Costa molto, molto meno della banana di Cattelan. Beninteso, alla fine la si mangia comunque, ma non sborsando 6,2 milioni di dollari spesi dall’investitore cinese Justin Sun per l’opera d’arte. Ma con 70 euro, oltre al capolavoro – stavolta non di arte concettuale, ma pasticciera – si può smontare, a tavola, l’intero menu degustazione. La banana in questione è quella, dolce, creata dallo chef Gaetano Marinaccio, patron de La Cucina di Rho, alle porte di Milano. Che poi, un frutto fisico non lo è nemmeno: si tratta infatti di una bavarese alla banana (di cui replica la forma), cioccolato bianco limonato, cacao amaro. Anch’essa però è “nastrata”, però al piatto e non al muro, con una striscia di cioccolato e non con lo scotch. Differenze più che sostanziali, anche se entrambe alla fine si mangiano.
La genesi però è diversa: «La “Banana” nel 2023 è nata dal desiderio di reinterpretare la classica banana split in chiave moderna e raffinata. Ma non ci siamo riusciti» confessa Marinaccio.«La preparazione richiede precisione e cura: utilizziamo banane acerbe fatte maturare internamente per ottenere la consistenza ideale. Una volta creata la bavarese, la inseriamo negli stampi dedicati, abbattiamo a -20°C e ricopriamo con il cioccolato bianco. Prima di servirla la copriamo con un velo di cioccolato amaro per richiamare l’idea del nastro adesivo».Marinaccio non è nuovo all’idea di piatti divertenti ed elaborati: uno di questi utilizza persino l’olio estratto dai cipressi, è un risotto Carnaroli preparato con zafferano biologico locale, Parmigiano Reggiano stagionato 100 mesi, polline, fava tonka ed estratto di cipresso. «Un’esplosione di sapori autentici e complessi. Parallelamente, dedichiamo grande attenzione alla qualità e alla tecnica nella lavorazione delle carni, dalla scelta degli antipasti fino ai secondi piatti. Ciò che ci contraddistingue è un approccio senza eccessi decorativi ma basato su anni di esperienza e maestria nella cottura».
I suoi amici-competitor, però, lo hanno preso simpaticamente in giro per l’idea del “risotto giallo del cimitero”.Gaetano Marinaccio è un ragazzone classe 1988, giovane imprenditore che ha trasformato una necessità in passione. Dopo una lunga esperienza nel settore turistico – è stato general manager di un gruppo alberghiero a soli 28 anni – la pandemia lo ha portato a reinventarsi: ha dapprima affinato la sua formazione nella lavorazione delle carni, acquisita grazie a corsi pratici e teorici di Gianfranco Lo Cascio, poi ha aperto La Cucina, inizialmente concepita come bistrot specializzato in carne. Da circa un anno e mezzo, il ristorante si è evoluto in un’esperienza di fine dining, puntando su tecnicismi più raffinati e un ritmo lavorativo sostenibile, senza mai perdere di vista l’effetto sorpresa. «Ma Gaetano Marinaccio – si autoracconta – ha imparato a cucinare nella sua cucina, studiando, sbagliando, confrontandosi con colleghi e sicuramente persone del settore chiedendo loro come ottenere certi risultati».Nuove ispirazioni ad altre opere d’arte dopo quella di Cattelan? Possibile, ammette lui: «Pur essendo legato alle tradizioni e ai simboli delle sue origini, come San Gennaro, non escludo di trarre ispirazione da opere contemporanee, come quelle di Banksy, per future creazioni».
Ma intanto, ecco la genersi e l’assaggio della banana: «Come detto, abbiamo affrontato numerosi tentativi che non hanno portato al risultato desiderato, principalmente a causa di problemi legati alla consistenza interna, forse banalmente trascurata. Quest’anno, a partire da settembre, abbiamo introdotto una versione più “semplice”, ma continuavano a persistere difficoltà legate alla texture. Finalmente, verso la fine di ottobre, dopo che il team era ormai esasperato nel mangiare le versioni “sbagliate”, abbiamo raggiunto la consistenza perfetta. Evviva! Oggi possiamo definirla un’“opera semplice”, ma solo grazie a tanto lavoro e dedizione. È una creazione essenziale, priva di zuccheri aggiunti, che combina croccantezza esterna e cremosità interna, ricordando il piacere pubblicizzato da un classico gelato “che fa crock”». Alla domanda “inviterebbe il milionario che ha acquistato l’opera di Cattelan ad assaggiare il tuo dessert?” risponde di sì «ma solo a condizione che comprenda il suo vero valore, soprattutto in termini di food cost». A proposito di conto: in carta, il dolce costa 15 euro «o se si è fortunati – chiosa lo chef – lo si trova all’interno del percorso degustazione “a mano libera”, composto da quattro portate oltre ad amuse bouche e petit four». Secondo canone, o forse no.
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