le sfide economiche e non di Inter, Juve e Milan nel 2025

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Nel contesto di un calcio mondiale sempre più rivolto verso la conquista di nuovi mercati, la Serie A tenterà di fare bella mostra di sé dal 2 al 6 gennaio in Arabia Saudita nella seconda edizione della Supercoppa italiana extra large, ovvero non più a due ma a quattro squadre.

È evidente che la scelta del Paese del Golfo è legata a un interesse economico visto che la Lega Serie A incasserà 23 milioni dalla trasferta nel paese arabo. Nello stesso modo è palese che quella location lasci aperto un dibattito in termini etici, visto che l’Arabia Saudita non si può certo additare quale nazione esempio di diritti civili e di democrazia.

D’altra parte però un quesito è lecito: se la FIFA, ovvero la massima organizzazione del calcio mondiale, ha concesso l’organizzazione dei Mondiali 2034 all’Arabia Saudita, perché solo la Lega Serie A, che per altro non è un ente politico, non dovrebbe sfruttare delle masse di quattrini che provengono dal Golfo? L’Arabia sta investendo pesantemente nel calcio e si stima che tra tornei e calciatori, la cifra avrà toccato quota 600 miliardi entro il 2034. La Liga spagnola per esempio sta facendo la stessa identica cosa organizzando anche essa la propria Supercoppa (dall’8 al 12 gennaio) a Riad e dintorni.

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In questo quadro va notato come quest’anno il nostro massimo campionato potrà approfittare di questa opportunità di marketing avendo a disposizione le migliori armi possibili in questo momento. Visto che in Arabia scenderanno in campo non solo l’Atalanta che dopo la conquista dell’Europa League e il virtuoso cammino in campionato e Champions League è ormai una realtà nota in tutto il mondo, ma anche le tre grandi storiche del nostro calcio, Inter, Juventus e Milan, ovvero le società con il maggior numero di trofei e di tifosi in Italia e all’estero.

Insomma, il neo presidente di Lega Ezio Simonelli e l’amministratore delegato Luigi De Siervo non potevano augurarsi di meglio per presentare il nostro movimento a uno dei Paesi chiave nel panorama del calcio a livello mondiale.

Nel contempo però è proprio con queste partite che Inter, Juventus e Milan apriranno un anno che non sarà privo di sfide economiche e strategiche.

Tenendo presente una avvertenza di importanza basilare: nelle valutazioni che seguiranno esiste una spada di Damocle sulla testa di questi tre club: mai come per il campionato in corso la qualificazione alla prossima Champions League, che è sempre un crocevia importante in termini economici, appare non scontata, almeno per quanto concerne Juventus e Milan. E qualora un club non dovesse centrare questo obiettivo, i problemi e le sfide delineate potrebbero ingrandirsi a dismisura e avere conseguenze notevoli sulla gestione di queste società.

I piani di RedBird dopo il rifinanziamento del vendor loan

Partendo dal Milan, non si può non iniziare dalla cronaca e dalla nota che nei giorni scorsi ha spiegato come RedBird Capital – il fondo guidato da Gerry Cardinale alla guida del club dal 2022 – ha chiuso il rifinanziamento del cosiddetto vendor loan, ovvero il prestito che il fondo Elliott, precedente proprietario del Milan, elargì a Cardinale nell’ambito dell’operazione con la quale il club rossonero passò nelle mani di RedBird per una valutazione complessiva di 1,16 miliardi. Cardinale versò a Elliott 600 milioni e finanziò la restante quota – 560 milioni – proprio con risorse messe a disposizione dal venditore (Elliott appunto) con un tasso di interesse nell’ordine del 7%.

Ora, in virtù del rifinanziamento siglato con otto mesi di anticipo rispetto alla scadenza di agosto, RedBird ha versato ulteriori 170 milioni, facendo così lievitare l’investimento nel Milan a 770 milioni di euro (a questa cifra vanno aggiunti i 55 milioni di euro, 40 più 15, spesi dall’azionista a sostegno del progetto stadio a San Donato Milanese, per un totale che supera gli 800 milioni di euro). Contestualmente, la quota capitale del prestito è stata ridotta a 489 milioni, con la nuova scadenza fissata a luglio 2028.

