Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo il libro “L’illegalità protetta”, edito per la prima volta nel 1990 e ristampato nuovamente da Glifo Edizioni, dedicato a Rocco Chinnici e ai giudici del pool antimafia
Nel corso del 1971 e del 1972 abbiamo avuto poco più di una decina di tossicodipendenti da eroina; a quei tempi venivano messi in commercio e consumati principalmente allucinogeni, come l’LSD, nonché l’hascisc e la marijuana.
Oggi, mentre le statistiche parlano dell’esistenza di circa 350 tossicodipendenti da eroina, in realtà dallo stesso mondo della droga si viene a sapere che gli eroinomani sarebbero più di 3.000. Se teniamo presente che un tossicodipendente consuma, in media, due o tre dosi e che una dose costa circa 15.000 lire, possiamo ipotizzare che ciascuno di essi spende qualcosa come 50.000 lire al giorno.
Moltiplicando questo importo per il numero dei consumatori, avremo calcolato il tributo giornaliero che solo la gioventù palermitana paga all’associazione criminale che offre loro solo morte, perché eroina significa morte, a quest’associazione criminale che prima rubava, rapinava, taglieggiava, e che ora trova più comodo impiantare una raffineria che costa poco ma che fornisce utili rilevantissimi.
Anche se questi utili sono realizzati sulla vita e sulla pelle dei ragazzi. Un conto molto sommario fornisce un’idea dei guadagni astronomici che quotidianamente si realizzano con la distribuzione della droga; e più grandi sono le città, più diffuso è il consumo di stupefacenti, maggiore è il tributo che i giovani pagano alle bande internazionali di criminali.
Perché di criminali internazionali della peggiore specie si tratta Se ai guadagni illeciti forniti dallo spaccio dell’eroina, aggiungiamo il costo delle strutture sanitarie da impiantare per l’assistenza ai tossicodipendenti, ci rendiamo conto quale peso enorme, anche dal punto di vista economico, costituisca per la società il flagello della droga. Non resta che chiedersi se esistano rimedi. Sui rimedi di ordine legislativo – che verranno quando verranno, saranno efficaci o forse no – io manifesto qualche nota di scetticismo, perché conosco i ritardi che caratterizzano l’attività del nostro legislatore e dei nostri amministratori; ritengo, per questo, sia difficile che nel volgere di poco tempo si possano avere delle strutture di assistenza efficienti e tali da poter contribuire a circoscrivere il fenomeno. La legge del 1975 prevedeva l’apertura dei centri medici di assistenza, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore. Gli esperti sanno cosa è avvenuto in questo campo: questi centri sono entrati in funzione solo dopo sei anni! E, malgrado siano stati ufficialmente aperti, questi centri sono gravati da grossi problemi di funzionamento, tanto in Sicilia che in altre regioni d’Italia.
Prevedo tempi lunghi per una qualche soluzione legislativa del problema. E, intanto, il numero dei tossicodipendenti aumenta, e aumenta di anno in anno il numero dei morti per overdose da eroina (nel 1980 sono morti 277 giovani). Leggiamo sui giornali che il Ministro della Sanità ritiene che oltre alla cura a base di metadone, nei casi necessari, potrebbe essere portato avanti un trattamento a base di dosi progressivamente meno elevate di eroina, somministrate presso gli ospedali.
Intanto, da parte del personale competente, si obietta che la somministrazione controllata di eroina poco risolverebbe, come poco risolve il metadone. Se il metadone, che pure si presenta di più facile somministrazione, non crea stati di allucinazione, non è euforizzante, altrettanto non possiamo dire per una cura a base di eroina, la quale, normalmente, va somministrata per via endovenosa, in più dosi a seconda delle varie esigenze del soggetto, all’interno di una struttura sanitaria adeguata che attualmente non abbiamo e che, probabilmente, non avremo mai.
Le difficoltà logistiche, insomma, sono tali che, pure facendo affidamento sulla possibilità di ottenere risultati a lungo andare accettabili, quella della somministrazione controllata di eroina risulta essere un’ipotesi poco attuabile.
L’attuale legislazione, sotto un altro profilo, non offre strumenti adeguati a rendere obbligatoria la terapia ospedaliera per il tossicodipendente. In base alla legge 685, il tossicodipendente può ricorrere in appello avverso il provvedimento del tribunale che gli impone di disintossicarsi; può addirittura ricorrere per Cassazione.
