In tema di riposi settimanali, il decreto legislativo n. 66 del 2003, all’art. 9, stabilisce che il lavoratore ha diritto – ogni 7 giorni – a un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da sommare con le ore di riposo giornaliero. Allo stesso tempo, l’art. 9 ci indica che il riposo settimanale può essere fissato in un giorno differente dalla domenica qualora, per esigenze tecniche, motivi di pubblica utilità o interessi della collettività, sia necessario svolgere la prestazione di domenica.
Con una sentenza di pochi giorni fa – la n. 31712 – la Cassazione ha ricordato che al dipendente tenuto a lavorare nel giorno dedicato per antonomasia al riposo, spetta un’adeguata compensazione, che non può esaurirsi nello spostamento del giorno di festa ad altro giorno della settimana. E potrà essere il giudice a riconoscergli la maggiorazione in busta paga.
Vediamo insieme la vicenda e la decisione della Suprema Corte, perché pur riferita ad uno specifico caso pratico, ha indubbi riflessi per tutti i dipendenti che, a causa di necessità aziendali, sono tenuti a lavorare di domenica.
Il caso concreto e le decisioni di primo e secondo grado
Un operaio addetto alle pulizie nella Metropolitana di Milano aveva chiesto il versamento delle differenze retributive legate sia al superiore inquadramento sia al lavoro festivo, notturno e domenicale. In sostanza, l’uomo riteneva di aver ricevuto una busta paga più “leggera” del dovuto, motivando le sue richieste con argomenti poi accolti sia dal tribunale di primo grado, che dalla corte d’appello di Milano.
Gli fu così riconosciuta la spettanza delle somme ulteriori, un’integrazione o maggiorazione della retribuzione oraria di cui al contratto, perché i giudici:
- accertarono il diritto del dipendente all’inserimento nel terzo e quarto livello Ccnl Multiservizi, per distinti periodi, con conseguente condanna del datore di lavoro al versamento delle differenze retributive per il superiore inquadramento;
- imposero allo stesso datore il pagamento di somme a titolo di maggiorazione retributiva per lavoro domenicale (oltre che notturno), ritenuto più gravoso.
In sostanza la magistratura accolse le richieste economiche dell’operaio, sul presupposto che il Ccnl applicato, disponendo il mero riposo compensativo per i lavoratori impiegati la domenica, non indennizzasse adeguatamente chi – nel giorno festivo per antonomasia – si ritrova a non poter coltivare i propri affetti, amicizie e hobby.
La sentenza della Corte e la consolidata giurisprudenza in materia
Alla sentenza d’appello, favorevole al lavoratore, seguì il procedimento in Cassazione, perché il datore di lavoro contestò la:
violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 1226 c.c., quanto al riconoscimento di indennizzo (equitativo, nella misura del 20% della retribuzione oraria) per le prestazioni lavorative svolte nella giornata della domenica, senza richiedere la prova della maggiore gravosità del lavoro domenicale.
Di tutt’altro avviso i giudici di piazza Cavour, secondo i quali lavorare di domenica comporta – sempre e al di là della prova – una maggiore “gravosità” che deve essere adeguatamente ricompensata con una retribuzione ulteriore, e questo anche se il contratto collettivo espressamente non lo dice.
Non solo. Facendo proprio il ragionamento dei giudici d’appello, la Cassazione sottolinea che la sentenza di secondo grado – impugnata dalla società ricorrente – rispecchia il suo consolidato indirizzo giurisprudenziale, in tema di lavoro domenicale (Cass. n. 21626/2013, n. 24682/2013, n. 12318/2011, n. 2610/2008).
Nella recente sentenza che ha deciso il caso in oggetto si ricorda infatti che:
il lavoro prestato nella giornata di domenica, anche nell’ipotesi di differimento del riposo settimanale in un giorno diverso, deve essere in ogni caso compensato con un quid pluris che, ove non previsto dalla contrattazione collettiva, può essere determinato dal giudice e può consistere anche in benefici non necessariamente economici, salva restando l’applicabilità della disciplina contrattuale collettiva più favorevole.
In parole più semplici, non importa il fatto che il contratto collettivo dica o non dica nulla a riguardo: il dipendente tenuto a lavorare di domenica, dovrà ricevere un adeguata integrazione in busta paga che compensi il sacrificio dei propri interessi e del tempo libero domenicale. E questo varrà anche nell’ipotesi del differimento del riposo settimanale in un giorno infrasettimanale.
Il ruolo del giudice e la valutazione equitativa della maggiorazione in busta paga
Sarà il magistrato a stabilire una compensazione anche non economica (accordando ad es. giorni di riposo in più) e potrà farlo in base alla legge, e cioè agli articoli 1226 e 2697 del Codice Civile. Non occorre dare la prova specifica della maggiore gravosità del lavoro domenicale e – anzi – la sentenza d’appello ha richiamato opportunamente la giurisprudenza della Cassazione e:
ritenuto provato il danno sulla base della presunzione della maggiore penosità del lavoro domenicale, per massima d’esperienza sociale.
Ecco perché la Suprema Corte ha ribadito che l’operaio addetto alle pulizie aveva effettivamente diritto a una maggiorazione del 20% della retribuzione oraria per il lavoro domenicale, fissata dal giudice in modo equitativo. Inoltre, questo giudice ha respinto il ricorso del datore di lavoro anche in riferimento all’inquadramento professionale, spiegando che la precedente decisione si era fondata su un procedimento logico-giuridico corretto.
Che cosa cambia
Con la sentenza n. 31712 del 10 dicembre scorso, la Corte di Cassazione afferma che il lavoro domenicale – anche nell’ipotesi in cui il Ccnl preveda esclusivamente il differimento del riposo settimanale in un giorno differente – deve essere compensato, in ogni caso, per la sua particolare e intrinseca gravosità. Il lavoro domenicale è più pesante per sua natura e non serve dare la prova di un maggior dispendio di energie del lavoratore, costretto a rinunciare a coltivare affetti e interessi personali.
Riprendendo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la Cassazione ha nuovamente chiarito che il lavoro domenicale è di per sé degno di essere compensato con una maggiorazione in busta paga (lo abbiamo visto recentemente con riferimento agli straordinari) – anche in assenza di specifiche previsioni contrattuali. Non basta cioè rinviare il riposo ad altro giorno della settimana.
Per la Corte è necessario un indennizzo ad hoc, anche sotto forma di benefici non economici (come ad es. ulteriori giorni di riposo oltre a quello infrasettimanale) e potrà essere il tribunale a definire l’importo di questa compensazione, in base al principio equitativo. Chiaramente una sentenza di questo tipo ha una portata che va oltre il singolo caso concreto, perché afferma un principio valido per la generalità dei lavori svolti di domenica e che tutela il loro salario.
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