Recentemente, in occasione del raduno di Atreiu 2024 organizzato da Fratelli d’Italia e svoltosi a Roma, sono emersi alcuni orientamenti ascrivibili ad ambienti della sinistra che, in questa fase, dopo le pronunce della Consulta sulla costituzionalità della legge Calderoli e della Cassazione sulla legittimità delle richieste di referendum, dovrebbero sortire riflessioni più approfondite. In attesa della decisione di ammissibilità della Consulta, infatti, sull’autonomia differenziata (AD) si è avanzata l’ipotesi di evitare il referendum abrogativo (definito lancinante e divisivo) in favore di un percorso di “riforma della riforma” del titolo V della Costituzione da condividere con la maggioranza di Governo, o almeno, con quella parte di essa che potrebbe essere definita più “colloquiale”. Per fare questo, ci sarebbe bisogno che la maggioranza si fermi (ritiri la legge Salvini), nel quadro di un auspicato “spirito di squadra” che abbia, come base di discussione, non l’AD della Lega, bensì quella interpretata dalla Corte costituzionale che ha come epicentro l’insieme dei principi autonomisti che derivano dalla Costituzione (art. 5).
Tutte le domande sull’ipotesi di dialogo
Senza ombra di dubbio, la base di partenza che in questa ipotesi sembrerebbe prescelta è di tutto riguardo e fa piacere, ma, ciò nonostante, varie domande sorgono inevitabili e su queste, forse, si ravvisa l’opportunità di riflettere meglio: come sarebbe pensabile proporre questa base di discussione a questa maggioranza? Come è pensabile che il Governo si fermi? Poi, fermarsi in che senso? La sentenza 192/2024 ha reso la legge Calderoli sostanzialmente inefficace, ma essa continua a “lavorare” in maniera subdola. Partendo, infatti, dall’assunto fraudolento che la legge nel suo complesso sarebbe stata salvata dalla Consulta, salvo alcune parti da rimettere a posto, la Lega prosegue le trattative fra le regioni del nord per gli accordi sulla devoluzione delle nove materie non LEP. Inoltre, hanno già detto con chiarezza (Calderoli, come suo solito, è stato anche volgare) che di fermarsi non se ne parla perché andranno avanti. Non si sono fermati neanche con la commissione Cassese che stanno cercando di recuperare in vari modi; non hanno mai smesso di pensare alla federazione di stati ed ora tornano a dirlo espressamente: “E’ forse un caso che i nostri giovani scelgano paesi caratterizzati da un assetto istituzionale autonomista […]? Le mete da loro più desiderate sono infatti la Germania, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti” (Sonia Brescacin, il Quotidiano del sud 14.12.2024).
È evidente (lo è sempre stato) che per loro il concetto di autonomia non ha nulla a che vedere con quello della Repubblica autonomista di cui all’art. 5 della Costituzione. Dunque, come si può pensare che la destra di Governo, dopo aver tentato di far passare un progetto secessionista possa accettare un ripensamento operoso cambiando sponda? Perché se è vero l’apprezzabile spirito autocritico (da parte di chi propone questo percorso) sugli errori del passato relativi alla revisione del 2001 (non abbiamo motivo di dubitarne) è proprio il cambio di sponda che si dovrà chiedere alla destra di Governo, anche perché è la Corte a chiederlo e sarà essa a vigilare.
Per chi il referendum è “lancinante e divisivo”?
Altra perplessità: l’ipotesi che questo percorso colloquiale potrebbe aprirsi in luogo del referendum lancinante e divisivo non sembra avere valide basi. Un referendum abrogativo sarà divisivo perché si sceglie con un sì o un no, ma sarebbe doloroso per chi? Se in circa due mesi sono state raccolte quasi un milione e mezzo di firme per richiederlo (ne sarebbero bastate cinquecentomila), alla fine qualcosa significherà. In realtà, del referendum nessuno conosce gli esiti: potrebbe tradursi in un dolore lancinante per chi lo ha promosso ma anche per chi non lo vorrebbe. È un rischio che però i richiedenti hanno voluto correre, chi governa, no perché lo teme. Lo strumento referendario è questo. Il problema è che a taluni non piace perché ad essi è indigesta la nostra democrazia: essa è insieme rappresentativa, partecipativa e referendaria. Non una di queste tre colonne è rinunciabile.
