Ecco i 100 nomi del 2024 vissuto sotto il segno di Jannik e di tante ragazze magiche ai Giochi di Parigi
Uno strumento di pace – Moris Gasparri ed io, da quando abbiamo immaginato questa classifica, abbiamo sempre cercato protagonisti dello sport globale capaci di cambiare paradigmi. In questo anno olimpico, per le prime posizioni, c’era abbondanza di candidature.
Abbiamo scelto Jannik Sinner, Myriam Sylla, Nadia Battocletti, Jasmine Paolini e Julio Velasco. Una cinquina orgogliosamente italiana che urla la sua globalità per imprese planetarie e meravigliose sfumature linguistiche e di pigmentazione che sanno di Alto Adige e Austria, Sicilia e Costa d’Avorio, Trentino e Marocco, Toscana, Polonia e Ghana, Emilia-Romagna e Argentina. Non abbiamo mai avuto un vertice della classifica così italiano, così globale e soprattutto così intelligente, educato, esemplare.
Ci teniamo per il 2025 una speranza: un/a atleta che dimostri al mondo che lo sport è strumento di pace.
Mauro Berruto
Gigi Riva e l’isola dello sport – Capita che, in un elenco da sempre votato alla globalità, un’isola – la Sardegna – si prenda quasi un quinto dei cento nomi consueti. Di più, dal numero 11 al 22 c’è una sorta di classifica nella classifica, che può essere letta a parte. È il modo personale per esprimere un bisogno dell’anima, quello di una perenne gratitudine per una delle figure sportive più grandi e particolari di ogni tempo, sentimento accompagnato dalla sensazione che la sua presenza sia stata diversa da tutto quello che si può trovare nel mondo dello sport.
Talmente diversa, da riportarci alla coscienza mitica del mondo. Come per magia, o forse no, il 2024 è anche l’anno in cui il movimento sportivo sardo ha vinto il suo numero più alto di medaglie olimpiche, e sempre della cultura sportiva sarda – quindi, di questa classifica – fa parte anche il rapporto con i cavalli, origine antica dell’agonismo. Nel 2024 che sta per salutarci, la Sardegna è stata la grande isola dello sport.
Moris Gasparri
1) Jannik Sinner, tennista, Italia.
Perché non ha cambiato paradigmi, li ha demoliti con l’eleganza di chi riesce a sorridere anche quando, addosso, porta un macigno. Fuoriclasse e fuori scala che, da quest’anno e per sempre, entra nel pantheon dello sport italiano con Fausto Coppi, Pietro Mennea, Paolo Rossi, Alberto Tomba, Valentino Rossi.
2) Myriam Sylla, pallavolista, Italia.
Per rappresentare tutte le sue compagne e perché, destituita dal ruolo di capitana, non ha fatto una piega, ha preso a pallate tutte le avversarie, ha murato domande faziose sulla cittadinanza e si è messa al collo un oro olimpico inseguito da tre decenni da tutto il volley azzurro, maschile e femminile insieme.
3) Nadia Battocletti, mezzofondista, Italia.
Perché è stata sua la medaglia più difficile da vincere della spedizione azzurra a Parigi. Studentessa-atleta di UniTrento, domina in pista, sul fango del cross, tiene dietro atlete che sembrano marziane. Con educazione e sorrisi, da primato anche quelli.
4) Jasmine Paolini, tennista, Italia.
Perché le sue imprese al Roland Garros e a Wimbledon, con la medaglia olimpica e la Billie Jean King Cup completano questa parte alta della classifica, tutta fieramente italiana, con meravigliose contaminazioni e sfumature di globalizzazione.
5) Julio Velasco, allenatore-guru, Italia.
Perché, se questa classifica l’avessimo inventata 35 anni fa, lui ne sarebbe stato il dominatore ed è bello ritrovarlo dopo tanti anni, con la stessa lucidità da sport thinker e, al collo, la medaglia più bella che esista.
