Azioni BPB: il Tribunale di Bari su decorrenza del termine prescrizionale e inadempimento informativo sulla natura illiquida del titolo.

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Sul dies a quo del termine prescrizionale decennale.

Il Tribunale barese, in primo luogo, rigetta l’eccezione di prescrizione sollevata da parte convenuta. Invero, secondo l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità «il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a decorrere non già dalla data del fatto, inteso come fatto storico obiettivamente realizzato, bensì da quando ricorrano presupposti di sufficiente certezza, in capo all’avente diritto, in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del diritto azionato, sì che gli stessi possano ritenersi dal medesimo conosciuti e conoscibili»[1]. Tale data può farsi coincidere:

1) con la pubblicazione, avvenuta il giorno 8.10.2018, delle prime delibere sanzionatorie n. 20583 e n. 20584, emesse dalla CONSOB, la quale ha rivelato la violazione da parte della di tutta una serie di obblighi informativi in relazione alla determinazione del prezzo dell’azione, nel corso dell’aumento di capitale del 2013;

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2) ovvero, in subordine, con l’assemblea del 29 aprile 2016, allorquando il valore dell’azione è repentinamente e improvvisamente sceso a € 7,50 ad azione;

3) ovvero, in via ancor più gradata con il 31.12.2015, ossia quando veniva indicato, per la prima volta, nell’estratto conto del dossier titoli al 31.12.2015 il livello di rischio reale dell’azione BPB come medio alto e la sua illiquidità.

Nella specie, in primo luogo, trattandosi di responsabilità contrattuale, il termine di prescrizione è quello ordinario decennale e, seppur si volesse inquadrare la fattispecie in quella di responsabilità extracontrattuale e/o responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. della comunque nessun diritto potrebbe considerarsi prescritto.

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Nel merito.

La domanda delle clienti è fondata. In generale, la disciplina dettata dal TUF e dal successivo regolamento Consob n. 11522/1998 pone a carico dell’intermediario finanziario, quale soggetto tenuto ad agire con la diligenza dell’operatore particolarmente qualificato, l’obbligo di tutelare l’interesse dei clienti, laddove tale obbligo si concretizza anche nel dovere di segnalare al cliente la natura del rischio dell’investimento che egli si accinge a fare. Gli obblighi gravanti sull’intermediario finanziario in base alla disciplina del TUF vengono individuati nell’obbligo di informarsi sul tipo di prodotto finanziario negoziato, sul profilo di rischio da attribuire al cliente, nonché nell’obbligo di informare il cliente in ordine alla tipologia e all’affidabilità dell’investimento e, dunque, in ordine all’adeguatezza dello stesso al suo profilo di rischio.

Concretamente la banca deve, quindi, innanzitutto informarsi e conoscere i dati relativi alla rischiosità dell’investimento da lei proposto o richiesto dall’investitore, e, successivamente, riferirli al cliente, indipendentemente dal fatto che l’investimento sia stato proposto dalla banca o che sia stato il cliente investitore ad ordinare le operazioni da effettuare. Il contenuto dello specifico obbligo dell’intermediario è quello di assumere informazioni da parte dell’investitore, funzionale all’adempimento dell’ulteriore obbligo della banca, prima di eseguire gli ordini di negoziazione impartitigli, di fornire al cliente un’informazione che lo metta in grado di comprendere appieno le caratteristiche essenziali dell’operazione, con riguardo a costi, rischi patrimoniali e adeguatezza della stessa, nonché di verificare il livello di consapevolezza da parte del cliente del rischio assunto e l’adeguatezza dell’operazione. Qualora l’intermediario valuti un’operazione come non adeguata, ad essa potrà dare corso solo in forza di un ordine impartito per iscritto dal risparmiatore, in cui venga fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute[2].

