cosa cambia. Rischio stangata (anche retroattiva) sull’Irpef

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Roma, 21 dicembre 2024 – Diventano fiscalmente più costose le auto in fringe benefit ai dipendenti, e diminuisce quindi la loro appetibilità, con le auto elettriche decisamente più avvantaggiate rispetto alle altre alimentazioni. La Camera ha votato la fiducia sulla manovra finanziaria 2025 e tra le novità rilevanti vi è il nuovo regime in vigore dal 1° gennaio 2025 per la gestione delle auto aziendali in fringe benefit concesse ad uso promiscuo.

La modifica fiscale contenuta nel provvedimento introduce novità anche retroattive, che colpiranno anche gli ordini effettuati nel 2024, trasformando quello che era un benefit in un potenziale boomerang economico sia per i dipendenti sia per il Fisco stesso. Il tutto nell’ambito della volontà del legislatore di raggiungere obbiettivi di transizione ecologica ed energetica, anche al fine di porre in essere adattamenti legati al cambiamento climatico. E le aziende, spesso abituate a offrire veicoli aziendali come incentivo o strumento di lavoro, potrebbero dover rivedere le proprie strategie.

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Manovra 2025, le nuove regole per le auto aziendali

Le novità per le auto aziendali

Con l’approvazione della manovra, dal 2025, la tassazione non guarderà più alle emissioni di CO2, ma alla tipologia di alimentazione. Una svolta che premia i veicoli elettrici con una tassazione al 10% e penalizza le auto a benzina e diesel, che dovranno affrontare un 50% di imposta. Le Plug-in Hybrid si piazzano nel mezzo con un 20%.

Come è il sistema oggi

Attualmente, chi riceve un’auto aziendale per uso promiscuo, da usare sia per viaggi di lavoro che nella propria vita privata, deve pagare più tasse perché questo beneficio è considerato un ‘fringe benefit’, come se si trattasse di una somma in più in busta paga. Perciò, il suo reddito aumenta di una certa percentuale del “costo chilometrico”. La percentuale è tanto più alta quanto sono più alte le emissioni di CO2 del mezzo:

– per auto con emissioni fino a 60 grammi di CO2 per chilometro: il 25% del costo chilometrico;

– per auto con emissioni tra 61 e 160 grammi di CO2 per chilometro: il 30% del costo chilometrico;

– per auto con emissioni tra 161 e 190 grammi di CO2 per chilometro: il 50% del costo chilometrico;

– per auto con emissioni oltre i 190 grammi di CO2 per chilometro: il 60% del costo chilometrico.

Il costo chilometrico è una somma fissa al chilometro, stabilita dall’Automobile club d’Italia per ciascun modello di veicolo. Convenzionalmente, si considera che ogni auto aziendale percorra 15mila chilometri all’anno. Dunque a determinare di quanto aumentavano le tasse fino a oggi erano sia il modello, sia la quantità le emissioni inquinanti.

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Se si pensa a un’auto che ha un costo chilometrico di 50 centesimi al chilometro, moltiplicati per i convenzionali 15mila chilometri all’anno, questo porta a una somma complessiva di 7.500 euro. Con il metodo in vigore fino a oggi, se l’auto è nella fascia di inquinamento più comune, quella tra 61 e 160 grammi di CO2 per chilometro, si prende solo il 30% della somma complessiva: 2.250 euro. Quindi a fine anno, nella dichiarazione dei redditi, è come se quel dipendente avesse incassato 2.250 euro lordi in più. Cosa che, naturalmente, fa aumentare l’Irpef da versare.

Le nuove regole

Con le nuove regole, lo stesso dipendente si troverà con un reddito da dichiarare ben più alto. Infatti, per le auto diesel, benzina o gpl, non dovrà aggiungere il 30%, ma il 50% di 7.500 euro: in totale 3.750 euro. Di fatto, sarà come aver guadagnato 125 euro lordi in più al mese. Dall’anno prossimo, infatti, per calcolare il reddito aggiuntivo scatteranno percentuali più alte o più basse a seconda del tipo di alimentazione del veicolo. In particolare: – per auto elettriche si pagherà il 10% del costo chilometrico – per auto ibride plug-in si pagherà il 20% del costo chilometrico – per auto con altri tipi di alimentazione si pagherà il 50% del costo chilometrico È vero che la percentuale massima si abbassa, dal 60% al 50%. Ma la maggior parte delle auto oggi utilizzate per uso promiscuo dei dipendenti rientrano nella fascia di inquinamento tra i 61 e i 160 grammi di CO2 al chilometro. Per i dipendenti che hanno queste auto, la tassa salirà dal 30% al 50% della somma complessiva frutto del costo chilometrico per 15mila km.

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Fleet of vehicles parked in a car dealership – automoile industry concepts

Rischio boomerang

Secondo Aniasa – associazione di Confindustria per il settore autonoleggio e mobilità – il risultato potrebbe essere quello di ridurre gli acquisti di auto aziendali in generale: un calo del 30% per le auto a noleggio di lungo termine, e del 20% per quelle acquistate. Infatti, stando alle stime dell’associazione, si rischierebbe un aumento medio del reddito imponibile di 1.600 euro lordi all’anno per i dipendenti, considerando quali sono i modelli oggi più noleggiati. Questo, secondo Aniasa, comporterà minori entrate per Stato ed Enti Locali per circa 125 milioni di euro.

I dipendenti sono i veri protagonisti di questo cambiamento, rischiano di vedere il benefit trasformarsi in una zavorra. Con costi che crescono, molti potrebbero essere spinti a ripensare l’uso dell’auto aziendale, optando per soluzioni più economiche o rinunciando del tutto al servizio. Le aziende, dal canto loro, potrebbero preferire alternative come l’indennità chilometrica o altre forme di compensazione, limitando ulteriormente il ricorso a vetture aziendali. Questo cambiamento, se confermato, modificherebbe radicalmente il modo in cui le imprese supportano la mobilità dei propri dipendenti. Ora il decreto Milleproroghe potrebbe rappresentare un’occasione per rivedere le norme e contenere i danni.  

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