Al di la dei numeri però è importante interrogarsi su cosa voglia dire a livello strategico questa operazione per il club e per la proprietà. Nei fatti RedBird si è mossa con anticipo rispetto alla scadenza del vendor loan, prolungando il prestito di ulteriori tre anni e questo è indubbiamente un segno della volontà di un impegno a lungo termine nel club rossonero. Le tempistiche con le quali si è chiusa l’operazione – per fare un esempio – evidenziano le differenze rispetto a quanto successo invece con il prestito da 275 milioni di Oaktree a Steven Zhang per la gestione dell’Inter o con lo stesso Milan dell’era Yonghong Li. Entrambi gli impegni non vennero rispettati e i due uomini d’affari cinesi vennero costretti ad abdicare per non essere stati in grado di ripagare i prestiti forniti dal fondo Elliott in un caso e da Oaktree nell’altro.

Cardinale ha quindi “comprato” tempo e avere superato la scadenza di agosto 2025, allungandola fino a luglio 2028, consente a RedBird di concentrarsi con forza sul punto fondamentale per la sostenibilità del suo progetto sul Milan, ovvero il nuovo stadio. In questo quadro il 2025 sarà l’anno chiave da questo punto di vista, in quanto si capirà se l’opzione di un nuovo San Siro con l’Inter sarà effettivamente percorribile o se tutti gli sforzi verranno concentrati su San Donato, dove la proprietà ha già investito 55 milioni di euro, comprando i terreni su cui edificare eventualmente la struttura e rafforzando il patrimonio della società.

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Un aiuto esterno a Cardinale in questo senso è giunto dall’Inter, visto che il passaggio di proprietà da Steven Zhang a Oaktree consente al businessman americano di poter contare su un partner più solido economicamente con il quale dialogare qualora il piano di un nuovo San Siro dovesse essere quello prescelto. Seguendo la via dell’impianto in comune, i costi dell’investimento d’altronde sarebbero nei fatti dimezzati e le due squadre potrebbero restare nel quartiere di San Siro, evitando di trasferirsi fuori Milano.

È evidente in questo quadro che soltanto un impianto nuovo e capace di incrementare i ricavi ai livelli desiderati dal businessman newyorchese potrebbe consentire a Cardinale di aumentare il valore del club in maniera tale da poter pensare di uscire dall’investimento Milan nel medio termine con il guadagno che l’ex banker di Goldman Sachs si era prefissato.

Oltre al progetto stadio, il rifinanziamento del vendor loan inoltre apre le porte – almeno sulla carta – anche ad avere più tempo per possibili ingressi di soci di minoranza. Un’opzione che lo stesso Cardinale aveva ventilato in un’intervista rilasciata a febbraio a Calcio e Finanza: «In questo momento ci sono molti capitali in Medio Oriente interessati a investire nello sport e siamo aperti a collaborare con potenziali partner che potrebbero unirsi a noi sia come sponsor che come partner nella costruzione del nuovo stadio, oppure come azionisti minoritari in qualità di partner a vero valore aggiunto, ma come ho detto non rinuncerò al controllo».

Infine, non va sottovalutata l’importanza dell’operazione di rifinanziamento guardandola anche dall’altro lato della barricata: quella di Elliott. Il fondo guidato da Paul Singer ha evidentemente fiducia nel piano di Cardinale, visto che prima ha finanziato una parte dell’acquisizione, e ora ha deciso di allungare al 2028 la scadenza del prestito. Non solo, Elliott nello stesso tempo si è tenuto alla larga dalla ipotesi di dover nuovamente gestire il Milan e incassando i 170 milioni da RedBird ha abbassato ulteriormente il rischio dell’esposizione.

Tirando le somme, si può quindi dire che a due anni dal suo ingresso nel Milan, Cardinale ha confermato il suo impegno nel club rossonero e la centralità del nuovo stadio nel suo piano di lungo periodo. La speranza del proprietario è però che le cose inizino a funzionare anche in campo visto che la qualificazione alla Champions League rimane comunque un obiettivo primario per consolidare il livello raggiunto dal Milan negli ultimi anni a livello sportivo e di posizionamento del brand. E per ora questa qualificazione non appare scontata per nulla.