La giurisprudenza di legittimità è unanime nel ritenere che in tema di intermediazione finanziaria, anche quando la diffusione di strumenti finanziari avvenga mediante l’attività di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini, la tutela del cliente è comunque affidata all’adempimento, da parte dell’intermediario, di obblighi informativi specifici e personalizzati, ai sensi degli artt. 21 ss. TUF e 26 ss. del regolamento Consob n. 11522/1998. Inoltre, per quanto concerne la ripartizione dell’onere probatorio circa l’avvenuto adempimento di tali obblighi, l’art. 23, comma 6, TUF dispone che «nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta». La Corte di Cassazione, sulla violazione degli obblighi di diligenza e di riparto dell’onere della prova nei giudizi di risarcimento del danno nello svolgimento dei servizi di intermediazione finanziaria, ha affermato che non può ritenersi assolto da parte della l’onere di dimostrare di aver agito secondo la diligenza richiesta, non potendosi attribuire alcuna rilevanza al profilo di rischio dell’investitore, alla sua esperienza in materia «perché le informazioni dal trasmettere al cliente devono essere concrete e specifiche in riferimento ad ogni singolo prodotto di investimento e le stesse, nella specie, andavano comunque fornite, indipendentemente dalle inclinazioni al rischio dell’investitrice e dal peso dell’investimento rispetto al patrimonio complessivamente investito, perché proprio sulla base delle informazioni fornite dall’intermediario, l’investitore avrebbe selezionato quelle, secondo lui, con maggiori probabilità di successo»[3].

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Corollario al riparto dell’onere probatorio, è il correlato onere di allegazione del cliente: ritiene il Tribunale di aderire a quell’orientamento di legittimità[4], secondo cui «In tema di intermediazione finanziaria, la disciplina dettata dall’articolo 23, comma 6, del D.Lgs. n. 58 del 1998, in armonia con la regola generale stabilita dall’articolo 1218 c.c., impone all’investitore, il quale lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario, nel quadro dei principi che regolano il riparto degli oneri di allegazione e prova, di allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare, nonché di fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra inadempimento e danno, nesso che sussiste se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole; incombe invece sull’intermediario provare che tali informazioni sono state fornite, ovvero che esse esulavano dall’ambito di quelle dovute». L’affermazione è quella più aderente ai principi generali sull’onere della prova in materia di responsabilità precontrattuale o contrattuale[5] che, come è noto, impongono al creditore, il quale agisca per l’inadempimento della controparte, di allegare l’inadempimento delle obbligazioni dell’intermediario nonché fornire la prova del nesso di causalità fra il primo e il danno, anche sulla base di presunzioni; spetta invece all’intermediario provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte e, sotto il profilo soggettivo, di aver agito con la specifica diligenza richiesta. In definitiva, l’investitore deve allegare l’inadempimento dell’intermediario alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione, dal TUF e dalla normativa secondaria, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni, mentre l’intermediario deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito con la specifica diligenza richiesta[6].

Laddove l’intermediario non porti la prova positiva della sua diligenza e dell’adempimento delle obbligazioni poste a suo carico, egli sarà quindi tenuto al risarcimento degli eventuali danni causati al risparmiatore[7].

Dalla funzione sistematica assegnata all’obbligo informativo gravante sull’intermediario, preordinato al riequilibrio dell’asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell’investitore, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole, scaturisce una presunzione legale di sussistenza del nesso causale fra inadempimento informativo e pregiudizio, pur suscettibile di prova contraria da parte dell’intermediario; tale prova, tuttavia, non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell’investitore, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perché anche l’investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell’ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati[8]. Sulla base delle coordinate di giudizio precisate, occorre accertare nel concreto se sussista la prova positiva dell’adempimento degli obblighi informativi, attivi e passivi, posti in capo alla banca.

In relazione agli obblighi informativi posti a carico degli intermediari, con Comunicazione n. 9019104 del 02.03.2009, la CONSOB ha emanato un orientamento interpretativo sui doveri di correttezza e trasparenza nella distribuzione di prodotti finanziari illiquidi: per la citata comunicazione, sono illiquidi quei prodotti che determinano per l’investitore ostacoli o limitazioni allo smobilizzo entro un lasso di tempo ragionevole, a condizioni di prezzo significative, ossia tali da riflettere, direttamente o indirettamente, una pluralità di interessi in acquisto e in vendita. Si tratta, quindi, di quegli strumenti che, a differenza di altri prodotti di investimenti come i fondi aperti, mancano sia di un semplice ed immediato meccanismo di fair valuation sia della possibilità di una pronta ed efficiente liquidabilità dell’investimento.

