Pensione anticipata 2025, uscita a 64 anni con l’aiuto di quella complementare: ecco la proposta della Lega in manovra

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Scopriamo insieme in quale modo potrebbe essere attuata la nuova soluzione dell’uscita anticipata

Con la finalità di rendere possibile l’accesso alla pensione anticipata a 64 anni, è stato approvato un emendamento alla manovra finanziaria per il 2025, con cui si consentirebbe – ai lavoratori che hanno iniziato a versare i contributi dal 1996 – di utilizzare la pensione complementare per raggiungere la soglia minima di pensione, pari a 3 volte l’assegno sociale.

Allo stato, peculiarità della pensione di vecchiaia – si rammenta – è un requisito contributivo non eccessivamente severo (20 anni), a fronte di un requisito anagrafico ben più stringente: la cosiddetta età pensionabile. Per il 2024 è stata fissata a 67 anni per tutte le categorie di lavoratori, vale a dire uomini e donne, dipendenti e autonomi.
Per quanto riguarda i contributi considerati, occorre precisare che, ai fini del raggiungimento dei 20 anni, vale la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’assicurato. Si considerano cioè egualmente “validi” contributi da lavoro, da riscatto, figurativi e versamenti volontari.

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La pensione anticipata contributiva è, invece, accessibile con 64 anni di età e 20 anni di versamenti ed è rivolta ai lavoratori cc.dd. “contributivi puri”, che hanno iniziato a lavorare e versare i contributi dopo il 31 dicembre 1995. Inoltre, l’accesso a tale trattamento pensionistico presuppone che l’importo della pensione sia almeno triplo rispetto all’assegno sociale (534,41 euro). Per le donne con figli sono previsti benefici: ogni figlio consente uno sconto di 4 mesi sull’età pensionabile, che può arrivare a 16 mesi per chi ha avuto almeno quattro figli. Inoltre, per le donne, il requisito dell’importo minimo della pensione può essere anche pari a 2,6 volte l’assegno sociale, se hanno avuto più di un figlio, o a 2,8 volte se ne hanno avuto uno solo.

Adesso la proposta della Lega mira a favorire la flessibilità in uscita, cumulando previdenza obbligatoria e previdenza complementare: per chi ha cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995, sarà possibile utilizzare l’eventuale rendita della pensione complementare per raggiungere la soglia di importo minimo del trattamento, pari a 3 volte l’assegno sociale, con “sconti” per le lavoratrici con figli. Tuttavia la quantità di contributi richiesti sarebbe aumentata: dal primo gennaio 2025 passa dagli attuali 20 anni ai 25, per poi lievitare ulteriormente a 30 anni di versamenti dal 2030.

È noto che sostenere la previdenza complementare si colloca fra gli obiettivi prioritari perseguiti dal Governo nell’ambito della prossima riforma previdenziale. Questo soprattutto perché la previdenza complementare potrebbe essere, forse, l’unico regime previdenziale in grado di sopperire al buco lasciato scoperto dalla previdenza obbligatoria.

La previdenza complementare – attualmente disciplinata dal D. Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 – rappresenta il secondo pilastro del sistema pensionistico, il cui scopo è proprio quello di concorrere ad assicurare al lavoratore, per il futuro, un livello adeguato di tutela pensionistica, insieme alle prestazioni garantite dal sistema pubblico di base. A tal fine la previdenza complementare è basata su un sistema di forme pensionistiche, incaricate di raccogliere il risparmio previdenziale mediante il quale – al termine della vita lavorativa – si potrà beneficiare di una pensione integrativa.

I destinatari dei fondi pensione sono:

  • i lavoratori dipendenti, privati e pubblici;
  • i soci lavoratori e i lavoratori dipendenti di società cooperative di produzione e lavoro;
  • i lavoratori autonomi e i liberi professionisti;
  • persone che svolgono lavori non retribuiti in relazione a responsabilità familiari;
  • lavoratori con un’altra tipologia di contratto (ad es. lavoratore occasionale).

Il finanziamento delle forme pensionistiche complementari è a carico del lavoratore destinatario della prestazione e – in caso di rapporto di lavoro dipendente – in parte anche a carico del datore di lavoro. Inoltre, i lavoratori dipendenti possono decidere di integrare i versamenti contributivi anche mediante il conferimento al Fondo del trattamento di fine rapporto (TFR).

Il TFR, disciplinato dall’art. 2120 del codice civile, costituisce un elemento della retribuzione, la cui erogazione è differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

L’iniziativa del Carroccio ha suscitato non poche critiche per la possibile distorsione del sistema, che tradizionalmente separa il sistema previdenziale pubblico da quello complementare, basato su una logica di capitalizzazione.
Un plauso alla modifica è arrivato, invece, dal sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, secondo il quale l’emendamento “premia la flessibilità in uscita”: per la prima volta si interviene in tema pensionistico “affrontando concretamente il problema delle pensioni povere, destinate ad aumentare a fronte di un sistema contributivo che sarà più prevalente”.

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