POMPEI. «Abbiamo voluto precisare le premesse per riaprire, in un quadro più chiaro, la questione sulla data esatta dell’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei» hanno dichiarato Zuchtriegel e compagni a conclusione del recente contributo scientifico presentato sull’e-journal del Parco Archeologico di Pompei.
Il direttore del Parco e i suoi colleghi si propongono, così, come protagonisti dell’arbitraggio professionale di una gara sulla fissazione della data emblematica dell’archeologia pompeiana, che escluda eventuali “predestinati” per la vittoria finale, in una competizione accademica basata esclusivamente sulla validità scientifica degli elementi presentati.
Fatta questa precisazione, l’articolo citato procede nell’approfondimento della validità delle argomentazioni a sostegno delle diverse ipotesi formulate a riguardo nell’ultimo secolo, a partire dalla data tradizionalmente accettata del 24 agosto del 79 d.C., che nell’articolo viene definita “chiara e univoca”.
A riguardo, la fonte storica più accreditata dal ceto archeologico è data da una lettera di Plinio il Giovane a Tacito, in cui si legge che il vulcano aveva eruttato il nonum kal. septembres, cioè nove giorni prima delle Calende di settembre, data che corrisponde al 24 agosto.
Altre date ipotizzate sarebbero state, secondo l’articolo e-journal, frutto di fraintendimenti e supposizioni recenti della bibliografia post rinascimentale, collegabili alla confusione tra “n” e “v” che portarono all’interpretazione di “novum, novu” o “nov/nou” da cui parte l’ipotesi: “nov” (novembre).
Considerato che, una volta tanto, è disponibile (a meno di un impensabile disguido) una data certa di un tragico evento di importanza storica, argomenta Zuchtriegel, bisogna necessariamente confermare la data pliniana o provare che è falsa, anche se è improbabile che Plinio il Giovane abbia commesso un errore così grave nel racconto della tragedia che costò la vita al suo padre adottivo.
A questo punto (sempre secondo l’e-journal) bisogna chiedersi: abbiamo la disponibilità di comprovate argomentazioni per dubitare della data del 24 agosto? Parte così l’esame delle ipotesi presentate nel secolo breve per esaminarle e respingerle con validi argomenti, a partire da quella fornita dall’attuale direttore generale dei Musei (ed ex direttore di Pompei) Massimo Osanna.
L’iscrizione a carboncino rinvenuta nel 2018 dai collaboratori del predecessore di Zuchtriegel nella Casa con Giardino di Pompei, che riporta il sedicesimo giorno prima delle calende di novembre, corrispondente al 17 ottobre dell’anno dell’eruzione (dando per scontato che la scritta non avrebbe potuto conservarsi più a lungo all’aria aperta) aveva indotto Osanna a scartare la data del 24 agosto e riproporre con autorevolezza quella del 24 ottobre.
Detta ipotesi è stata demolita, in via sperimentale, perché è stato provato che 10 mesi dopo l’iscrizione il testo scritto a carboncino sullo stesso muro è risultato perfettamente leggibile. Se ne deduce che, dal momento che l’indicazione dell’anno mancava nel graffito originale, poteva trattarsi dell’anno precedente, anche perché mancano motivi sufficienti per sostenere che i lavori in quella casa fossero in corso al momento dell’iscrizione sul muro.
Il terzo punto riguarda i dati archeobotanici a sostegno delle varie tesi, che si presentano di complessa interpretazione perché bisogna, in primis, analizzare i reperti raccolti nel quadro storico di riferimento, tenendo conto dei cambiamenti climatici e culturali, come ad esempio il sistema di organizzare i consumi e i lavori agricoli, di fissare i periodi stagionali e l’interazione tra uomo e ambiente, nelle diverse aree geografiche e micro-paesaggi mediterranei.
A questo punto parte un’osservazione geniale (succede frequentemente nelle conversazioni archeologiche): se invece di ripensare la validità della data del 24 agosto, tramandata da Plinio il Giovane, la utilizzassimo come riferimento per la valutazione di cambiamenti di clima, usi, costumi e ordinamenti legislativi?
«L’archeologia ha la possibilità di andare oltre la semplice conferma di quel che dice un Plinio o un Varrone, analizzando appunto l’insieme multiforme e complesso dei dati, l’intreccio tra sviluppi sociali, culturali, coltivazioni e ambiente; tra lavoro schiavistico, urbanizzazione, stratificazione sociale e biodiversità; tra geografia politica, navigazione e deforestazione e tanto altro. In una tale ottica, la data dell’eruzione è solo una tra tante domande che attendono di essere affrontate dall’archeologia del XXI secolo».
La conclusione del direttore Zuchtriegel nell’articolo succitato, che abbiamo commentato, potrebbe indurci a concludere che, tutto sommato, la precisazione della data dell’eruzione del Vesuvio, che fermò la vita nell’antica Pompei (definita a meno di prova contraria) risponde ad uno solo dei mille quesiti dell’archeologia pompeiana, anche se, nonostante le buone intenzioni, è stata messa molta “carne a cuocere”.
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