Il 2024 in 12 immagini: le analisi di ISPI

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Il 2024 ha visto la geopolitica muoversi lungo due direttrici principali: l’espansione dei conflitti e la crisi della democrazia. La guerra in Ucraina è entrata nel terzo anno, e in Medio Oriente i fronti di guerra si sono allargati drammaticamente: la guerra da Gaza si è espansa al Libano, e dall’Iran allo Yemen la regione ha sfiorato più di una volta una pericolosa escalation. Sul versante politico, mai come quest’anno così tanti paesi sono andati al voto, ma allo stesso tempo la democrazia ha mostrato segni di crisi e vulnerabilità. Se negli Stati Uniti il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha segnato una rivincita delle destre reazionarie, in Europa governi apparentemente solidi come quelli di Francia e Germania sono caduti. Queste dinamiche hanno contribuito a ridisegnare le relazioni internazionali del 2024, gettando un’ombra anche sul 2025. Attraverso 12 immagini commentate, abbiamo provato a ripercorrere i momenti chiave della politica internazionale in quest’anno cruciale con le analisi dell’ISPI.

Del 2024 abbiamo parlato anche nel nuovo episodio di Globally, il podcast ISPI sulla geopolitica

“Israele eviti un genocidio”

A fine gennaio, la Corte internazionale di giustizia invita Israele a prevenire un genocidio a Gaza, dove a oggi le operazioni hanno ucciso più di 45mila palestinesi (anche se il bilancio potrebbe essere almeno il quadruplo), oltre il 70% dei quali donne e bambini. Sono anche altri i crimini che Israele potrebbe però aver commesso, dal momento che i bombardamenti hanno colpito quasi tutte le scuole, gli ospedali, le università e le infrastrutture civili della Striscia, sono stati uccisi 141 giornalisti ed è stato impedito l’ingresso regolare di aiuti umanitari nel nord. A novembre la Corte penale internazionale emetterà mandati d’arresto per crimini di guerra e contro l’umanità contro il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant.

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Ucraina: quo vadis?

A febbraio, quando scocca il secondo anniversario dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, il presidente francese Emmanuel Macron “non esclude” l’invio di truppe dal resto d’Europa a sostegno di Kiev. Come per l’invio di armi, anche questa ipotesi spacca la politica europea e – per ora – rimane solo sulla carta. Il 2024 è l’anno in cui la guerra in Ucraina – che a novembre segnerà la soglia psicologica dei 1000 giorni – sembra stagnare, almeno fino all’estate, quando le truppe ucraine iniziano una serie di incursioni nella regione russa di Kursk. Il conflitto si estende geograficamente, e la Russia minaccia l’uso di armi più potenti, soprattutto se Kiev userà armi occidentali sul suo territorio.

In Senegal vince la democrazia

In appena dieci giorni, Bassirou Diomaye Faye passa dal carcere al palazzo presidenziale. Già segretario generale del Pastef – partito d’opposizione di ispirazione panafricanista – Faye a marzo ha stravinto le elezioni presidenziali del Senegal, dopo che il presidente uscente le aveva posticipate. L’alternanza e le forti proteste popolari a sostegno delle elezioni in Senegal hanno dato il calcio d’inizio a un anno elettorale da record per l’Africa. Il 2024 ha visto 13 paesi africani al voto: se in alcuni di questi le elezioni non sono state del tutto trasparenti, in cinque casi – Botswana, Ghana, Liberia, Mauritius e Senegal, appunto – c’è stata una alternanza di governo pacifica e democratica. Un record di pluralismo per il continente in cui negli ultimi quattro anni si erano registrati ben nove colpi di stato. 

Escalation Israele-Iran

Nella cornice della guerra in Asia Occidentale, l’attacco con missili e droni partito dall’Iran e diretto in Israele, che intercetta la minaccia, rappresenta uno dei picchi dell’escalation successiva all’inizio della guerra a Gaza. L’attacco era una risposta al bombardamento israeliano dell’ambasciata della Repubblica islamica in Siria. Nel corso del 2024, l’attacco dei droni rappresenta il momento di confronto più ravvicinato tra i due nemici regionali, che per mesi si fronteggiano prevalentemente indirettamente attraverso le milizie libanesi di Hezbollah, gli Houthi nel Mar Rosso e vari gruppi in Siria e Iraq. A luglio, Israele ucciderà il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, mentre si trova a Teheran, dove viene raggiunto da un missile nella sua abitazione nella capitale iraniana.

Georgia al bivio

A maggio, il parlamento della Georgia approva una legge – detta poi “Legge russa” – che ha l’obiettivo di contrastare le influenze straniere, emulando un provvedimento adottato qualche anno prima dal Cremlino. Ne nascono accese proteste di piazza, represse con la forza dalla polizia, da parte di cittadini europeisti che manifestano contro un governo accusato di allontanare il paese dall’Unione Europea e di portarlo sui binari dall’autoritarismo fedele a Mosca. Lo scontro diventa anche istituzionale, con la presidente georgiana Salome Zourabichvili che si oppone alle azioni del governo, che ad ottobre riceverà un nuovo mandato elettorale in seguito ad elezioni legislative macchiate – secondo Zourabichvili – da interferenze straniere.