Tornando all’ipotesi colloquiale, nel formularla, si guarderebbe a quella parte della destra di Governo che si pone in modo più moderato rispetto alla Lega. In realtà, a nessuno sfugge che questo Governo si regge su un forte accordo a tre pilastri: autonomia leghista-premierato-separazione delle carriere in magistratura. Sul primo ci chiediamo, che interesse potrebbero avere le forze di Governo giudicate più colloquiali a intraprendere insieme alla sinistra un percorso verso il regionalismo costituzionale? Nessuno. E non deve sfuggire che è in atto un conflitto fra costituzionalismo e anti-costituzionalismo, fra autoritarismo e democrazia. Al Governo resta solo questo accordo di ferro, il cui naufragio affonderebbe tutti. Sull’AD non ci possono essere mezze misure: resta il referendum per il quale bisogna mobilitarsi da subito anche in attesa del giudizio di ammissibilità.
A proposito della revisione del titolo V della Costituzione
Altro e ultimo punto di riflessione: non è la legge Calderoli da correggere, essa è da abrogare anche per fermare ogni accordo fra regioni del nord. Semmai, sarebbe il Titolo V della Costituzione a dover essere modificato (lo dicono anche i fautori della colloquialità con il Governo), perché qui sono stati compiuti gli errori più eclatanti di una sinistra, all’epoca, frettolosa e confusa. È su questo terreno che può aprirsi un confronto con tutti come è già stato fatto oltre un anno fa.
Bisognerebbe ripartire, infatti – lo diciamo come contributo a un’ipotesi colloquiale che abbia però come interlocutori privilegiati non le forze del Governo Meloni, ma tutta l’area costituzionalista che si è dimostrata forte, unita ed efficace –, da un altro grande sforzo ammirevole dell’elettorato italiano: la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare presentata al Senato con 106 mila firme e bloccata proprio dalla destra al Governo quasi un anno fa. Tale proposta, di cui oggi non parla più nessuno, mirava a una revisione costituzionale volta a correggere gli errori del 2001 e rilanciare con serietà i principi del regionalismo cooperativistico e solidale. Si proponeva, infatti – ne indico solo alcuni punti salienti ma basta rileggerla –, di coinvolgere le altre regioni sulle richieste di maggiore autonomia; negare la possibilità di autonomia differenziata nelle materie di potestà esclusiva dello Stato come la giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione e tutela dell’ambiente, l’ecosistema e i beni culturali; prevedere il ruolo attivo e decisivo dei cittadini nel conferimento di maggiore autonomia: referendum nazionale approvativo della legge che attribuisce maggiore autonomia prima della sua entrata in vigore, e referendum abrogativo successivo; ricondurre alla potestà legislativa esclusiva dello Stato sanità e il SSN, scuola e istruzione, lavoro, previdenza, infrastrutture di rilievo nazionale e strategiche, ecc. Questa sembra oggi l’unica strada per un’autonomia costituzionale conforme ai principi contenuti nell’art. 5 della Costituzione, così tanto richiamato dalla Corte costituzionale nella sentenza n 192/2024. Essa è l’unica possibile, sulla quale, però, non troveremo mai “marciatori” appartenenti all’attuale accordo di Governo: sia per convinzioni inossidabili sia per fedeltà.
Rimarrebbe, infine, una considerazione di carattere strategico che a me sembra di particolare importanza: se l’obiettivo è quello di promuovere solo spostamenti di voti verso sinistra – come d’altronde è accaduto con il successo recente del PD (non ci è dispiaciuto, anzi) senza recuperare però il non voto che invece continua a salire –, nulla quaestio: semplicemente ci sembrerebbe minimale e incoerente, ma se la sinistra oggi volesse un’altra cosa: il recupero del non voto che cresce e rappresenta il vero grande rischio per la democrazia, nel proposito di colmare la grande delusione dell’elettorato per le ambiguità le incoerenze e gli errori del passato non potrebbe permettersi più nessuno di essi. Ecco perché anche sul tema dell’AD c’è bisogno più che mai di grande chiarezza.
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