6) Gian Piero Gasperini, allenatore-alchimista, Italia.
Per aver trasmutato una materia grezza in oro calcistico, in perfetta consonanza con lo spirito alchemico che a Bergamo aleggia sulle tarsie in legno della Basilica di Santa Maria Maggiore disegnate nel ‘500 da Lorenzo Lotto, e rinvenibile anche nel trattato secentesco Atalanta fugiens del medico tedesco Michael Maier.
7) Salvatore Schillaci detto Totò, in memoriam, calciatore, Italia.
Perché i suoi occhi spiritati, icona della gioia inattesa e della magia divina che alita sullo sport, resteranno in fondo ai sogni più belli di una delle estati più belle del nostro paese.
8-9) Ugo Fantozzi (Paolo Villaggio) e il Ragionier Filini (Gigi Reder), in memoriam, tennisti ante litteram, Italia.
Perché, se oggi il nostro paese è la nazione del tennis, non bisogna mai dimenticare da dove tutto è partito, con un “batti lei”, congiuntivo.
10) Giorgio Costa, aspirante tennista, Italia.
Perché avevamo deciso di assegnare questa posizione al “tesserato ignoto” numero un milione della Fitp, per tributare un omaggio simbolico all’impetuosa e storica crescita del movimento tennistico italiano e della sua federazione. Qualche settimana fa, con nostra somma letizia, il giovanissimo tesserato numero un milione è diventato noto.
11) Eternamente Luigi Riva detto Gigi, eroe, Italia.
Per aver espresso il legame simbolico più forte mai creatosi tra un atleta e una comunità nella storia dello sport italiano (e forse mondiale), per l’impronta etica scolpita sul basalto e perché aveva ragione il suo massimo studioso, Gianni Brera: “Con Riva siamo in presenza dell’Eroe”. Motivo per cui la sua figura va studiata come si studiano Ulisse ed Enea.
12) Nicola Riva, figlio di eroe, Italia.
Perché, nella cerimonia funebre dell’Eroe, ci siamo commossi nel sentirlo pronunciare parole colme di gratitudine.
13) Piero Marras, cantautore, Italia.
Per la sua Quando Gigi Riva tornerà, che dallo scorso 22 gennaio ha acquistato un senso di definitiva pienezza emotiva, fondando una nuova categoria teologica: il messianesimo eroico.
14) Giacomo Deiana, ristoratore, Italia.
Per i 30 anni di vicinanza all’Eroe nel momento del suo rifocillarsi serale presso la Stella Marina di Montecristo, custodendone amorevolmente segreti e silenzi.
15) Comunardo Niccolai, in memoriam, calciatore, Italia.
Perché, lo scorso luglio, se n’è andato un compagno di squadra dell’Eroe nel mitico Scudetto del 1970, compartecipe dello spirito eroico attraverso i suoi mitici autogol.
16-17) Marco Buttu-Mario Lecca, ricercatori, Italia.
Per aver pubblicamente commemorato l’Eroe anche nelle estremità geografiche dell’Antartide, dove erano impegnati come ricercatori presso la base Concordia, lanciando dei palloni-sonda con il suo nome.
18) Riccardo Milani, regista, Italia.
Per l’ultima testimonianza culturale dedicata, in vita, all’Eroe.
19) Marta Maggetti, velista, Italia.
Per il primo storico oro olimpico cagliaritano in una disciplina individuale, interamente made in Poetto, e per l’immediata dedica all’Eroe dopo la premiazione.
20) Claudio Ranieri, allenatore, Italia.
Perché, dopo il raggiungimento di una per nulla scontata salvezza con il Cagliari, un tifoso gli ha scritto sui social: “Per noi sardi sei Riva II, come Napoleone II”.
21) Nicolò Barella, calciatore, Italia.
Perché il più forte calciatore italiano in attività è cresciuto nella Scuola Calcio dell’Eroe.
22) Alessia Orro, pallavolista, Italia.
