Condono edilizio, fiscalizzazione abusi e ordine di demolizione: interviene la Cassazione

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La Corte di Cassazione torna a parlare di
ordine di demolizione e della sua eventuale revoca
o sospensione in caso di presentazione di istanza di
condono
, ribadendo alcuni importanti principi in materia
di responsabilità e di bilanciamento tra gli interessi del privato
e quelli finalizzati alla tutela del territorio.

Ordine di demolizione: può essere revocato in caso di istanza
di condono?

Lo fa con la sentenza
del 12 dicembre 2024, n. 45425
, con la quale ha
rigettato in toto il ricorso finalizzato proprio alla revoca
dell’ordine di demolizione impartito da una Corte d’Appello in
qualità di giudice dell’esecuzione sulla porzione di
un immobile costruita abusivamente in area
vincolata.

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Secondo i ricorrenti, la Corte d’Appello:

  • non avrebbe esaminato la situazione di fatto e quindi rilevato
    l’impossibilità di realizzare altrove, rispetto all’immobile
    abusivo, la cucina funzionale all’appartamento;
  • l’intervenuta domanda di condono dell’immobile avrebbe impedito
    l’esecuzione dell’ordine di demolizione in assenza del previo esame
    della correlata istanza amministrativa, sussistendo elementi per
    cui l’istanza di condono avrebbe potuto essere esaminata in tempi
    ragionevoli con l’adozione di provvedimenti inconciliabili con
    l’ordine di demolizione;
  • non avrebbe applicato l’articolo 34 del d.P.R. n. 380/2001
    (Testo Unico Edilizia) con il ricorso alla
    sanzione alternativa, in quanto la demolizione non
    sarebbe potuta avvenire senza pregiudizio della parte edilizia
    legittima.

Abusi edilizi: l’equilibrio tra tutela degli interessi del
privato e il ripristino dello stato dei luoghi

In primo luogo, gli ermellini hanno ribadito che il diritto
all’abitazione, riconducibile agli artt. 2 e 3 Cost. e all’art. 8
CEDU, non è tutelato in termini assoluti, ma è contemperato con
altri valori di pari rango costituzionale, come l’ordinato sviluppo
del territorio e la salvaguardia dell’ambiente, che giustificano,
secondo i criteri della necessità, sufficienza e proporzionalità,
l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo,
sempre che tale provvedimento si riveli proporzionato rispetto allo
scopo che la normativa edilizia intende perseguire, rappresentato
dal ripristino dello status preesistente del territorio.

Dall’altra, l’Autorità giudiziaria, nel dare esecuzione
all’ordine di demolizione di un immobile abusivo costituente
l’unica abitazione familiare, è tenuta a rispettare il
principio di proporzionalità enunciato dalla
giurisprudenza convenzionale, a condizione che chi intenda
avvalersene si faccia carico di allegare, in modo puntuale, i fatti
addotti a sostegno del suo rispetto.

Tali fatti non possono dipendere dalla inerzia del
ricorrente
ovvero dalla volontà sua o del destinatario
dell’ordine, non potendo il condannato lucrare sul tempo
inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza,
posto che l’ingiunzione a demolire trova causa proprio dalla sua
inerzia.

Altro punto fondamentale, il fatto che l’ordine di demolizione
sia una sanzione ripristinatoria e non punitiva. La natura
amministrativa della sanzione non è di per sé incompatibile con il
fatto che essa debba essere irrogata nel rispetto di quanto prevede
l’art. 7 CEDU per le sanzioni di natura punitiva, considerato che
ciò corrisponde alla necessità di salvaguardare l’effettività delle
garanzie convenzionali e i connessi profili sostanziali di tutela.
In altri termini, l’ordine di demolizione si inserisce in un
complesso articolato normativo di ripristino del
territorio
, in precedenza accennato, comprensivo della
confisca, costruito dal legislatore nella sua ormai riaffermata
discrezionalità e sviluppato con varietà di iniziative tutte
comunque dirette alla funzione di riassetto del territorio e della
legalità urbanistica violata, rispetto al quale la stretta
correlazione, sul piano funzionale, dei due predetti rimedi, non
può che portare a riconoscere ad entrambi il carattere di misure
amministrative ripristinatorie e non di pena.

