Agrigento – C’è chi impasta e chi prepara il forno. Un’allegria diffusa e contagiosa supera la distanza e mi porta a Campobello di Licata. Ci tengono a farsi vedere ed è così che la nostra chiacchierata viene preceduta da una videochiamata. Volti sorridenti che lavorano mentre la legna scoppietta nel forno. Sono soprattutto Turi e Piera a raccontarmi del Forno Popolare Sante Caserio, mentre gli altri partecipano con il loro “fare”. Si tratta appunto di un forno sociale che ha l’obiettivo di riunire una comunità attraverso pratiche di autogestione e autoproduzione.
L’idea è stata di Turi. Anni fa aveva vissuto un’esperienza simile a Benevento, un luogo abbandonato e occupato aveva ripreso vita grazie a un forno di comunità. Rientrato in Sicilia, Turi ha deciso di replicare l’iniziativa nel suo luogo di origine, Campobello. Qui, qualche anno addietro, aveva costruito insieme al padre un forno in una delle case tipiche del mondo contadino di un tempo, conosciute in questa parte di Sicilia con il termine Robba.
Quale posto migliore in cui riproporre l’esperienza di un forno sociale? Si è sparsa la voce e nel giro di pochi mesi il forno di Turi, già intitolato al fornaio anarchico Santo Caserio, ha preso vita. «Abbiamo iniziato a organizzarci per scegliere insieme che gestione adottare e quali tipi di farina usare. Abbiamo optato per un’agricoltura circolare nel rispetto della natura e del suolo. Usiamo farine e grani antichi coltivati in regime biologico per contribuire a una maggiore consapevolezza del cibo che portiamo sulle nostre tavole», racconta Turi.
Generalmente il gruppo più attivo, costituito da circa 15-20 persone, si ritrova a Campobello il sabato mattina. Ogni due settimane si svolge l’assemblea per fare il punto della situazione: farina da acquistare – generalmente da Piero Consentino, un giovane coltivatore di grani antichi – e organizzazioni varie. Un circuito virtuoso che riunisce persone accomunate da valori di cura e rispetto verso il prossimo e l’ambiente e ama condividere il proprio sapere e la propria esperienza.
«Inizialmente abbiamo coinvolto le persone a noi più vicine, oggi la comunità del Forno Popolare Sante Caserio è sempre più numerosa. Molti giovani vivono fuori, il nostro paese come tanti altri in Sicilia vive una forte emorragia migratoria, ma quando rientrano vengono subito qui a Campobello. Tra questi anche i ragazzi promotori del Festival Questa è la mia terra e io la difendo. Il forno oltre ad avere un’anima sociale ha anche un’anima politica», sottolinea Piera.
In effetti, oltre al pane si sfornano anche appuntamenti culturali e impegnati per immaginare insieme un mondo diverso. Da presentazioni di libri a giornate, come quella dedicata alla biodiversità, in cui si organizzano convegni che riuniscono professionisti e appassionati per condividere conoscenze sulla biodiversità e l’urgenza di essere parte attiva di un cambiamento. Il Forno Popolare Sante Caserio ha raccontato anche la propria esperienza autogestita e quella dei forni di comunità al giardino della Kolymbetra.
Durante il mese di dicembre non sono mancati appuntamenti speciali che hanno animato Campobello raccogliendo intorno alla maidda – un contenitore in legno di forma rettangolare e di diverse dimensioni usato per impastare il pane e non solo – mani di donne, uomini, giovani e meno giovani per preparare, ad esempio, i muffoletti, un impasto di pizza con semi di finocchi condito con formaggio, olio, pepe e sarde.
«Generazioni uniti dal lavoro delle mani. Gli uomini e le donne quando si ritrovano a parlare stanno bene, ma quando fanno qualcosa insieme creano qualcosa di magico e speciale. Dentro la maidda le mani si muovono in contemporanea senza che qualcuno spieghi come si faccia, una coordinazione naturale e spontanea per lavorare qualcosa di vivo come il pane», continua Piera.
La parola chiave del Forno Popolare Sante Caserio è “autogestione”: si tratta infatti di una comunità orizzontale che non prevede un comitato direttivo ma che per una strana magia si ritrova tutte le settimane. Una comunità corale dove tutti sono protagonisti. «Anche il post fornata si trasforma in un momento di convivialità, si organizza la “schiticchiata”, una vera e propria scampagnata per stare insieme e dividere il pane», sottolinea Turi. Esperienze come questa di Campobello di Licata o come quella del forno sociale di Cefalù, che vi abbiamo già raccontato, dimostrano come da semplici ingredienti offerti dalla natura non solo si possano ricavare prelibatezze varie, ma anche tanto ben-essere.
La legna che brucia, le mani che impastano, l’odore del pane appena sfornato e un senso di calore che scalda i corpi e l’anima di chi condivide momenti genuini e puri, raccontano un’umanità più bella di quella che ci viene descritta ogni giorno. La storia del Forno Popolare Sante Caserio insegna che cercare la bellezza nelle piccole cose, quelle più semplici, ci rende migliori perché aiuta a sviluppare empatia, cura, rispetto e socialità. Una storia in cui Natale è tutti i giorni.
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