Per completare il nostro omaggio alla Sardegna con l’oro da Narbolia di questa palleggiatrice che, nella finale olimpica, ha fatto finire le sue avversarie americane con 0 (zero) muri e un mal di testa indimenticabile.
23-24) Lamine Yamal e Nico Williams, calciatori, Spagna.
Perché un catalano e un basco dalla pelle nera hanno fatto innamorare la Spagna, prima facendo meraviglie in campo e poi giocando a carta-forbice-sasso con l’atteggiamento e la concentrazione di chi sta tirando i rigori di una finale.
25) Dani Carvajal, calciatore, Spagna.
Perché, per molto tempo, in tanti hanno ammirato una foto in cui un Butragueño di mezza età parla sullo sfondo, mentre in primo piano un vecchio Alfredo Di Stefano vigila su un bambino della cantera madridista (riedizione calcistica delle Tre età dell’uomo di Giorgione), ignorando però chi fosse quel bambino. Dopo il suo 2024 magico sarà impossibile seguitare nell’ignoranza.
26) Steven Mandis, economista, Stati Uniti.
Per il suo libro The Real Madrid Way purtroppo mai tradotto in italiano, che tra le tante cose interessanti per comprendere le strategie manageriali del club più importante del mondo spiega anche il senso e il ruolo dei Carvajal nella rosa del Real Madrid: mostrare e rappresentare la cultura del club alle stelle straniere.
27) Ian Graham, fisico teorico, Inghilterra.
Per il suo libro How to win the Premier League, lettura fondamentale per comprendere la rivoluzione statistica del calcio, spiegata da chi, con i dati, ha contribuito dall’interno ai successi recenti del Liverpool.
28) Elma Mazzenga, velocista, Italia.
Perché questa professoressa in pensione ha stracciato il record sui 200 metri della categoria W90, dove 90 sta per l’età. “Chi fa sport sa cosa ci sia dietro una partita o una gara”, ha detto. Lei un po’ di più.
29) Betty Brussel, nuotatrice, Olanda-Canada.
Perché lei di anni ne ha da poco compiuti 100 e di record del mondo, nel nuoto, ne ha battuti tre nel corso della stessa giornata: 40 metri stile libero, 50 metri dorso e 50 metri rana. “Sto meglio quando esco dall’acqua di quando ci entro”, ha detto. Amen.
30) Flo Meiler, decatleta, Usa.
Perché lei, a differenza delle due colleghe che la precedono, gareggia (e vince) nel salto con l’asta, nella corsa a ostacoli, nel salto in lungo, lancia il giavellotto, il peso e così via. In effetti, a essere onesti, lei è giovane, di anni ne ha solo 84.
31) Ademola Lookman, calciatore, Nigeria.
Perché, con la sua tripletta magica nella notte di Dublino e la sua continua ascesa tecnica e realizzativa, è il frutto più visibile della trasmutazione alchemica made in Bergamo di cui abbiamo già parlato.
32) Diego Corbari, imprenditore, Italia.
Per aver ideato e fabbricato, con polistirolo opportunamente resinato, riproduzioni in formato gigante della coppa da far girare per tutti i paesini delle vali bergamasche, moltiplicando la felicità dei tifosi atalantini.
33) Articolo 33 della Costituzione, testo giuridico, Italia.
Perché, seguendo una nota tradizione sportiva, abbiamo deciso di ritirare per sempre questa posizione della classifica, dedicando anche in maniera fissa le tre posizioni seguenti a personaggi che incarnino il valore educativo, sociale e di benessere psicofisico dell’attività sportiva.
34) Marco Morra, allenatore, Italia.
Perché, al suo ruolo di tecnico del settore giovanile del Torino, affianca quello di allenatore di una squadra di ragazzi oncologici, che vederli giocare strappa il cuore.
35) Ivan Capozzi, dirigente sportivo, Italia.