La destra en marche 

“Usa il tuo voto” è lo slogan con cui Bruxelles spinge quanti più elettori a recarsi ai seggi per rinnovare il Parlamento europeo. Tuttavia, alle elezioni di inizio giugno, l’affluenza supera di poco il 50%. Se a livello comunitario regge la cosiddetta “maggioranza Ursula”, quella che sosterrà un nuovo mandato von der Leyen, nei singoli paesi crescono i partiti di estrema destra fino ad innescare la crisi politica nella Francia di Emmanuel Macron, che scioglie le camere e indice elezioni. Vincerà la coalizione di sinistra, seguita dagli estremisti di Le Pen. Il governo che nasce a Parigi, però, rimane ancorato al centrismo, con il fedelissimo di Macron Michel Barnier a guidare un esecutivo che avrà vita breve. A dicembre, per la prima volta in 62 anni, il parlamento francese sfiducia il governo.

I grandi personaggi europei in ISPI:

“Fight!”

A un comizio elettorale in Pennsylvania, il candidato presidenziale Donald Trump viene ferito a un orecchio, scampando miracolosamente ad un attentato con un fucile di precisione. È un momento cruciale della corsa alla Casa Bianca. L’attentato regala al tycoon ulteriore popolarità, al grido di “Fight!”, con un pugno alzato mentre viene portato via con l’orecchio sanguinante dalla security. A distanza di una settimana, il presidente USA e candidato dem Joe Biden decide di ritirarsi in favore della sua vice Kamala Harris. Una decisione forse arrivata troppo tardi.

La rivolta degli studenti in Bangaldesh

Il 5 agosto, la premier del Bangladesh Sheikh Hasina, mentre è asserragliata nella sua residenza, si dimette dall’incarico e scappa in elicottero in India. È l’apice della crisi politica nel paese asiatico: per oltre due mesi, infatti, violente proteste sconvolgono la capitale Dacca per via della decisione della corte suprema del Bangladesh di reintrodurre il sistema di quote di lavori governativi che assegna il 30% delle posizioni ai discendenti dei “freedom fighters” della guerra che nel 1971 ha portato all’indipendenza dal Pakistan. La protesta si estende e chiede la fine dei privilegi di una categoria di cittadini sugli altri, e si oppone al governo sempre più autoritario di Hasina, che a gennaio aveva ottenuto un quarto mandato in una tornata elettorale boicottata dalle opposizioni. 

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L’autunno israelo-libanese

A fine settembre, il leader della milizia sciita libanese Hezbollah, Hassan Nasrallah, viene ucciso da un raid israeliano in quello che sembra l’apice delle tensioni tra i due paesi che dall’inizio della guerra a Gaza si scambiano razzi, colpi d’artiglieria e missili da una parte all’altra del confine. Il raid contro l’alleato numero uno dell’Iran arriva ad appena una settimana di distanza dall’attentato ai cercapersone di centinaia di miliziani di Hezbollah. In realtà, si tratta solo del prologo dell’invasione militare che Israele inizierà il primo ottobre, quando anche la capitale Beirut tornerà ad essere colpita violentemente. Solo a fine novembre – mentre si tengono i Rome MED Dialogues – si raggiungerà un cessate-il-fuoco tra le due parti.

Trump is back

Un trionfo a tutto campo: vittoria negli swing states, maggioranza del voto popolare, consenso trasversale a tutti i gruppi etnici degli USA. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca è stato tanto dirompente quanto prevedibile. Il vero esito, infatti, è stata la debacle dei dem. Con meno di quattro mesi di campagna elettorale, Harris paga il pegno per un Joe Biden apparso in grande difficoltà durante la campagna elettorale, ma comunque determinato, quasi fino all’ultimo, a ricandidarsi per la presidenza. I meriti del GOP, invece, stanno nell’ostinata fedeltà al tycoon newyorkese e nella sfrontatezza dei personaggi di cui si circonda: a partire dal suo vice, J.D. Vance, un wannabe Trump e suo possibile delfino; ma soprattutto Elon Musk, CEO di X, che si è speso (e ha speso) molto, affinché il suo beniamino politico ottenesse il posto di uomo più potente del pianeta.

FLOP29

La COP29 in Azerbaijan arriva a pochi giorni dall’elezione negli USA di un leader conosciuto per il suo negazionismo sul cambiamento climatico. La relativa conferenza annuale delle Nazioni Unite per il contrasto al cambiamento climatico sembra risentirne. A Baku, le delegazioni si concentrano soprattutto sul garantire fondi ai paesi più colpiti dal surriscaldamento globale: l’accordo attesta la cifra di 1300 miliardi di dollari, ma solo 300 di questi arriveranno come prestiti e contributi a basso interesse; il resto deve ancora essere definito. L’accordo lascia insoddisfatti soprattutto i paesi più colpiti dalle calamità naturali provocate dal cambiamento climatico risultante dall’azione umana, specie quelli poveri del sud globale. La conferenza suggella quindi con l’ennesimo flop internazionale quello che verrà registrato come l’anno più caldo di sempre, una sfida per il mondo di cui si è discusso anche nella cornice di NEXT.

Il crollo di Assad

Mentre il mondo guarda altrove e l’Asia Occidentale osserva l’equilibrio precario del cessate-il-fuoco appena annunciato tra Israele e Libano, i ribelli siriani ne approfittano e a inizio dicembre rivitalizzano la lotta contro il presidente della Siria, Bashar al Assad. Dopo meno di due settimane di scontri, il regime di Assad crolla come un castello di carte e il leader scappa in Russia. È l’epilogo – momentaneo – di una guerra iniziata 13 anni fa, quando la cosiddetta primavera araba in Siria venne repressa nel sangue, scatenando un conflitto che porterà a 600mila morti, 11 milioni di profughi e sfollati e contrapporrà una miriade di milizie sul campo coinvolgendo tutte le potenze regionali e non solo.



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