Esiste, quindi, un problema di farraginosità del procedimento che la legge ha previsto per disporre il trattamento sanitario del tossicodipendente che, poi, si risolve in un danno per lo stesso soggetto. Per imporre un trattamento di disintossicazione, si dovrebbe far ricorso all’art. 650 del Codice Penale, che – in presenza di un eventuale rifiuto – lo condannerebbe al pagamento di una ammenda di poche migliaia di lire per il mancato ottemperamento di un ordine legalmente dato. Dobbiamo considerare che, in fin dei conti, la nostra legislazione è una delle più «avanzate» in questa materia: non c’è legislazione europea che preveda la totale impunità per chi faccia uso di sostanze stupefacenti. In Italia, siamo passati d un eccesso a un altro: da quello della legge del 1951 a quello della legge 685, con tutte le conseguenze dannose che abbiamo visto. Dobbiamo avere il coraggio di dire una verità scomoda, anche a costo di andare «controcorrente».
Oggi non si chiede di punire il tossicodipendente in quanto tale o in quanto spacciatore di piccole quantità di stupefacenti: si chiede di punirlo solo nel caso in cui egli non si sottoponga alla cura di disintossicazione. Io penso che la società abbia il diritto-dovere di chiedere questo, in quanto il tossicodipendente finisce col divenire un peso e un pericolo costante per la società, soprattutto per gli altri giovani che sono fuori da una pratica così dannosa.
Ho visto piangere alcuni genitori, venuti a chiedermi quale soluzione potessi loro suggerire; magari, per chiedermi anche di revocare i provvedimenti di libertà concessi ai figlioli tossicodipendenti.
Non riscontro ancora una piena presa di coscienza sulla portata e la diffusione delle tossicodipendenze; non è ancora nato un movimento d’opinione efficace; non esiste una volontà forte e decisa di combattere il fenomeno. Ognuno di noi pensa tra sé e sé: «È un problema che non mi riguarda, tanto non ho figli tossicodipendenti». no! Quello delle tossicodipendenze è un problema che riguarda tutti. Anzi, non esiste problema sanitario e umano che, come questo, oggi non investa proprio tutti.
Il problema, lo ripeto, è profondamente umano. Se qualcuno di noi lo affronta anche fuori dalla propria sede naturale di lavoro, lo fa perché «sente» questo problema: come cittadino e come padre di famiglia.
Io definisco i tossicodipendenti con un’espressione un po’ macabra: morti viventi. È terribile, ma è così.
Le loro capacità di incedere e di volere non sono più integre, non sono più padroni di se stessi e sono distrutti anche nel fisico, non più liberi ma schiavi della droga. La loro sopravvivenza è legata alla resistenza del proprio organismo. anche quando non sopravviene la morte fisica, non si può dire che non ci sia quella civile. Perché non ci si deve impegnare con tutta la propria volontà, con tutte le proprie forze, per fermare il dilagare di questo fenomeno? Perché ci si continua a sentire estranei al problema della tossicodipendenza, se non si viene coinvolti in prima persona o, malauguratamente, attraverso il dramma di una persona cara? Se il problema è vasto, se è richiesta la mobilitazione di noi tutti, se dobbiamo sentirci umanamente impegnati, allora è il caso che anche a Palermo sorga – come è accaduto per altre città italiane – un comitato cittadino per la lotta alla tossicodipendenza e agli stupefacenti. Ma ci vuole impegno, occorre un’azione concreta e non soltanto parole: in Italia si fanno molti programmi, si fanno commissioni di studio ma, sul piano pratico, si realizza ben poco.
Quello a cui io penso è un impegno civile, costante e diuturno, perché costante e diuturno è il pericolo che corrono i nostri ragazzi, perché costante e diuturno è lo spettacolo di ragazzi che si «bucano», che lavano la loro siringa nelle fontanelle delle ville pubbliche, che si bucano nuovamente e, via così, si ammalano. Non possiamo sentirci tranquilli con noi stessi e con la nostra coscienza se non ci sentiamo corresponsabili, se non prendiamo parte attiva in questa lotta che deve coinvolgere tutti. Noi giudici, infine, ci dobbiamo sentire particolarmente impegnati, per non leggere poi sul diario dei nostri figli: «La colpa è dei miei genitori, che non si sono interessati a me. La colpa è di mio padre che non mi ha mai dato uno schiaffo e ha sempre detto “sì” a tutto quello che gli ho chiesto», così come ha scritto una ragazza statunitense morta per overdose.
Testo della relazione svolta al convivio del Rotary Club di Palermo il 29 luglio 1981.
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