Perché, con la sua Athena Volley a Scampia, svolge da più di dieci anni un ruolo sportivo e sociale importantissimo, da solo, con risorse limitate e a fari spenti.
36) Luciano Fregonese, sindaco, Italia.
Per la decisione di avviare un gruppo di cammino in campagna elettorale con l’obiettivo di perdere parte dell’ingente peso corporeo accumulato nella sua decennale esperienza da sindaco di Valdobbiadene, impegno poi trasformato dopo la rielezione in ricevimento settimanale dei cittadini.
37) Stefano Bartezzaghi, scrittore, Italia.
Per il bel saggio “Chi vince non sa cosa si perde“, dedicato ai molteplici significati dell’agonismo, lettura perfetta per introdurre il nostro omaggio ad alcuni grandi protagonisti di Parigi 2024.
38) Cindy Ngamba, pugile, Camerun.
Perché il Refugee Olympic Team esiste dal 2016 e qualcuno pensava fosse un esperimento umanitario. Poi è arrivata lei e si è messa al collo una medaglia olimpica.
39) Mijain Lopez, lottatore, Cuba.
Perché: Pechino 2008, oro; Londra 2012, oro; Rio de Janeiro 2016, oro; Tokyo 2020, oro; Parigi 2024, oro e scarpette sul tatami a indicare il ritiro. Noi non siamo in grado di scrivere nulla su questo Milone di Pinar del Rio: serve Pindaro.
40) Imane Khelif, pugile, Algeria.
Per aver combattuto il pregiudizio e per aver sconfitto, sul ring e nel rispetto delle regole, nell’ordine: atlete avversarie, una pressione planetaria, la Federboxe internazionale, un trappolone, peraltro abbastanza facile da identificare, di origine russa e un esercito di leoni da tastiera.
41) Kimia Yousoufi, velocista, Afghanistan.
Perché, da ultima della sua batteria, è diventata campionessa di coraggio per aver ricordato, dalla pista dello Stade de France: “Education, sport, our rights”, scrivendolo sul retro del suo pettorale. E noi, insieme a Kimia, diciamo che istruzione e sport devono essere diritti garantiti a tutte le donne afghane e del mondo.
42-43) Gabrielzinho e Sheetal Devi, nuotatore, Brasile – arciera, India.
Per aver sovvertito l’immagine inanimata e incompiuta dei torsi senza braccia che da sempre ammiriamo nei resti di svariate statue antiche, inventandosi il modo per nuotare o tirare l’arco con piedi e bocca – consistendo i loro corpi, per via della focomelia, solo di quei torsi – diventando così le grandi star delle Paralimpiadi parigine.
44) Matt Dawson, hockeyista, Australia.
Perché ha accettato l’amputazione della parte superiore dell’anulare destro pur di non mancare l’appuntamento olimpico, da capitano della nazionale australiana di hockey su prato (anche se, rifuggendo la retorica, ha detto che gli era stata consigliata come la soluzione chirurgica migliore).
45) Katie Ledecky, nuotatrice, Stati Uniti.
Perché, raggiungendo quota nove ori olimpici, è entrata in un club che annovera come soci Mark Spitz, Carl Lewis, Larissa Latynina e Paavo Nurmi: scusate se è poco.
46) Chen Meng, tennistavolista, Cina.
Perché, al desiderio diffuso di sapere quanto realmente pesino le medaglie d’oro olimpiche, lei può sicuramente fornire una risposta interessante, avendone vinte due a Parigi e ricevendo in dono per questi successi 6 chili del metallo più prezioso dal connazionale e tycoon immobiliare Guo Bin.
47-48) Alexis e Felix Lebrun, tennistavolisti, Francia.
Per una delle sfide sportive più estreme e affascinanti di tutte: mettere fine all’egemonia cinese nel ping pong.
49) Benedetta Pilato, nuotatrice, Italia.
