Carriere separate, battaglia tra Csm e maggioranza

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Secondo l’articolo 10 della legge 24 marzo 1958 – n. 195 “Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura” – il Csm “dà pareri al Ministro, sui disegni di legge concernenti l’ordinamento giudiziario”. Ed è quello che si accinge a fare l’8 gennaio quando il plenum voterà tra le due proposte nate in seno alla VI Commissione: la prima contraria alla riforma costituzionale della separazione delle carriere (dei togati Antonello Cosentino, Roberto D’Auria, Roberto Fontana, Eligio Paolini, e del laico in quota Pd Roberto Romboli), la seconda favorevole (del laico in quota Fratelli d’Italia Felice Giuffrè). L’orientamento è quello di approvare la prima proposta con tutti i togati compatti (Mi, Unicost, Area, Md, Indipendenti) insieme ai laici di espressione della minoranza parlamentare.

Dalle dichiarazioni raccolte nella maggioranza sembra però che la leale collaborazione tra i due organi – che prevede una “funzione propulsiva e consultiva, di carattere tecnico-giuridico, attraverso la quale il Consiglio instaura un dialogo con gli organi titolari dell’indirizzo politico e che si esprime attraverso tre tipologie di atto (proposte, pareri, relazione)” – (Marcello Basilico sulla rivista GiustiziaInsieme, 4/01/2024) stia per saltare e aprire una nuova voragine tra magistratura e laici di sinistra da un lato e Governo e maggioranza dall’altro lato.

La sintesi è: il Csm dica quello che vuole, ma alla fine decidiamo noi. Del resto i pareri non sono vincolanti e le leggi alla fine le fa il Parlamento. Certo è che i toni tra organi e poteri della Repubblica sono al minimo storico. Già a inizio dicembre abbiamo assistito ad uno scontro sul ruolo del Csm da parte del sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove, e il laico di Piazza Indipendenza, eletto in quota Italia Viva, Ernesto Carbone. Il primo, quando il Csm aveva bocciato il dl Flussi che ha spostato le competenze sui trattenimenti dai Tribunali alle Corti d’Appello, aveva sostenuto: «Il governo continuerà legittimamente, forte del consenso popolare, a programmare lui le politiche migratorie e non altri attori sguarniti nel consenso popolare necessario per determinare le politiche migratorie di questo Paese». Il secondo gli aveva replicato: «Strano concetto di democrazia ma soprattutto strano concetto del rispetto dei ruoli istituzionali, quello del sottosegretario. Da Componente laico eletto dal Parlamento in seduta comune gli suggerirei più rispetto per il parere espresso a larghissima maggioranza da un organo collegiale di rilievo costituzionale quale il Csm».

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Adesso la diatriba è pronta a riaccendersi. La deputata leghista Simonetta Matone, ex magistrato e membro della Commissione giustizia, è stata tranchant: «Da tempo il Csm si arroga poteri non suoi. Invadendo campi propri del potere esecutivo e legislativo. Il vero problema è che questo è stato tollerato, se non addirittura incoraggiato per anni. Ora si è arrivati al redde rationem. La separazione delle carriere è in aula e verrà legittimamente votata da un Parlamento legittimamente eletto. Nel rispetto di ciò che la Costituzione prevede».

Più moderato il capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia alla Camera, Tommaso Calderone: «Ogni organo e potere dello Stato espletino le loro funzioni istituzionali e Costituzionali. Il Csm esprima il parere che vuole. Il Governo e il Parlamento hanno già espresso il loro convincimento. La separazione delle carriere è già in aula e verrà approvata in prima lettura a gennaio dalla Camera dei Deputati. Questo è quello che conta». Mentre per Sergio Rastrelli, esponente di spicco di Fratelli d’Italia e Segretario della Commissione giustizia del Senato: «In questa partita decisiva sui temi della giustizia, è in gioco ancora più che la separazione tra poteri dello Stato, la dinamica del loro equilibrio. Non mi scandalizzano quindi le posizioni corporative, che a volte nascondono purtroppo la difesa di interessi più che dimostrare una resistenza culturale al cambiamento. Ciò che sarebbe invece intollerabile, è l’attività di interdizione rispetto alle prerogative sovrane del parlamento».

Dall’opposizione invece sostengono il contrario e difendono il ruolo del Csm. Per la deputata Valentina D’Orso, capogruppo M5S in commissione Giustizia alla Camera, «ormai da due anni assistiamo ad una costante opera di delegittimazione della magistratura, sarebbe grave e pericoloso se si alzassero ulteriormente i toni. Se governo e maggioranza riproponessero o intensificassero i loro attacchi al potere giudiziario, avremmo un’ulteriore dimostrazione del fatto che ai loro occhi la magistratura è un potere scomodo da addomesticare e sottomettere agli indirizzi politici del governo di turno. Il Csm ha tutto il diritto di esprimere una posizione su una riforma di enorme portata che riguarda non solo la natura dell’ordine giudiziario e l’esercizio del potere giudiziario, ma prima ancora i delicati equilibri tra poteri dello Stato consacrati nella Costituzione. Questo provvedimento, se riusciranno ad approvarlo, creerà una giustizia debole e indulgente con i potenti e meno garantista di oggi con i comuni cittadini».

Anche per la responsabile giustizia del Partito Democratico, Debora Serracchiani, «fatta la separazione delle carriere si rischia l’eterogenesi dei fini ed un indebolimento dell’autonomia e indipendenza della magistratura. Chi oggi pensa che il pm sia troppo forte e il giudice poco terzo ed imparziale, otterrà con la separazione un rafforzamento del pm e un indebolimento della magistratura giudicante. E per di più si indeboliranno i presidi di legalità posti a tutela dell’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Più che legittimo quindi che un organo di rilevanza costituzionale quale il Csm si esprima sui rischi di una riforma che altera nel profondo l’architettura costituzionale».



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