Il Natale a Gaza è segnato dalla sofferenza, dall’incertezza e dalla violenza. La popolazione della Striscia vive sotto un’intensa pressione, con almeno 28 morti registrati negli ultimi attacchi israeliani, che hanno colpito pesantemente edifici residenziali e strutture civili. Tra le vittime ci sono anche i rifugiati che avevano trovato rifugio in una scuola, trasformata in un centro per sfollati, distrutta da un bombardamento israeliano. I racconti di chi ha sopravvissuto sono strazianti: Mahmoud, un palestinese che dormiva nel cortile dell’edificio, ha descritto l’esperienza come un incubo, con una potente esplosione che lo ha svegliato nel cuore della notte.
Le forze armate israeliane, come accade frequentemente durante il conflitto, hanno giustificato l’attacco sostenendo che la scuola fosse un centro di comando di Hamas. Tuttavia, queste affermazioni non sono mai state corroborate da prove concrete, suscitando dubbi sulla legittimità delle azioni militari israeliane e sul rispetto delle leggi internazionali in tempo di guerra.
La “linea dei cadaveri”: la strategia della guerra totale
Nel nord della Striscia di Gaza, la guerra ha assunto forme sempre più brutali. Secondo alcuni soldati israeliani intervistati dal quotidiano Haaretz, chiunque attraversi il “corridoio Netzarim” – una zona separata da una linea di demarcazione – è considerato un nemico e abbattuto. Questo tratto, una striscia di terra larga sette chilometri che divide Gaza in due, è stata svuotata dei suoi abitanti per far spazio a strutture militari israeliane. Le case sono state demolite, e le persone sono state costrette a fuggire. Queste azioni fanno parte di una strategia militare che mira ad isolare Gaza, sfruttando la fame e la privazione come armi di guerra.
A causa di questa politica, la popolazione del nord Gaza è sottoposta a un continuo bombardamento e a una carenza sistematica di risorse fondamentali come cibo, acqua e carburante. Il “piano dei generali”, che prevede di rendere insostenibili le condizioni di vita nella zona, ha spinto migliaia di persone ad abbandonare le loro case, ma molti si rifiutano di fuggire, temendo che le aree designate come “sicure” vengano comunque bombardate, come accaduto in passato.
La guerra della sete: privazione e crimine contro l’umanità
Tra le violenze perpetrate durante il conflitto, una delle più devastanti è quella legata all’acqua. Human Rights Watch ha accusato le autorità israeliane di aver deliberatamente ostacolato l’accesso dei palestinesi a risorse idriche essenziali per la sopravvivenza. Le infrastrutture idriche sono state danneggiate intenzionalmente, i sistemi di trattamento sono stati distrutti, e l’ingresso di risorse vitali, tra cui il carburante per i generatori, è stato impedito. La direttrice di Human Rights Watch, Tirana Hassan, ha definito queste azioni “un crimine contro l’umanità” e un atto di “genocidio”, dato che privare una popolazione dell’acqua potabile e di mezzi per l’igiene è una violazione dei diritti umani fondamentali.
La privazione dell’acqua ha avuto conseguenze drammatiche per la salute dei civili, con epidemie di malattie e disidratazione che si stanno diffondendo rapidamente. In alcune zone, come nel nord della Striscia, la gente non ha avuto accesso all’acqua potabile per mesi, mettendo a rischio la vita di migliaia di persone, in particolare bambini e anziani. Nonostante gli appelli della comunità internazionale, le restrizioni israeliane sono continuate, senza che venissero garantiti gli aiuti necessari.
Il blocco degli aiuti: la fame come arma
Anche l’accesso al cibo è diventato una questione cruciale. Le agenzie umanitarie, tra cui Oxfam, hanno denunciato che la Striscia di Gaza è stata praticamente tagliata fuori dalle forniture di aiuti internazionali. Nonostante gli sforzi delle organizzazioni umanitarie, tra ottobre 2023 e agosto 2024, solo una piccola parte degli aiuti è riuscita a entrare nel territorio, e le condizioni per la distribuzione sono state estremamente difficili. Oxfam ha segnalato che in più di un’occasione, i convogli di aiuti sono stati bloccati o indirizzati verso zone militarizzate, inaccessibili ai civili, mentre i pochi aiuti che arrivano non sono mai sufficienti a soddisfare le necessità fondamentali della popolazione.
Le famiglie palestinesi, già stremate dai bombardamenti, lottano quotidianamente per sopravvivere. Alcuni raccontano di aver dovuto mangiare foglie e piante pur di non morire di fame. Un uomo ha riferito che lui e la sua famiglia hanno solo un pacchetto di biscotti per nutrire 15 bambini. La disperazione è palpabile: senza elettricità, senza riparo, senza risorse per acquistare anche il minimo indispensabile, le persone sono costrette a vivere in condizioni di totale abbandono.
I bambini: le vittime innocenti del conflitto
La sofferenza dei più piccoli è una delle tragiche realtà di questo conflitto. Secondo la Palestinian Civil Defence, oltre 2.700 persone sono morte a causa dei bombardamenti, e più di 10.000 sono rimaste ferite, tra cui molti bambini. La devastazione dei corpi e la distruzione delle case non solo privano i bambini di un futuro, ma li espongono a un trauma psicologico che lascerà segni per tutta la vita. I più giovani sono costretti a cercare cibo nei rifiuti, mentre il freddo e la carestia si abbattono su di loro. Molti di loro non vedono altra speranza che quella di sfuggire all’orrore che sta consumando Gaza.
Mentre il mondo celebra il Natale, a Gaza si vive una realtà fatta di sofferenza e morte, con i civili che affrontano una battaglia quotidiana contro la fame, la sete e la violenza. Le autorità israeliane continuano a mantenere il blocco, impedendo l’ingresso di aiuti vitali e aggravando ulteriormente la situazione di chi è rimasto intrappolato nella Striscia. I bambini, i più vulnerabili, pagano il prezzo più alto di questa tragedia. La comunità internazionale ha l’obbligo di intervenire con urgenza per fermare questa catastrofe umanitaria, e per proteggere i diritti fondamentali di chi vive in quella che è ormai una delle crisi più gravi degli ultimi decenni.
Vincenzo Ciervo
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