Centro e bipolarismo, tra nostalgia e vuoto di pensiero

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Se guardiamo il sistema politico con il binocolo rovesciato – per garantirci una visione distaccata – il panorama che ci si para davanti è il seguente. Muovendo il binocolo da destra, ci appare una Destra politica, a trazione Meloni, che ha tre idee chiare: una politica estera filo-atlantica e tiepidamente filo-europea; la riforma della giustizia, cioè la separazione delle carriere dei magistrati e la responsabilità civile dei medesimi; il contrasto dell’immigrazione illegale.

Il cosiddetto “Centro” si distribuisce in tre spazi: Forza Italia e Moderati per l’Italia sono alleati con la Destra; Azione oscilla da sola; Italia viva e i Riformisti stanno dentro la Sinistra.

Quali siano le idee di tale Centro non è facile a dirsi: filo-atlantici e filo-europeisti, favorevoli alla riforma della giustizia, più aperti all’immigrazione. Pare siano contrari all’autonomia differenziata o per ragioni di principio costituzionale o per come è fatta.

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La Sinistra di Schlein-Landini è “contro” il governo, qualsiasi cosa dica e faccia. È tiepidamente o decisamente anti-atlantica, totalmente schierata con l’Associazione nazionale magistrati, che è contraria ad ogni riforma del potere giudiziario, totalmente sbracata sull’immigrazione.

Alla sinistra estrema restano AVS, un mix di ex-combattenti e reduci della sinistra radicale e verde del secolo scorso, antiatlantici, antieuropeisti, anti-israeliani. E il M5S?. È disponibile ad ogni avventura, quale che ne sia il colore.

Al momento quello preferito è il rosso-bruno – già di moda negli Anni ’30 del ‘900 – di cui l’esponente maggiore in Europa sono Mélenchon della “France insoumise” in Francia e Sahra Wagenknecht in Germania, con il suo “Bündnis”, molto vicina alla sinistra sui temi sociali, molto vicina a AFD sull’immigrazione.

Il Centro perduto nel bipolarismo della Seconda repubblica?

Le forze di Centro raccontano quotidianamente della propria essenziale insostituibilità: “senza di noi non si governa”: “il Paese si governa dal centro” e via consolandosi… La base storica del ragionamento è che in Italia il partito di centro ha una grande tradizione: la DC ha governato il Paese per oltre 45 anni. Non solo perché favorita dal fattore K.

Essa si pose, fin dal tempo di De Gasperi, nel bel mezzo di una dialettica sociale, i cui poli erano la borghesia possidente e industriale da una parte e la classe operaia dall’altra. Così un numeroso e variegatissimo ceto medio votava democristiano.

Togliatti già nel 1946 in un discorso a Reggio Emilia dedicato a “Ceto medio e Emilia rossa” aveva intuito che quello era il problema. Ma PCI e PSI si appiattirono tutte e due da una parte sola nel Fronte popolare.

In ogni caso, le trasformazioni sociali e i fattori geopolitici e ideologici – la caduta del comunismo – hanno fatto saltare lo schema democristiano. E con ciò anche la Prima repubblica si è dissolta sotto i colpi di un bipolarismo, che ha preso la maschera ideologica del filo- o dell’anti-berlusconismo.

Pertanto la parola “Centro” ha perso la valenza di governo. Agli occhi della sinistra, Berlusconi non è più stato un Centro, ma una Destra pura. Benché, dal 2001 in avanti, sia divenuto sempre più democristiano.  “Centro” è diventata sinonimo di moderazione dei toni ideologici, di buona creanza, di smussamento degli angoli, di mediazione meccanica tra estremi, di opportunismo doroteo. Nulla di più noioso e di più sterile.

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Poiché, a partire dalle ultime elezioni, chiusa la breve parentesi Draghi, il bipolarismo ideologico ha di nuovo occupato la scena, è aumentata la nostalgia del Centro, nel nome di una politica concreta, non gridata, non in punta di baionetta, capace di compromessi e di mediazioni.

Solo che il Centro è…policentrico: è collocato a destra, da solo, a sinistra. Ma, soprattutto, indica un vuoto di pensiero. Che non viene riempito neppure dai centristi di sinistra con la reiterazione rituale della parola d’ordine “unità dei riformisti”.

I quali, infatti, non giocano nessun ruolo politico né dentro né fuori il PD. Né certo potrà sorgere da un tale vuoto di pensiero un federatore-demiurgo. 

Forse converrebbe ripartire da una questione radicale: che cos’è la politica? Se la risposta è che la politica non è solo rappresentanza, ma anche governo, se è un rappresentare per governare, se è ascolto di domande e capacità di risposte, allora occorre prendere atto che l’insorgenza populista e illiberale degli ultimi quindici anni si deve al fatto che la politica ha trovato assai facile raccogliere ogni domanda a fini della conquista del potere, ma non ha saputo dare risposte ai fini del governo.

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L’idea praticata dalla Destra per arrivare al governo è stata quella di raccogliere ogni No insorgente dalla società per scagliarlo contro il governo in carica.

È stato prima il metodo della Lega e poi di Fratelli d’Italia. Passare dal 3-4% a oltre il 30% è stato un indubbio successo.

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Solo che l’impresa di trasformare la carica dei NO in una forza di governo per stare all’altezza delle sfide del mondo “là fuori” non è mai riuscita, né a Salvini né, oggi, alla Meloni. I contenuti proposti al tempo dell’opposizione condizionano oggi le capacità del governo.

Il quale galleggia sulla propaganda da comizio, mentre la crisi produttiva, il debito pubblico, l’inverno demografico, l’immigrazione, la debolezza dei singoli Paesi dentro un’Europa debole continuano a minare la tenuta dell’Italia. Governi siffatti esercitano il potere, ma non il governo reale. La Sinistra di Schlein-Landini ha adottato lo stesso metodo di Salvini e Meloni: accumulare ogni NO possibile, senza nessun altro filtro. 

Nei sistemi liberal-democratici le forze politiche passano dal governo-ombra dell’opposizione al governo reale, quando vincono le elezioni. Nel nostro sistema malato passano all’ombra di governo.  È il populismo, bellezza!

Lo spazio che si apre alle forze che si autodefiniscono di centro non è quello di rosicchiare spazi a destra o a sinistra, è quello di proporre al Paese una politica capace di farlo esistere nel mondo.

Una politica di verità, che scremi le domande e dia le risposte possibili. Per queste risposte il consenso nel Paese può crescere.



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