La stanza accanto

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«Poi scoppiò a piangere in modo talmente convulso da non riuscire più a parlare.
E tuttavia udii lo stesso le sue parole: avrebbe voluto essere forte.
Avrebbe voluto mantenere il controllo della situazione.
Avrebbe voluto morire alle proprie condizioni e dando meno fastidio possibile al mondo.
Avrebbe voluto un po’ di pace. Avrebbe voluto un po’ di ordine.
Pace e ordine intorno a sé, solo questo: non chiedeva altro.
Una morte tranquilla, pulita, aggraziata e persino – perché no? – bella.
Il piano era quello. Fare una bella morte in una bella casa, in una cittadina pittoresca, in una splendida notte d’estate.
Quella era la morte che la mia amica aveva scritto per sé».

da Attraverso la vita di Sigrid Nunez, Garzanti, 2022 

 

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E’ difficile trovare un’opera così intensa, intima e visivamente accattivante come l’ultimo film di Pedro Almodovar, vincitore del Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia 2024.

Il film prende spunto dal romanzo di Sigrid Nunez, Attraverso la vita, ma il regista lo rielabora esplorando il confine con la morte attraverso uno stile inconfondibile che pone lo spettatore di fronte all’intimità della tristezza senza precipitare nel buio della tragedia.

La trama ruota attorno a due donne, Ingrid e Martha, legate da un’amicizia che il tempo ha soltanto allentato, anche per la distanza dei luoghi in cui avevano vissuto dopo la loro prima giovinezza.

Il reincontro è casuale: un’amica comune, in occasione della presentazione dell’ultimo libro di Ingrid (che racconta la sua incapacità di capire e accettare la morte), le comunica che Martha è malata da tempo ed Ingrid decide di andarla a trovare, con ciò riallacciando un rapporto che si era interrotto per anni.

Martha è stata una corrispondente di guerra e ora è affetta da un tumore curabile con una terapia sperimentale: ma poco dopo il loro reincontro, emerge che gli effetti dei farmaci non sono quelli sperati e Martha si prepara all’idea di morire, volendo scegliere come e dove farlo e chiedendo ad Ingrid di non lasciarla da sola, anche perché il rapporto con la sua unica figlia è, da tempo, inesistente.

Le propone, dunque, di accompagnarla nell’ultimo tratto del suo percorso, prendendo una casa in affitto in mezzo alla natura dove Ingrid avrebbe dovuto alloggiare nella stanza accanto alla sua, in attesa del momento finale.

Questa premessa potrebbe far pensare ad una narrazione cupa, ma il film, tutt’altro che deprimente, è una celebrazione della forza delle relazioni umane, della possibilità di trovare conforto nei legami e, soprattutto, suggerisce di dare senso al tempo che ci rimane: tutta la trama è tenuta insieme dal messaggio narrativo secondo cui affrontare la morte è un’occasione per ripercorrere la strada della propria vita. 

L’opera coniuga, anche attraverso messaggi visivi avvolgenti che mantengono solo sullo sfondo la malattia, i temi dell’amicizia femminile, della riflessione sulla maternità e sull’amore , della occasione che la morte può offrire per ricercare la profondità dei rapporti: infine, dell’importanza della natura come luogo meraviglioso nel quale concludere con dignità la propria esistenza, riaffermando il diritto di scegliere come e dove farlo.

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Il linguaggio filmico è caratterizzato dal pudore, dall’ ironia e dalla leggerezza che trasformano i momenti drammatici in scambi affettivi profondi in cui la disperazione di Martha è bilanciata dalla speranza di Ingrid. 

Ingrid, attraverso il rapporto con Martha ricostruisce il suo passato, riprendendo contatto anche con un suo ex compagno ed amico comune (interpretato da John Turturro): il regista lascia che sia Ingrid a dare voce ad una speranza davanti al pessimismo maschile, espresso attraverso la descrizione di “un mondo orrendo e disumano in cui non si vede parvenza di miglioramento”. La donna ricorda a tutti di non essere troppo duri verso se stessi e di non indietreggiare nemmeno rispetto alle paure più grandi, quando ciò è necessario per non lasciare sola un’amica.