Per quel centesimo nei 100 rana olimpici che l’ha lasciata ai piedi del podio e che ha convinto il presidente Mattarella a cambiare un paradigma e celebrare i quarti posti al Quirinale. Pensatela come volete, ma siamo gli unici al mondo ad averlo fatto.
50-52) Anna Danesi, Alice Bellandi, Giovanni De Gennaro, olimpionici, Italia.
Per aver reso Roncadelle, piccolo comune alle porte di Brescia, il nuovo distretto orafo italiano, al pari di Valenza, Arezzo e Vicenza.
53) Roberto Groppelli, sindaco, Italia.
Perché Roncadelle, di cui è sindaco, può vantare un Centro Sportivo Comunale che è un vero gioiello impiantistico e associativo (circa 1.500 tesserati in 14 discipline diverse).
54) Rigivan Ganeshamoorthy, discobolo, Italia.
Perché se per questa classifica cerchiamo gente che cambia paradigmi, il nostro campione paralimpico con tre record del mondo, dedicando la sua medaglia “ar decimo Municipio de Roma” ha messo sottosopra una dozzina di stereotipi, pregiudizi, luoghi comuni e soprattutto ha ricordato ai francesi che “a cucinà non so boni”.
55) Pierre De Coubertin, benefattore dell’umanità sportiva, Francia.
Perché a lui, ingiustamente marginalizzato nella cerimonia inaugurale di Parigi 2024, dobbiamo l’esistenza della cosa che più ci appassiona, e quindi un sentimento di gratitudine perenne.
56) Philip Noel-Baker, in memoriam, diplomatico, Inghilterra.
Perché, nell’epoca di una nuova corsa globale al riarmo, non è banale ricordare che l’unico sportivo (argento ad Anversa 1920 nei 1.500) ad aver vinto il Nobel per la Pace, nel 1959 per i suoi studi sul disarmo, è stato lui.
57) Balena olimpica di Tahiti, animale, Acque internazionali.
Perché in coda a questo elenco olimpico, in tutti i sensi del termine, non poteva che esserci lei, la balenottera apparsa nelle acque dell’isola di Tahiti durante le semifinali maschili di surf.
58) Jersey Jerry, streamer, Stati Uniti.
Per aver trascorso lo scorso gennaio 37 ore davanti a un simulatore golfistico nella disperata e alla fine soddisfatta ricerca (dopo 2.627 tentativi) di un hole-in-one sulla buca 7 di Pebble Beach.
59) Russ Cook, runner, Inghilterra.
Per aver completato lo scorso 8 aprile la corsa a tappe di tutta l’Africa da Sud a Nord per un totale di 16 mila chilometri percorsi, impresa durata 352 giorni e realizzata nel continente dove la nostra specie si è evoluta, a differenza di tutti gli altri animali, come percorritrice di lunghe distanze.
60) Dikembe Mutombo, in memoriam, cestista, Repubblica Democratica del Congo.
Per aver cambiato la storia della difesa nel basket e quella del continente africano nello sport, in un connubio leggendario di forza fisica e impegno sociale.
61) Liu Cixin, scrittore, Cina.
Per aver pubblicamente dichiarato che assistere dal vivo nell’estate del 1995 a un’amichevole tra la Nazionale cinese e la Sampdoria è stato l’evento fondamentale per il parto de Il problema dei 3 corpi, il romanzo di fantascienza più influente del nuovo secolo, grazie al posto troppo distante che gli fece vedere i giocatori in campo come puntini, attivando la sua fantasia sulla lontananza delle civiltà extraterrestri, descrivibili come altrettanti puntini.
62) Gianfranco Butinar, imitatore, Italia.
Per l’irresistibile comicità delle sue improvvisate telecronache ciclistiche su Facebook, anche queste accostabili all’immaginazione fantascientifica di Liu Cixin, con una spolverata nostalgica dell’intramontabile Adriano De Zan e del ciclismo anni Ottanta-Novanta a rendere magico il tutto.
63) Giuseppe Marotta, dirigente calcistico, Italia.