L’Inter e il nuovo corso Oaktree

Sull’altra sponda del Naviglio, in casa Inter, il 2024 non è stato solo un anno di successi sportivi (il 20esimo titolo nazionale e la seconda stella conquistata in casa del Milan) ma anche di grandi cambiamenti societari: il club nerazzurro è passato infatti nelle mani degli americani di Oaktree dopo che il precedente proprietario, il cinese Steven Zhang, non ha rispettato il pagamento di pagato un debito di 385 milioni (interessi compresi) al fondo statunitense che aveva come pegno proprio la società nerazzurra.

Come spiegato a suo tempo, il passaggio di proprietà mediante l’escussione di un pegno non è stata una bella immagine per una società dalla storia gloriosa, tuttavia non andando troppo per il sottile è emersa quale soluzione migliore per il club nerazzurro.

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In particolare, se già negli ultimi anni della proprietà Zhang il management aveva intrapreso la strada di combinare la competitività sportiva con il riordino nei conti, questa tendenza è ancora più marcata adesso che la proprietà fa capo a un fondo di private equity come Oaktree. Con importanti vantaggi nei confronti di quando c’erano gli Zhang al comando:

  • innanzitutto, perché nella catena di controllo dell’Inter non è più presente il finanziamento da 275 milioni (che con gli interessi aveva raggiunto i 395 milioni) che era in capo personalmente a Zhang e per il cui mancato pagamento l’ormai ex presidente ha perso il club proprio a favore di Oaktree. Il passaggio di proprietà ha nei fatti eliminato questo debito che era di Zhang e non dell’Inter.
  • In seconda istanza, perché l’Inter ha un bond da 415 milioni con interessi al 6,75% in scadenza al 2027. Questa volta l’obbligazione è in capo direttamente al club nerazzurro stesso e quindi un eventuale mancato pagamento innescherebbe una procedura di insolvenza della società. Questo scenario però fa meno paura adesso visto che il nuovo proprietario ha le spalle più grandi economicamente;
  • inoltre, guardando anche al fronte stadio, i progetti interisti sembrano avere basi più solide e in questo senso non è un caso che siano ripresi i piani in condivisione con il Milan. Anche perché Cardinale considera la nuova proprietà nerazzurra come un partner nettamente migliore rispetto a quella precedente.

È evidente però che nonostante il risanamento in corso, sia praticamente impossibile che la gestione dell’Inter possa produrre utili tali entro il 2027 da pagare il debito di quella obbligazione da oltre 400 milioni. Pertanto, l’azionista o chi per lui dovrà pagare per quel bond. E in questo scenario non è fuori logica ipotizzare che Oaktree possa rimborsare parte di quel debito e accendere un nuovo bond di entità inferiore per rifinanziare la parte mancante. Con il vantaggio che essendo un gruppo molto solido non dovrà pagare i tassi di interessi esorbitanti esorbitanti che invece caratterizzavano le obbligazioni dell’era Zhang. Questo ovviamente a patto che Oaktree non trovi prima di quella scadenza un partner che lo affianchi nell’azionariato o un compratore per il club nerazzurro che soddisfi le sue necessità.

Juventus: obiettivo sostenibilità e il peso della qualificazione in Champions

Passando alla Juventus, non si può nascondere che il club bianconero ha chiuso il bilancio 2023/24 con una perdita di quasi 200 milioni. Nel complesso si tratta di un rosso superiore rispetto all’esercizio 2022/23, quando la Juventus chiuse a -123 milioni. E in particolare per il club è il settimo bilancio consecutivo in negativo, visto che negli ultimi sette anni le perdite sono state nello specifico:

  • 199,2 milioni nel 2023/24;
  • 123 milioni nel 2022/23;
  • 239,3 milioni nel 2021/22;
  • 226,8 milioni nel 2020/21;
  • 89,7 milioni nel 2019/20;
  • 39,8 milioni nel 2018/19;
  • 19,2 milioni nel 2017/18.

