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LAMEZIA TERME L’ultimo flash è di qualche giorno fa. Il rigassificatore di Gioia Tauro continua ad essere ritenuto strategico dal governo: così il viceministro all’Ambiente Vannia Gava (Lega) rispondendo al question time a un’interrogazione parlamentare M5S. Una rassicurazione, dunque, un segnale che rompe il silenzio – l’ennesimo silenzio, in una storia fatta di “stop and go” – che negli ultimi mesi era calato sul progetto dopo che l’opzione gioiese è stata “sdoganata” praticamente un anno fa dal governo, che ha definito il progetto del rigassificatore di Gioia Tauro e quello di Porto Empedocle, come «interventi strategici di pubblica utilità, indifferibili e urgenti». Solo che da quel giorno il tema era tornato nel limbo, allungando l’attesa di una svolta che in concreto però ancora non c’è, perché al di là delle rassicurazioni sul piano dell’avanzamento dell’opera ancora c’è nulla o quasi.
Il via libera del governo
La svolta, quella politica, appunto un anno fa quando il governo Meloni diede seguito alla linea indicata dalla stessa premier nell’ottobre 2022, nella seduta di insediamento al Parlamento: quel giorno la premier espose le sue linee programmatiche e nelle pieghe dell’intervento annunciò l’intenzione di sbloccare il rigassificatore di Gioia Tauro, rimasto per 20 anni sepolto in qualche polveroso cassetto ministeriale (il primo decreto governativo è del 2002). Una “spinta”, da parte della Meloni, sicuramente dettata dal pressing che nel frattempo avevano avviato coloro che il rigassificatore di Gioia Tauro lo volevano più di tutti: in primo luogo il presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto, e poi anche Confindustria con l’allora presidente Bonomi e la Cisl di Gigi Sbarra, per citarne qualcuno. Certo il rilancio del progetto del rigassificatore a Gioia Tauro va ascritto soprattutto al governatore calabrese, che ne ha fatto un progetto “bandiera” fin dal giorno dopo del suo insediamento alla Cittadella, non trovando sponda nel governo Draghi ma trovando maggiore sponda nel governo Meloni, peraltro politicamente più amico anche se le resistenze all’opzione Calabria non sono mai mancate (e non mancano).
Il progetto
Nel piano di Occhiuto l’impianto potrebbe rappresentare – ovviamente in una prospettiva lunga perché per farlo ci vogliono begli annetti – una risposta dell’Italia alla crisi energetica e una garanzia di autosufficienza sul piano energetico, facendo di Gioia Tauro l’hub energetico non solo del Paese ma anche dell’Europa. Se tutto filasse liscio (cosa ovviamente non scontata in Italia), in meno di 4 anni – secondo una ipotesi progettuale – il rigassificatore potrebbe essere in grado di processare 12 miliardi (anche 16) di metri cubi di gas naturale liquefatto (Gnl) al giorno, un terzo di quello importato dalla Russia. Il progetto ovviamente è molto complesso, sul piano tecnico. Il progetto – secondo un dossier pubblicato mesi fa da “Il Sole 24 Ore” – risale a più di 10 anni fa, ed è stata revisionato nel 2015: fa capo a Lng Medgas Terminal, che ha come azionista di riferimento Fingas, controllata pariteticamente da Iren e Sorgenia. «L’amministratore delegato di Iren Gianni Vittorio Armani – ricordava il quotidiano economico – ha dichiarato che l’impianto ha già ottenuto tutte le autorizzazioni. E la società si è detta “pronta a fornire le risorse e le competenze per aiutare a costruire il terminale”». Il progetto prevede il posizionamento del rigassificatore all’interno del retroporto, in un’area di 47 ettari che ricade nei comuni di Gioia Tauro, San Ferdinando e Rosarno, e il collegamento per 7 chilometri alla rete della Società nazionale metanodotti (Snam). La costruzione del rigassificatore gioiese è stabilita per moduli: il primo in 3 anni dalla conclusione dell’iter amministrativo, implementabile in base alle esigenze del mercato e dello sviluppo degli usi alternativi del metano liquido. Per consentire l’accesso a grandi navi cisterna e il collegamento diretto alla rete autostradale e alla ferrovia, dovrebbe essere realizzato un pontile di scarico in acque profonde, a 500 metri dalla costa.