Per il suo modo da gran democristiano lombardo (nel senso più nobile del termine, vera reincarnazione sportiva di Albertino Marcora) di navigare con perizia e indiscussa competenza nelle vicende calcistiche italiane, passando dall’èra dei mecenati alla famiglia Agnelli ai tycoon cinesi per approdare ora ai fondi americani, vincendo lo scudetto della seconda stella dell’Inter e diventandone addirittura presidente.
64) Antonio Percassi, imprenditore-dirigente calcistico, Italia.
Perché, con un memorabile trionfo sportivo ottenuto a suon di utili di bilancio, programmazione, investimenti oculati e razionalità contabile, è diventato l’Alfred Sloan del calcio italiano, definitivo seppellitore dell’era mecenatizia e leader di quella manageriale.
65) Giovanni Sartori, dirigente calcistico, Italia.
Per aver contribuito in maniera fondamentale a risvegliare l’amore tra Bologna e la sua squadra di calcio, con tanto di cartolina dall’Europa che conta, e per essere un artista dello scouting calcistico come Dalla, Morandi e Cremonini con le canzoni.
66) Saverio Sticchi Damiani, dirigente calcistico, Italia.
Per aver centrato la seconda salvezza consecutiva in A del suo Lecce, spendendo meno di tutti (e meno anche di diversi club della scorsa Serie B), e per l’impegno nel rifacimento dello stadio.
67) Sean Sogliano, dirigente calcistico, Italia.
Perché, se mai dovessimo sostituire in tempi rapidi i 100 nomi di questa classifica con altrettanti a minor costo di ricerca, lui potrebbe aiutarci nell’impresa.
68) Peter Eisenman, architetto, Stati Uniti.
Per la felicità pubblicamente dichiarata per il ritorno del Como in A, lui che ha speso una vita nello studio delle architetture di Giuseppe Terragni, e perché uno così, con il suo amore per l’Italia del calcio e della cultura, andrebbe nominato global ambassador della Serie A.
69-70) Daniel Romeo-Cristophe Gulizzi, architetti, Francia.
Per aver progettato, come legacy dei Giochi Paralimpici di Parigi, l’innovativo centro sportivo Le Prisme interamente dedicato allo sport inclusivo, che sorge a Bobigny, nella banlieu parigina.
71) David Peace, scrittore, Inghilterra.
Per averci donato un’altra gemma di cultura calcistica in forma letteraria, con il suo struggente Monaco 1958.
72) Manuel Rui Costa, dirigente e leggenda calcistica, Portogallo.
Perché la Fondazione Benfica, da lui presieduta insieme al club, è stata elogiata lo scorso agosto dall’Organizzazione mondiale della sanità per il progetto sul calcio camminato, utile e divertente strumento di prevenzione sanitaria e socializzazione per le persone anziane.
73) Amedeo Bagnis, skeletonista, Italia.
Per il primo successo azzurro di sempre nella Coppa del mondo di skeleton, ennesima dimostrazione della profondissima vocazione pluralistica della cultura sportiva italiana.
74) Stefano Cherchi, in memoriam, fantino, Italia.
Perché lo scorso marzo in Australia un tragico incidente in gara ha tolto la vita a questo giovane ed emergente fantino sardo.
75) Andrea Atzeni, fantino, Italia.
Perché, una settimana dopo la tragedia di cui sopra, ha pubblicamente onorato la memoria dell’amico scomparso vincendo sempre in terra australiana la Sydney Cup, abbracciando i genitori di Cherchi presenti alla corsa.
76) Paolo Garbisi, rugbista, Italia.
Perché il momento più bello e iconico, anche se doloroso, del rugby azzurro nel 2024 è stato il suo palo allo scadere nel piazzato che poteva valere la vittoria in casa della Francia: la possibilità che sta più in alto della realtà, quella di una Nazionale nuovamente competitiva.
77) Simone Muratore, calciatore, Italia.