Gli raccontai che la mia amica si era dimenticata le pastiglie a casa ed eravamo dovute tornare indietro in macchina. 
«Non dovrei ridere», disse lui. 
«Non le dispiacerebbe affatto», ribadii io. 
«Ci sono stati un bel po’ di momenti comici», spiegai. «La dimenticanza delle pastiglie e un altro episodio qualche giorno fa. Come dicevo prima, non ha intenzione di dirmi quando prenderà il farmaco, questo è il piano. 
Un giorno ti sveglierai e sarà tutto fatto, mi ha detto. 
Lo saprai solo perché la porta della mia stanza sarà chiusa. 
Lei dorme sempre con la porta socchiusa, è un’abitudine che ha preso quando aveva i gatti e ora chiudersi in una stanza le fa un effetto claustrofobico. Insomma, quel mattino mi sono alzata prima del solito – era ancora buio – e ho visto la porta chiusa. 
E cosa ho fatto? Sono andata nel panico. Per poco non svenivo. Sono andata in cucina e ho vomitato nel lavandino. Poi mi sono riempita un bicchiere d’acqua, ma non sono riuscita neppure a bere, tanto mi tremava la bocca. Mi sono seduta al tavolo e sono scoppiata a piangere. Continuavo a cercare di ricompormi, ma non c’era verso. Alla fine, sono riuscita perlomeno a mandare giù l’acqua. Non so bene quanto tempo sia passato, non credo molto, ma a quel punto stava albeggiando. 
All’improvviso, sento un rumore e subito dopo me la vedo entrare tranquillamente in cucina. A quanto pareva, aveva lasciato la finestra aperta – cosa che succede di rado, perché ha sempre freddo, specialmente di notte, anche quando fuori fa un caldo boia – e a un certo punto quella stracazzo di porta doveva essersi chiusa per un colpo di vento.» «Lo so che non dovrei ridere», ripeté lui, «ma sembra una specie di sitcom. Lucy ed Ethel fanno l’eutanasia». 
«Fidati, abbiamo riso anche noi», dissi. «A dire il vero, nessuno crederebbe alla quantità di risate che ci siamo fatte lì dentro. Stavolta però abbiamo riso dopo. Lì per lì, non ci ho trovato proprio niente da ridere; anzi, fremevo letteralmente di rabbia. 
Avrei voluto spaccare tutto quello che c’era in casa, ma mi sono accontentata di lasciare il bicchiere contro il muro
«E lei come ha reagito?» «È rimasta impassibile. Ha detto solo: “Ti sembra giusto arrabbiarti con me solo perché sono ancora viva?”. Al che immaginerai come mi sia sentita. Ma, come dicevo, dopo siamo scoppiate a ridere. È pazzesco come abbia mantenuto il suo senso dell’umorismo. È persino riuscita a vedere il risvolto positivo della cosa. “Immagina che sia una prova generale”, mi ha detto. “Adesso sai come ti sentirai, così sarai preparata”».

da Attraverso la vita di Sigrid Nunez 

 

La Stanza Accanto è un film imbevuto di cultura letteraria, pittorica (le stanze sono arredate con dipinti di Edward Hopper), musicale e di cura del contesto architettonico (nel soggiorno ci sono splendidi vasi e mazzi di fiori colorati), ma resta aderente ai volti umani , ai vissuti delle sue due protagoniste ed ai loro momenti di respiro .

Le protagoniste, Julianne Moore e Tilda Swinton, attraverso una interpretazione straordinaria, trasformano un tema delicato come l’eutanasia in una narrazione bella ed umana.

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Uno degli aspetti più affascinanti dell’opera è il modo in cui Almodóvar intreccia l’esperienza individuale delle protagoniste con riflessioni universali. Ad esempio, Martha non solo accetta la sua fine, ma si interroga su cosa significhi “vivere bene” fino all’ultimo respiro. Ingrid, invece, incarna la paura e il rifiuto della mortalità, rappresentando un sentimento comune a molti di noi.

Ciò che rende il film davvero speciale è il suo equilibrio tra intimità e spettacolarità. La casa immersa nei boschi di Woodstock, dove si svolge gran parte della storia, non è solo un luogo, ma diventa un altro personaggio silenzioso. Sebbene il tema centrale sia la fine della vita, La stanza accanto parla di speranza ed Almodóvar ci ricorda che, anche di fronte all’ineluttabile, possiamo trovare bellezza nei piccoli momenti: una conversazione con un amico, una risata inattesa, un ricordo che riaffiora. 

La morte, nel film, non è solo una fine, ma un’opportunità per riflettere sulla vita che abbiamo vissuto e su quella che vogliamo vivere.

Un esempio potente è la scena in cui Martha racconta come la guerra l’abbia trasformata, spingendola a vivere intensamente ogni istante. Questa confessione è un invito a non rimandare, a non lasciare che la paura ci impedisca di essere pienamente presenti.

Il film è una finestra aperta sui temi più difficili della nostra esistenza, affrontati con delicatezza, ironia e una profonda umanità. È un’opera che ci invita a guardare dentro di noi, a riconoscere le nostre paure e a trovare il coraggio di affrontarle.

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