La Viarte del giovane Polegato: «Tornati a 200 mila bottiglie»

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Dalle colline Unesco del Prosecco ai Colli orientali del Friuli, la Slovenia a un passo, che quasi si tocca con mano e il torrente Judrio a segnare il confine con l’altro terroir prestigioso, il Collio. Riccardo Polegato, 28 anni, da pochi mesi si è trasferito in pianta stabile, dal Veneto al Friuli Venezia Giulia e ha deciso di puntare, investendo energie e capitali, in una delle cantine più note della zona, La Viarte, che ha più di 50 anni di storia.

«Potevamo andare a fare vino in Sardegna» spiega l’imprenditore «ma alla fine abbiamo scelto questo territorio perché qua si fanno i migliori bianchi del mondo, le potenzialità sono grandi» .

Riccardo è figlio d’arte (la famiglia era tra i proprietari del famoso marchio Astoria) e gestisce la tenuta in Comune di Prepotto – 24 ettari vitati in un corpo unico e 13 ettari di bosco che fanno da cornice ai vigneti – con le sorelle Luana e Giorgia. Lui è un vulcano di idee che mette in pratica a tamburo battente. Fervono infatti i lavori per ammodernare la cantina, sistemare l’area accoglienza, rendere più gradevole e identificabile l’ingresso alla proprietà. Già da lontano infatti si notano i tre portali ad arco in acciaio corten, dal caratteristico color ruggine, dislocati nei punti di maggior interesse.

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«Li abbiamo voluti così perché ricordano immediatamente l’apertura, la primavera, La Viarte, appunto. Quello lassù» racconta Polegato «è nel punto più alto a 210 metri. Accanto ci realizzeremo una terrazza per le degustazioni all’aperto, nella bella stagione e in autunno si potrà godere di un panorama unico, sorseggiando un buon calice. Credo molto nell’incoming, l’idea è quella di rendere la tenuta accessibile agli appassionati che verranno a trovarci, dall’Italia e dall’estero» .

La lista degli investimenti, ovviamente, non si ferma all’estetica, ma si concretizza nella sostanza. «Stiamo rinnovando il punto vendita, che sarà ampliato» aggiunge Polegato «realizzeremo la nuova barricaia dove metteremo le 8 mila bottiglie di annate storiche dall’anno di fondazione, il 1970, a oggi. Siamo l’unica azienda che può vantare bottiglie di ogni vendemmia, potranno essere anche degustate. Stiamo terminando l’impianto di vinificazione, all’avanguardia per tecnologia, con la pressa e i serbatoi tagliati su misura per le nostre esigenze. Abbiamo studiato anche un nuovo metodo di trasporto delle uve dalla vigna alla cantina, con i contenitori da 2 quintali. Lo scopo è quello di evitare che il grappolo resti troppo tempo nelle cassette di plastica o di legno, al caldo di agosto, e far arrivare acini perfettamente intatti per la vinificazione. Lavoriamo molto sugli impianti: abbiamo estirpato e continueremo a farlo, i vitigni internazionali, per concentraci sugli autoctoni come Friulano, Ribolla gialla, Malvasia, che hanno una resa eccezionale, grazie a vigneti che possono vantare 40, 50 anni di vita. Andiamo a cercare i cloni del Friulano di mezzo secolo fa, se avremo la necessità di reimpiantarlo. Infine ventata nuova sulle etichette, completamente ridisegnate e rimodellate».

La mano manageriale della proprietà Polegato si è sentita pure sui mercati. «Quando siamo arrivati nel 2023 si vendevano sì e no 50 mila bottiglie» osserva l’imprenditore «adesso siamo già tornati a 200 mila, grazie al lavoro della rete di 70 agenti in tutta Italia nel circuito Horeca e abbiamo raddoppiato il fatturato, arrivato a 4 milioni di euro. Per noi il mercato interno vale il 90% delle vendite, mentre all’estero siamo presenti in Germania, Austria, Svizzera, ma vedremo di espanderci verso l’Est Europa. Abbiamo lanciato due nuovi vini, una Ribolla gialla non filtrata e l’uvaggio Incò, fatto di Sauvignon, Friulano, Malvasia, Ribolla e Riesling. In cantina ci avvaliamo, per le questioni tecniche, della consulenza di Gianni Menotti, un enologo tra i più conosciuti».

Riccardo Polegato, nonostante la giovane età, non è un entusiasta delle mode che sembra abbiano circuìto la Gen Z. «I mercati ci chiedono vini più freschi» conclude il vignaiolo veneto «ma non è la gradazione che fa il vino. È impensabile snaturare la produzione peculiare del Friuli solo per seguire le mode, qualità e tradizione a mio avviso contano di più». Un’ultima stoccata Polegato la riserva ai vini cosiddetti “naturali”.

«Si tratta di un termine privo di rigore che gioca sulla percezione del consumatore» dice «è fuorviante pensare che siano più salutari. Questa è una semplificazione che rasenta l’inganno, poiché la salubrità di un vino non dipende dal fatto che sia naturale o meno ma, piuttosto, da fattori come il contenuto di solfiti (che, peraltro, sono presenti anche nei vini cosiddetti naturali), la qualità dell’uva e i processi di vinificazione. Dunque, affermare che un vino naturale sia automaticamente “migliore per la salute” è una manipolazione che sfrutta la poca conoscenza del consumatore medio. Infine, c’è il rischio di un effetto boomerang: concentrarsi sul naturale potrebbe sminuire il lavoro di migliaia di produttori che, pur non utilizzando questa etichetta, si impegnano onestamente ogni giorno per creare vini straordinari nel rispetto dell’ambiente e del territorio». —

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