Perché questo ragazzo ventiseienne, dopo tre anni di lotta, la malattia – un raro tumore cerebrale – l’ha sconfitta, ma lei si è presa la sua fisicità di atleta. Ha lasciato il calcio, raccontando la sua decisione con un post su Instagram che finisce con “la vita è un dono meraviglioso”. Nulla da aggiungere se non, appunto, buona vita!
78) Edoardo Bove, calciatore, Italia.
Perché dopo un enorme spavento collettivo, il peggio è alle spalle. Siamo comunque certi che il ventiduenne brillante studente-atleta della Luiss abbia già assolutamente chiaro che la vita è un dono meraviglioso.
79) Giusy Virelli, manager, Italia.
Perché, dopo il Tour de France, da quest’anno anche il Giro d’Italia ha la stessa organizzazione sia al maschile che al femminile e a lei, manager di formazione bocconiana, è spettato il ruolo di direzione della corsa.
80) Andrea Zappia, manager, Italia. Perché, dopo un ventennio nella gestione televisiva del calcio italiano, è ora alla guida di Showmax, piattaforma sudafricana di streaming che ha un obiettivo ambizioso: portare la Premier League sui telefonini di milioni di africani.
81) Joe Barone, in memoriam, dirigente calcistico, Stati Uniti/Italia.
Per l’impegno profuso nella realizzazione del più bel centro sportivo italiano, il Viola Park.
82) John Cook, allenatore, Stati Uniti.
Perché sul contratto che lo lega all’Università del Nebraska, dove allena la squadra femminile di volley celebre per la sfida dei 92 mila spettatori, ha preteso un bonus sul contratto per l’acquisto di un cavallo.
83) Giulio Pellizzari, ciclista, Italia.
Perché con le sue pedalate al Giro d’Italia, da corridore più giovane in gara e con tanto di complimenti ricevuti da sua maestà Pogacar, ha regalato un po’ di gioia e orgoglio alla sua città di origine, Camerino, alle prese con un travagliatissimo recupero post-terremoto del 2016.
84) La bambina che ha accompagnato Sinner in campo a Torino, protettrice, Italia.
Per essersene presa cura, tenendolo per mano e chiedendogli: “Hai paura?”. Visti i risultati abbiamo la certezza che lo abbia protetto per bene.
85) Andrea Sini, giornalista, Italia.
Perché, dopo aver ideato nel 2019 la Biblioteca popolare dello sport di Sassari, lo scorso aprile ha pensato bene di organizzare nella scuola primaria del quartiere più multietnico della città la proiezione di un breve documentario realizzato da La Giornata Tipo sul giocatore di basket che segue.
86) Ousmane Diop, cestista, Senegal.
Perché lui, al tempo giocatore della Dinamo Sassari, in quella scuola è entrato a sorpresa durante la proiezione, raccontando di fronte a bambini estasiati la sua storia di tredicenne approdato in Italia dal Senegal col sogno (ora esaudito) di comprare una casa ai propri genitori grazie al basket.
87) Ermias Ayele, organizzatore sportivo, Etiopia.
Per aver organizzato lo scorso marzo a Chuncheon, in Corea del Sud, una corsa a piedi nudi che ha coinvolto numerosi studenti, ideata per onorare la memoria di Abebe Bikila, figura universalmente leggendaria ma per i sudcoreani di più, per aver combattuto nella Guerra di Corea nel Battaglione Kagnew.
88) Anneke van Zanen-Nieberg, dirigente, Olanda.
Perché dal 2019 è la presidente del NOC*NSF, la principale istituzione sportiva olandese, che nel suo piano strategico assieme all’obiettivo di essere una superpotenza del medagliere olimpico dichiara anche quello di voler ridurre a zero la sedentarietà.
89) Charles van Commenee, manager, Olanda.
