Fatti “gravi” sia per l’importo dell’imposta evasa, “conteggiabile in milioni di euro“, sia per il comportamento dell’imputata, che “ha portato avanti il suo proposito criminoso per lungo tempo provando a precostituire successivamente giustificazioni, senza di fatto mai ravvedersi del suo operato”. È un passaggio delle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 26 settembre, il Tribunale di Milano ha condannato l’ex presidente della Camera Irene Pivetti a quattro anni di reclusione per frode fiscale e autoriciclaggio, disponendo anche la confisca di 3,4 milioni di euro. Il processo riguarda una serie di operazioni commerciali, risalenti al 2016, dal valore di circa dieci milioni di euro, relative alla compravendita di tre Ferrari Granturismo che, secondo l’accusa, è servita per riciclare proventi frutto di illeciti fiscali. I giudici hanno anche inflitto due anni – con il beneficio della pena sospesa e della non menzione nel casellario giudiziale – ai coimputati di Pivetti, il pilota di rally ed ex campione di Granturismo Leonardo “Leo” Isolani e la moglie Manuela Mascoli.
Secondo il Tribunale, la 61enne ex politica leghista ha utilizzato un network di società di diritto estero (Hong Kong, San Marino, Polonia) per “schermare la propria persona” nei “rapporti di natura commerciale” con il Team Racing Isolani e “ottenere indebiti vantaggi fiscali occultando i redditi percepiti”: nel farlo ha compiuto operazioni simulate, “avvalendosi di documenti falsi ed altri mezzi fraudolenti (…) idonei ad ostacolare l’accertamento e ad ingannare l’amministrazione finanziaria“, indicando “nelle dichiarazioni dei redditi relative agli anni 2016 e 2017 elementi attivi notevolmente inferiori a quelli effettivi”. Né le giustificazioni rese in aula né la documentazione prodotta da Pivetti, si legge, “sono idonee a scalfire il solido impianto probatorio” portato dall’accusa.
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