Il 26 dicembre 2004, il devastante terremoto di Sumatra e lo tsunami che ne seguì causarono oltre 230.000 vittime in 14 Paesi. Tra le vittime anche 54 italiani. La storia e il ricordo di uno dei più grandi disastri naturali dell’umanità
Vent’anni fa, il 26 dicembre 2004, le coste di Sumatra e di tutto il Sud-Est Asiatico furono teatro di una tragedia senza precedenti. Quello che sembrava un normale giorno di vita quotidiana, tra i residenti locali e le vacanze natalizie degli occidentali, si trasformò rapidamente in un incubo. Alle 7:58 ora locale, un terribile terremoto di magnitudo 9.1 (scala Richter 9.3) colpì al largo della costa occidentale di Sumatra, a 160 km di distanza.
La scossa durò non pochi secondi, ma sette interminabili minuti. Fu l’inizio della catastrofe: dall’epicentro in mare aperto si generò uno tsunami che provocò danni ancora più devastanti. Dopo pochi minuti, senza alcun segnale d’allarme, le onde si abbatterono sulle isole esotiche e sui paradisi naturali, scelti da migliaia di turisti, spazzando via tutto. Interi resort furono rasi al suolo e migliaia di turisti di ogni nazionalità persero persone care. Chi riuscì a salvarsi vive ancora oggi, a distanza di 20 anni, con il ricordo indelebile di quel giorno, che resta impresso come il più grave disastro naturale dell’era moderna. Le immagini di vacanzieri che camminavano tra le macerie, con i volti segnati dalla paura e dal dolore, rimasero sui media per giorni. Accanto a loro, i residenti che avevano perso tutto in pochi secondi. E tra tutti loro, le foto dei dispersi, ancora oggi mai trovati (circa 22.000 persone)
Il terremoto e lo tsunami: una combinazione “perfetta”
Il terremoto del 26 dicembre 2004, uno dei più potenti mai registrati, generò onde anomale che colpirono 14 paesi, tra cui Indonesia, Sri Lanka, India, Thailandia, Maldive, Birmania, Bangladesh, Somalia e Kenya. Le onde, alte fino a 30 metri, devastarono città e villaggi, causando morte e distruzione in pochi minuti, senza che la popolazione potesse mettersi in salvo.
La frattura della faglia, lunga 1.200 km tra la placca indiana e quella birmana, liberò un’energia pari a 23.000 bombe atomiche di Hiroshima. Subito dopo il sisma, onde di fino a 50 metri colpirono la costa, abbattendo alberi e trasformando le strade in fiumi. Le onde viaggiarono a 800 km/h, raggiungendo la Thailandia, lo Sri Lanka e l’India in due ore, e l’Africa orientale nelle ore successive. Il disastro, che durò solo poche ore, colpì una vasta area del pianeta, suscitando un’ondata di shock a livello mondiale.
Alcuni storici considerano questo maremoto il più costoso in termini di vite umane nella storia recente.
230 mila vittime, 54 italiani, 22 mila dispersi
La magnitudo del terremoto e l’intensità delle onde maremoto generarono una tragedia senza precedenti, con oltre 230.000 vittime e più di 22.000 persone dichiarate disperse. I Paesi maggiormente colpiti furono Indonesia, Sri Lanka, India e Thailandia. L’Indonesia subì il bilancio più grave, con circa 150.000 morti e la provincia di Aceh praticamente distrutta. Lo Sri Lanka registrò circa 41.000 vittime, mentre l’India e la Thailandia contarono rispettivamente oltre 15.000 e 8.345 morti. Le onde dello tsunami causarono danni anche in Paesi lontani come la Somalia, le Maldive, la Malesia e il Myanmar.
Tra le vittime ci furono anche molti turisti stranieri che si trovavano nelle zone colpite durante le vacanze natalizie. Un caso emblematico fu quello dei cittadini svedesi: l’evento causò circa 543 morti di nazionalità svedese, di cui 542 nella sola località thailandese di Khao Lak, quasi lo stesso numero delle vittime svedesi durante l’intera Seconda Guerra Mondiale (circa 600).
Anche l’Italia, pur non essendo tra i Paesi direttamente colpiti, pagò un pesante tributo. 54 cittadini italiani persero la vita a causa dello tsunami, molti dei quali si trovavano in vacanza nelle zone devastate. Si stima che circa 10 mila italiani si trovassero nell’area al momento del disastro.