In totale quindi un risultato negativo per 937 milioni dal 2017 in poicon una media di 134 milioni di perdite all’anno.

Ovviamente la società torinese ha pagato anche in termini economici l’assenza dalle coppe europee nella stagione scorsa e tra i incassi e premi l’impatto è stimato dal club in 90/95 milioni di mancati ricavi. In questo senso è lecito ipotizzare una grande crescita nei ricavi per la stagione in corso visto che il club partecipa non solo alla nuova Champions League (più ricca nei premi) ma disputerà anche il Mondiale per Club 2025 negli Stati Uniti.

Non solo, ma anche a Torino come a Milano la parola d’ordine è diventata sostenibilità nei conti. E quindi il bilancio 2024/25 beneficerà della notevole attenzione che quest’anno il club ha prestato ai conti nel mercato estivo. La campagna trasferimenti di Cristiano Giuntoli, seppur ingente, è stata all’insegna dell’abbassamento del tetto ingaggi e non a caso, malgrado i 180 milioni spesi in acquisti, l’impatto a bilancio è stato positivo per la cifra monstre di 73 milioni.

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Nonostante questi sforzi, è però difficile pensare, proprio per la struttura dei costi bianconeri e nonostante i tagli sul fronte monte ingaggi, che il bilancio di questa stagione si chiuda in utile, anzi dovrebbero chiudere ancora in rosso. E in questo senso non è illogico ipotizzare la necessità di un nuovo aumento di capitale durante la prossima stagione 2025/26.

Il patrimonio netto della Juventus al 30 giugno scorso era pari a 40 milioni e se la stagione in corso dovesse chiudersi con una perdita superiore appunto a tale cifra, questa voce andrà in negativo. E pertanto il club potrebbe trovarsi dinnanzi alla necessità di una nuova iniezione di capitale, seppur probabilmente non ingentissima. Sia chiaro per adesso è solo una ipotesi perché il management bianconero nella stagione in corso punta ad aumentare molto le entrate (anche perché la Juventus non ha ancora uno sponsor di maglia e un’eventuale intesa potrebbe migliorare la situazione) e dare una grande sforbiciata ai costi, ma il tema c’è. E in questo quadro la semestrale al 31 dicembre e la susseguente sessione invernale di mercato potrebbero dare delle indicazioni.

Nel caso però questa necessità di iniezione di capitale si verificasse, non avrebbe lo stesso sapore di quella da 200 milioni del 2023/24, proprio perché si inserirebbe in un percorso societario che ha già mostrato di avere cambiato tendenza e di aver virato verso la sostenibilità economica. In parole povere, sarebbe più un puntellare una situazione economica che sta volgendo al meglio che non una toppa in sé per sé.

Si dirà, ma perché la Juventus potrebbe essere obbligata a questa manovra e invece ne è esente l’Inter, che ha ancora un patrimonio netto negativo? In realtà l’Inter è esente solo per quanto riguarda le perdite dei bilanci 2020/21 e nel 2021/22, annate in cui il club nerazzurro ha deciso di sfruttare la norma dello Stato, emanata in periodo Covid, che permette di rinviare il ripianamento della perdita dei singoli esercizi entro il quinto esercizio (cioè sino al 2026 e al 2027). Entro tale data, quindi, quelle perdite dovranno essere ripianate, anche se le riserve di patrimonio netto dovrebbero già bastare per adempiere a tale compito.

Diverso è il discorso che riguarda invece le perdite delle altre stagioni, che per l’Inter tanto quanto per la Juventus vanno ripianate secondo i normali obblighi di legge: non è un caso infatti che Oaktree abbia versato nei mesi scorsi 44 milioni nelle casse della società nerazzurra per rinforzare, dopo la chiusura del bilancio al 30 giugno 2024, il patrimonio nerazzurro.

È evidente però che in casa Juventus una eventuale mancata qualificazione in Champions League complicherebbe di molto l’intero scenario. Non tanto per questa stagione, ma per quella successiva. I conti bianconeri si appesantirebbero in maniera significativa aprendo scenari al momento imprevedibili, ma non tendenti al bello, a livello economico.



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