Natale, corsa all’ultimo dono: tra gli acquisti compulsivi e le mode, cosa resta del senso della ricorrenza

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di
Massimo Marino

Dal mercatino di Santa Lucia a Bologna al saggio dell’antropologoClaude Levi-Strauss sul consumismo

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Regali, regali, regali. È tutta una corsa nelle ore che precedono la festa a comprare doni per tutti. La città è un immenso albero di Natale decorato da luminarie ormai in ogni strada e quartiere; i bolognesi sono la linfa che scorre nei suoi rami in un unico grande flusso di shopping. In questo fiume di vetrine e carte di credito, di panettoni spinti a derive incredibili (a quando quello cioccolato e mortadella?) la fiera di Santa Lucia rappresenta un’isola antica fatta di croccantini e statuette del presepio, di sciarpe e piccoli oggetti da comprare. Non ci sono più gli abeti che si trovavano all’inizio del portico, col loro odore di foreste: gli alberi di Natale oggi sono di plastica, «ecologici», e le decorazioni natalizie nel mercatino sono ridotte. Ma in esso spira sempre quella giovanile, impalpabile felicità narrata dai versi di Eskimo di Francesco Guccini (1978): «Ricordi fui con te a Santa Lucia / al portico dei Servi per Natale / credevo che Bologna fosse mia / ballammo insieme all’anno o a Carnevale».

L’antico mercatino

Il mercatino, aperto da novembre a Natale, è antico. Nacque quando papa Gregorio XIII, il bolognese Ugo Boncompagni, quello della statua su palazzo D’Accursio, regalò alla città una reliquia di santa Lucia, la martire siciliana. Davanti alla chiesa dei gesuiti a lei intitolata (oggi aula magna dell’Università) si formò una fiera di icone sacre, di cibi di strada, di altri oggetti. Nel periodo napoleonico fu trasferita nel sito attuale. Divenne il luogo dove si potevano comprare le decorazioni, dolci come le «mistocchine», frittelle di farina di castagne aromatizzate all’anice e abbrustolite su una piastra di ferro, giocattoli per i bambini. Già, perché santa Lucia nel Nord Italia portava regali ai bambini, come in Sicilia i morti, come in molte zone d’Europa Santa Claus, San Nicola, come Gesù Bambino, come la Befana. Oggi quasi tutti questi donatori sono stati riassorbiti da Babbo Natale, il pacioccone rosso che arriva di notte sopra una slitta, disegnato dalla Coca Cola sulla figura di Santa Claus. E i regali, frutto dello shopping estremo, dilagano tra gli adulti, in una ricorrenza che è diventata un episodio di quella festa continua che sono il relax, il turismo, il tempo libero.




















































«Se siamo sempre in festa non lo siamo mai del tutto»

Questo Natale l’editore Sellerio ha ripubblicato un saggio del 1952 del grande antropologo Claude Levi-Strauss, Babbo Natale giustiziato (13 euro, 120 pagine), con un’introduzione del semiologo Gianfranco Marrone e un saggio dell’antropologo Antonino Buttitta. Marrone inizia notando come le pubblicità con cappelli e barbe di Babbo Natale inizino quando scendono le prime ombre autunnali, così come le luminarie accendano le città sempre prima. E osserva: «Se siamo sempre in festa, non lo siamo mai del tutto». Il saggio di Levi-Strauss parte da un episodio avvenuto sul sagrato del duomo di Digione nel 1951: un pupazzo di Babbo Natale bruciato, davanti ai bambini dei patronati, per «smitizzare» il simbolo che occultava il Natale cristiano. Da questo fatto parte per un’analisi del rito dei regali, come un atto che i vivi, gli adulti, i membri della società, compiono nei confronti dei non-iniziati, dei più giovani, degli appena arrivati, in quanto rappresentanti di quella non-vita sociale che è la morte.

Propiziazione ed esorcismo

È propiziazione, aggiunge Buttitta, in un passaggio d’anno difficile per le culture agrarie, quando il seme deposto nella terra deve fruttificare. Ed è (ancora Levi-Strauss) un modo per esorcizzare il diverso, per placare le anime dei morti che durante l’autunno, mascherati da bambini, hanno tiranneggiato i vivi con questue, rapimenti, scherzi, con forme differenti di intromissione sintetizzate oggi in Halloween. È un varcare e poi ristabilire confini, premiando i «buoni» e sanzionando i «cattivi». Ma oggi, che non esistono più riti di passaggio, che gli adulti tendono a infantilizzarsi, che senso ha tutto ciò?
Il saggio analizza strutture che giacciono sotto le trasformazioni del nostro quotidiano comportamento, per qualche verso non dissimile da quello dei nostri antenati romani e medioevali, che decoravano rami verdi nelle case e regalavano strenne ai piccoli. Con un’accelerazione consumistica che fa dimenticare il campanello che nelle strade, nel freddo, annunciava l’arrivo di santa Lucia, con una corona di candele per avere le mani libere per distribuire regali, un asinello, e cenere da gettare negli occhi di chi, avido dei doni, non fosse andato a dormire.

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