall’opposizione sull’aumento delle spese militari. Ma anche in alcune frange della maggioranza, dalle parti della Lega in particolare, si storce il naso, perché ogni ulteriore incremento dei fondi per la difesa metterebbe a rischio altri capitoli di bilancio, ad esempio il ponte sulla Stretto di Messina, tanto caro a Salvini. E a completare il quadro ricordiamo gli intrecci con la situazioni in Medio Oriente (Israele, Palestina, Siria, Libano, Mar Rosso), e la sempre complicata partita della gestione della pressione migratoria. Oggi, fra l’altro, è convocato un vertice di governo sui centri in Albania.

Sarà inevitabile per Meloni continuare a muoversi con pragmatico realismo. Quello che la fa sembrare oggi più vicina a Biden che al suo amico Elon Musk, con buona pace della sinistra nostrana. Molto difficilmente nella conclusione della vicenda ucraina l’Italia potrà ambire ad un ruolo di mediazione, così caro alla nostra politica estera. Di sicuro la presidente del Consiglio dovrà correggere la rotta dopo il 20 gennaio: Trump di nuovo in sella potrebbe far cambiare tutti gli scenari internazionali, e costringere a riposizionarsi su tante partite. Ma ogni cosa a suo tempo.

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