L’indotto: dalla “piastra del freddo” all’occupazione
Secondo quanto riportava “Il Sole 24 Ore” «l’impianto rappresenta, del resto, una opportunità per tutta la regione, configurandosi come un hub per l’impiego del Gnl nei trasporti via terra e via mare. Importanti le ricadute occupazionali: calcolati 1000 addetti nei cantieri, 125 per l’impianto a regime, con un indotto di almeno 500 lavoratori. Il progetto – per come spesso sostenuto da Occhiuto – si preannuncia risolutivo anche per la previsione di collegare all’impianto una “piastra del freddo”, in grado di sfruttare l’energia prodotta dalla trasformazione del gas liquido per svolgere attività su merci che necessitano di immagazzinamento refrigerato». Con la sua capacità di 12 miliardi di mc – spiegava ancora “Il Sole 24 Ore” – il rigassificatore di Gioia Tauro sarebbe il più importante impianto di ricezione di Gnl dai nuovi giacimenti del Mediterraneo, ma anche da Nigeria, Qatar, Algeria e dai nuovi impianti di liquefazione africani di Mozambico e Congo, operati dall’Eni e sarebbe poi il punto naturale di arrivo del gas dei nuovi giacimenti al largo di Israele ed Egitto e ad occidente di Cipro. Ovviamente, il progetto ha un costo iperbolico, stimato in un range tra 1,2 e 1,5 miliardi, che potrebbero arrivare però dai privati. È questo ovviamente il “nodo” più serio. Ma intanto un altro serio “nodo” è stato sciolto, quello politico, a fine novembre 2023, con il via libera del governo che ha riconosciuto la strategicità e l’urgenza del rigassificatore di Gioia Tauro. O meglio, “era” stato sciolto: perché da quello step – a quanto risulta – non si è andati poi avanti, almeno in modo visibile.
Le ultime evoluzioni
A giugno, al G7 del Commercio Estero a Villa San Giovanni il vicepremier Antonio Tajani ha ribadito l’intenzione del governo di creare un hub energetico nel Mediterraneo con un evidente riferimento al ruolo baricentrico del porto di Gioia Tauro ma sul piano dell’iter non si hanno al momento notizie certe o comunque evidenti passi avanti. A quanto risulta, la stessa Iren, nel corso di una audizione in una commissione parlamentare, avrebbe ribadito il suo interesse chiedendo però garanzie di rango statale – anzitutto il decreto finale autorizzativo – che però ancora non ci sarebbero. Insomma, sul rigassificatore di Gioia Tauro è sempre “stop and go”. Tra gli ultimi “go”, quello di Giovanni Donzelli, “plenipotenziario” di Fratelli d’Italia e della Meloni, un mese fa, a margine di un incontro sull’impianto di Piombino: «C’è ancora il tempo – disse Donzelli – per trovare una soluzione che possa non creare problemi a nessun territorio. C’è a esempio – ed è un esempio concreto – il presidente della Regione Calabria Occhiuto che lo chiede. Perché siccome si produce freddo facendo la rigassificazione, nel porto di Gioia Tauro sarebbe utilissimo per congelare i prodotti agricoli da esportare. Quindi il presidente della Regione Calabria dice con forza: “portatelo in Calabria, il rigassificatore”. Quindi le soluzioni si possono trovare, per il porto di Gioia Tauro sarebbe una ricchezza incredibile». L’ultimo “go” – come detto – è quello del viceministro Vannia Gava, pochi giorni fa: «Le opere per la costruzione e l’esercizio di terminali di rigassificazione di gas naturale liquido onshore, nonché le infrastrutture connesse, sono considerate di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti come previsto, a livello nazionale, dall’articolo 2 del decreto-legge n. 181 del 2023. Questo – ha aggiunto Gava – consentirà di assicurare una capacità di rigassificazione cumulata aggiuntiva pari a 20 miliardi di metri cubi annui, che contribuirà al consolidamento ed alla resilienza della rete di approvvigionamento energetica italiana e ad una minore dipendenza energetica del Paese». Insomma, la cornice c’è, ma manca il quadro. Il contenitore c’è ma manca il contenuto. Chissà nel 2025… (a.cantisani@corrierecal.it)
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