Oltre alle vittime, ci furono almeno 1,5 milioni di sfollati in Sri Lanka, più di 100.000 in India, quasi 30.000 in Thailandia e altre centinaia di migliaia di persone in Indonesia.
Non solo vittime, i danni economici furono enormi
Il disastro non causò solo enormi perdite umane, ma anche ingenti danni economici. Le stime sulle perdite materiali variano tra i 10 e i 15 miliardi di dollari. In molti Paesi, le infrastrutture furono completamente distrutte: ponti, strade, edifici e strutture portuali vennero spazzati via. Il settore turistico, già gravemente colpito dalla tragedia, faticò a riprendersi, con molte aree turistiche costrette a fronteggiare anni di difficoltà economiche. Le popolazioni locali, che dipendevano principalmente dalla pesca e dall’agricoltura, videro la loro economia distrutta, lasciando milioni di persone senza reddito.
Vista l’ampiezza del disastro, l’Onu fece appello ai Paesi membri; dopo una partenza lenta, i governi dei principali Stati intervennero con ingenti stanziamenti per l’emergenza. Le Nazioni Unite crearono un fondo di soccorso che raccolse 6,25 miliardi di dollari. Sebbene il fondo fosse destinato ad aiutare 14 Paesi, la maggior parte dei fondi fu indirizzata all’Indonesia e allo Sri Lanka, i Paesi più duramente colpiti.
La ricostruzione richiese risorse enormi, con aiuti internazionali che dopo anni superarono i 14 miliardi di dollari. A Banda Aceh, una delle zone più colpite, furono ricostruite oltre 100.000 abitazioni, ma il processo fu lungo e doloroso, e in alcune aree costiere la ripresa economica è ancora in corso.
Non mancarono anche eventi di beneficenza, come concerti e manifestazioni sportive, organizzati per raccogliere fondi. Un esempio è l’incontro di rugby IRB Rugby Aid Match, tra giocatori dei due emisferi, che si svolse a Londra nel marzo 2005.
La lezione appresa: l’importanza di un sistema di allerta tsunami
Una delle lezioni più difficili emerse dal disastro fu la carenza di un sistema di allerta tsunami nell’intera regione del Sud-Est Asiatico, una zona che ospita l’Anello di Fuoco dell’Oceano Pacifico, un’area caratterizzata da alta attività sismica e responsabile dell’80% degli tsunami mondiali. La sua assenza contribuì enormemente all’alto numero di vittime, in particolare in India e Sri Lanka, dove circa 55.000 persone morirono per non aver ricevuto alcun avvertimento. Se le popolazioni costiere avessero avuto accesso a un sistema di allerta, sarebbe bastato spostarsi di poche centinaia di metri verso l’interno o verso alture vicine per evitare il disastro. In risposta a questa tragedia, furono avviati investimenti per creare sistemi di allerta più efficaci, e oggi l’Oceano Indiano è meglio preparato a fronteggiare simili calamità.
Le conseguenze geofisiche del terremoto
Il terremoto di Sumatra è stato il terzo più potente mai registrato, dopo quello che colpì Valdivia, in Cile, il 22 maggio 1960, e quello in Alaska del 1964, con magnitudo rispettivamente di 9.5 e 9.2. L’energia liberata dal terremoto del 2004 fu così grande che alcuni effetti si registrarono anche a livello geofisico. Si stima che l’evento abbia accelerato leggermente la rotazione della Terra, riducendo la durata di un giorno di circa 3 microsecondi. Alcuni modelli suggeriscono che l’asse di rotazione terrestre possa essersi spostato di 2-6 cm, e che le isole a sudovest di Sumatra possano essersi spostate di 20 m, con la punta nord dell’isola spostata di 36 m. Tali effetti sono ancora oggetto di studio da parte della comunità scientifica.
A vent’anni di distanza, il ricordo di quel giorno rimane indelebile. Le immagini dei turisti che camminano tra le macerie e delle famiglie che piangono le perdite sono ancora vive nella memoria collettiva. La lezione appresa è chiara: la protezione delle vite umane attraverso un sistema di allerta tempestivo è fondamentale per evitare tragedie di queste proporzioni. Il mondo ha risposto con solidarietà, ma non dimenticherà mai quello che è stato il più grave disastro naturale della storia moderna.
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