Perché passare sotto la sua supervisione da quattro medaglie olimpiche olandesi nell’atletica leggera dal 1948 al 2016 (e con una sola atleta) a ben sedici nelle ultime due edizioni è un capolavoro sportivo con pochi eguali al mondo, segno che il mix di idee, visione, investimenti e capacità manageriali fa sempre la differenza.
90) Jochem Schellens, manager, Olanda.
Perché dirige Papendal, il centro sportivo cuore dei successi olimpici orange, dove più di 400 atleti vivono, si allenano, e quando poi vincono fanno formazione al management delle grandi aziende olandesi direttamente nella stessa struttura.
91) Harrie Postma, educatore, Olanda.
Perché uno dei gioielli poco conosciuti della cultura sportiva olandese è la fondazione no-profit da lui ideata nel 1999 – il Jeugdfonds Sport & Cultuur – che ogni anno finanzia in maniera integrale le spese sportive di 70 mila giovani provenienti da famiglie economicamente disagiate.
92) Bernard Muir, dirigente sportivo, Stati Uniti.
Perché Stanford, di cui dirige il dipartimento sportivo, è allo stesso tempo uno dei cuori tecnologici del mondo e una delle grandi potenze del medagliere olimpico: a Parigi ben 39 medaglie ottenute da atleti transitati per il campus californiano, record mondiale tra le università e gli istituti di formazione.
93) Tara Vanderveer, allenatrice, Stati Uniti.
Perché, sempre per restare dalle parti di Stanford, lo scorso aprile si è ritirata dopo 38 anni di attività la figura più vincente della storia del basket Ncaa.
94) James Montague, giornalista, Inghilterra.
Perché un certosino (e anche un po’ rischioso) lavoro di ricerca antropologica sul campo lo ha portato dai Balcani all’Italia, dall’Egitto all’Indonesia, dal Marocco al Sudamerica per scrivere il suo Fra gli ultras. Viaggio nel tifo estremo, una vera e propria bibbia sul tema.
95) Daniele Cassioli, sciatore nautico, Italia.
Per la bellezza della frase “non ti vedo, ma ti vivo” – lui cieco dalla nascita e grande simbolo dello sport paralimpico italiano – rivolta a Paulo Dybala incontrato nel post-partita di Roma-Venezia.
96) Sara Errani, tennista, Italia.
Per la sua storia di resurrezione sportiva e perché il suo servizio dal basso, tutto fuorché irriverente, è la cosa che più si avvicina alla fionda di Davide che abbatte Golia.
97) Harri Heliövaara, tennista, Finlandia.
Perché anche la sua è una storia di resurrezione sportiva: il ritiro nel 2013 per un grave problema di spondilite anchilosante, gli studi in ingegneria, il lavoro all’aeroporto di Helsinki, una nuova cura nel 2017 e la vittoria a Wimbledon in doppio quest’anno. Nessun miracolo, solo scienza e un’ostinazione calvinista nell’affrontare la vita.
98) Andrea Stella, ingegnere, Italia.
Per un’altra storia di resurrezione sportiva, la McLaren che dopo 26 anni vince il titolo costruttori in F1, con il contributo decisivo di un team di ingegneri italiani da lui guidato.
99) Pippo Macchi, schermidore, Italia.
Perché, usando parole del maestrone Francesco Guccini, “nel mondo oggi più di ieri domina l’ingiustizia, ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia”. Di lui abbiamo notizia e siamo certi che, dopo averne subito a Parigi una gigante, a differenza di Cyrano, perdonerà. E toccherà, eccome.
100) Tadej Pogacar, ciclista, Slovenia.
Perché non potevamo non metterlo vicino al numero 101 di questa classifica, che delle sue sensazionali imprese ciclistiche avrebbe lungamente scritto.
101) Gianni Mura, in memoriam, giornalista, Italia.
Perché questa classifica è l’umile e infedele continuazione di una sua grande idea.
*0 ad honorem) Nicola Pietrangeli, tennista, Italia.
Perché così, almeno in una classifica, lo facciamo stare davanti a Sinner.
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