Orbene, gli strumenti finanziari oggetto di giudizio potevano ritenersi al momento del relativo acquisto caratterizzati da un profilo di rischio “alto”: le suddette azioni rientrano nella fattispecie delle azioni non quotate e costituiscono pertanto titoli di rischio alto o, quanto meno, medio-alto ed assimilabili a titoli illiquidi ovvero a titoli per i quali vi è una potenziale difficoltà di liquidazione e perfettamente rientranti nella definizione fornita dalla con la citata comunicazione. Tali essendo scambiabili, non già in un mercato regolamentato, bensì tra la stessa banca emittente o direttamente tra i soci-azionisti, scontano una ben maggiore difficoltà di trasferimento e di recupero delle somme impiegate nell’acquisto. Va, altresì, evidenziato che tale valutazione di illiquidità prescinde dal rischio in concreto verificatosi ex post o dalla maggiore solidità dell’istituto all’atto dell’acquisto, dovendo ricondursi all’astratto rischio di criticità del trasferimento, elemento informativo imprescindibile per la ponderata determinazione dell’investitore. Nella specie, dall’analisi della documentazione in atti, il CTU ha verificato che le odierne attrici hanno compilato e sottoscritto vari questionari di profilatura, a seguito dei quali la ha loro attribuito un profilo di rischio medio-alto. Dal punto di vista formale, la banca risulta aver adempiuto agli obblighi informativi, senza però effettuare un’analisi dettagliata e puntuale della situazione e delle conoscenze finanziarie relative alle odierne attrici, non rispettando di fatto le prescrizioni di cui alla Comunicazione n. 9019104/2009 per le operazioni poste in essere successivamente di entrata in vigore della stessa. Quanto al profilo dell’adeguatezza, come accertato dal CTU, all’esito della profilatura la banca ha assegnato alle investitrici, in un primo momento, un profilo di rischio medio-alto e, successivamente, un profilo di rischio medio-basso. Tale discrepanza e il basso livello di istruzione dichiarato dalle investitrici, possono essere considerati quali elementi sufficienti a dimostrare, come ritenuto dallo stesso CTU, la non adeguatezza degli investimenti per le attrici. Benché le attrici avessero già in precedenza effettuato acquisti in azioni di altro tipo, si ritiene di condividere quanto accertato dal CTU in termini di inadeguatezza, in quanto il grado di istruzione molto basso delle attrici e la circostanza che due delle stesse non avessero mai prestato alcuna attività lavorativa, possono ritenersi elementi fattuali utili a ritenere non adeguati gli investimenti oggi contestati. L’adeguatezza è, altresì, dettata dalla sopportabilità finanziaria del rischio legato agli investimenti stessi, parametro che nel caso di specie non è stato rispettato, non avendo la banca previsto alcuna diversificazione del portafoglio, avendo indirizzato le attrici ad acquistare sempre azioni o obbligazioni convertibili da essa stessa banca emesse.

In definitiva, l’inosservanza degli obblighi di informazione attiva nella fase di conclusione dei singoli negozi di acquisto, di segnalazione di inadeguatezza e di astensione dall’esecuzione determina l’inadempimento colpevole della convenuta, tale da giustificare l’accoglimento della domanda di risoluzione formulata da parte attrice ai sensi dell’art. 1453 c.c., assorbito ogni ulteriore addebito d’inadempienza, con conseguente condanna della convenuta alla restituzione delle somme incassate.

 

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[1] Cfr. Cass. n. 21255/2013; Cass. n. 11119/2013; Cass. n. 2066/2023.

[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 15.03.2016, n. 5089.

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[3] Cfr. Cass. n. 15709/2019.

[4] Cfr. Cass. n. 3773/2009; Cass. n. 810/2016; Cass. n. 4727/2018; Cass. n. 10111/2018; Cass. n. 13265/2019; n. 14335/2019.

[5] Cfr. Cass. n. 13533/2001.

[6] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 19/01/2016, n. 810.

[7] Cfr. Cass. n. 18039/2012.

[8] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 17/04/2020, n. 7905.

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