Ordine di demolizione: chi deve ottemperare?

Inoltre, in tema di reati edilizi, dopo
l’acquisizione dell’opera abusiva al patrimonio disponibile del
Comune, qualora il consiglio comunale non abbia deliberato il
mantenimento del manufatto, ravvisando l’esistenza di prevalenti
interessi pubblici, il condannato può chiedere la revoca
dell’ordine di demolizione soltanto per provvedere
spontaneamente all’esecuzione
di tale provvedimento,
essendo privo di interesse ad avanzare richieste diverse, in quanto
il procedimento amministrativo sanzionatorio ha ormai come unico
esito obbligato la demolizione della costruzione a spese
del responsabile dell’abuso
.

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Inoltre si è anche precisato che il trasferimento al
patrimonio comunale
della proprietà dell’immobile abusivo,
automaticamente conseguente alla scadenza del termine di novanta
giorni fissato per l’ottemperanza all’ordinanza sindacale di
demolizione, non costituisce impedimento giuridico a che il privato
responsabile esegua l’ordine di demolizione impartitogli dal
giudice con la sentenza di condanna, salvo che l’autorità comunale
abbia dichiarato l’esistenza di interessi pubblici prevalenti
rispetto a quello del ripristino dell’assetto urbanistico
violato.

Istanza di condono: gli effetti sull’ordine di demolizione

Per quanto riguarda la presentazione di una istanza di condono,
gli ermellini hanno evidenziato come l’abuso in esame non fosse
condonabile, dato che è situato in area vincolata, né sono state
fornite adeguate allegazioni sull’esito o almeno sulle ragioni di
una rapida e imminente e positiva decisione. In tema di esecuzione
penale, non sussiste infatti un onere probatorio a carico del
soggetto che invochi un provvedimento giurisdizionale favorevole,
ma solo un onere di allegazione, cioè un dovere di
prospettare e di indicare (specificamente) al giudice i fatti sui
quali la sua richiesta si basa, incombendo poi alla autorità
giudiziaria il compito di procedere ai relativi accertamenti.

Tale onere è stato disatteso tuttavia dal ricorrente, come
evidenziato dalla Corte, perché non si è fatto carico di allegare
alcun concreto elemento dal quale il Giudice dell’esecuzione avesse
potuto desumere che la domanda di condono fosse definibile in tempi
brevi – posto che erano trascorsi oltre venti anni dalla data di
presentazione della istanza di condono del 2004 – in maniera che il
collegio di merito avesse potuto dare corso ad una istruttoria
diretta ad accertare i possibili esiti ed i tempi di conclusione
del procedimento amministrativo e, in particolare:

  • a) il prevedibile risultato dell’istanza e la sussistenza di
    eventuali cause ostative al suo accoglimento;
  • b) la durata necessaria per la definizione della procedura, che
    può determinare la sospensione dell’esecuzione solo nel caso di un
    suo rapido esaurimento.

Niente sanzione alternativa se la demolizione non pregiudica la
parte legittima dell’immobile

Infine, laddove si lamenta la mancata applicazione dell’art. 34
del testo unico dell’edilizia sul rilievo per cui la demolizione
non potrebbe avvenire senza pregiudizio della parte edilizia
legittima, conclude la Cassazione che il richiamo alla normativa è
inconferente perché si tratta una possibilità inerente difformità
parziali e, peraltro non è stato contestato che si potesse
procedere alla demolizione senza pregiudizio di altre parti
edilizie legittime.

Il ricorso è stato quindi totalmente respinto, con conferma
della piena legittimità dell’ordine di demolizione.

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