Donald Trump, che un tempo considerava le criptovalute una truffa e un attentato alla stabilità finanziaria, ora si propone come un cripto presidente deciso ad estendere la leadership monetaria dell’America dal dollaro alle valute digitali: vuole dare loro credibilità anche inserendo una quota di bitcoin nella riserva monetaria federale. Coi due terzi degli americani che dicono di non fidarsi di una ricchezza estratta dai computer e con la Banca Centrale Usa legalmente impossibilitata a inserire monete digitali nel suo portafoglio, il rischio è quello di un salto nel buio.
Ma il nuovo presidente tira dritto: per riconoscenza verso Elon Musk e gli altri tycoon cripto entusiasti della Silicon Valley che lo sostengono, perché ha fiutato un business che può far crescere l’economia e anche la ricchezza della famiglia Trump, ma anche perché decine di milioni di americani, soprattutto giovani, investono in questo settore. Intanto anche in Italia le cripto fanno discutere: la stangata inserita nella manovra economica (tassazione al 42%) non è passata: l’imposta per ora resta al 26% per non scoraggiare investimenti innovativi. Nuovi orizzonti promettenti o scommesse ad alto rischio come i mutui subprime che innescarono la crisi planetaria del 2008? In Italia, dove questo business è ancora marginale, il governo vuole farlo crescere, ma al tempo stesso vuole trasformarlo in una fonte di gettito ben più consistente, visto che l’anno scorso ha reso appena 27 milioni di euro versati da 22.500 contribuenti, a fronte di un milione e 300 mila possessori di criptovalute.
Da noi il problema è quello di garantire il rispetto di regole che l’Europa e l’Italia si sono date, tracciando investimenti e compravendite e applicando un prelievo fiscale equilibrato: il governo non può restare inerte davanti all’improvvisa formazione di nuove fortune miliardarie. Per adesso l’aliquota rimane relativamente bassa (dovrebbe salire al 33% nel 2026) ma l’eliminazione della franchigia fino a 2000 euro d’imponibile sarà un colpo per i piccoli investitori.
Negli Stati Uniti le questioni vanno ben oltre la dimensione fiscale, prevalente nel dibattito italiano: la svolta di Trump che da giugno ha cominciato a presentarsi come il condottiero di una nuova era di ricchezza digitale e la sua vittoria alle presidenziali hanno già fatto crescere di molto il patrimonio dei criptoinvestitori: basti pensare al bitcoin balzato fin oltre i 100 mila dollari, per poi ripiegare a 95 mila dopo il non possumus della Federal Reserve.
Sta poi montando un conflitto d’interessi del presidente di dimensioni potenzialmente ciclopiche: se nel 2016, al tempo della sua prima elezione, Donald Trump promise di mantenere separati i suoi affari dall’attività di governo, ora suo figlio Eric batte i Paesi del Golfo per promuovere il business di World Liberty Financial, la società creata qualche mese fa per gestire le attività di famiglia nelle criptovalute. E non si fa problemi ad assicurare, parlando in pubblico, che suo padre dalla Casa Bianca prenderà decisioni miranti a rendere questi affari sempre più redditizi.
Arricchimenti improvvisi e conflitti d’interesse attirano l’attenzione, fanno discutere, ma rischiano di lasciare in ombra due ordini di questioni che possono avere un impatto economico strutturale e grosse conseguenze politico-culturali. La prima riguarda la portata degli interventi governativi in campo monetario. Fin qui la Sec, l’authority federale che sorveglia Borse e mercati, è stata guidata da Gary Gensler, assai sospettoso — per non dire apertamente ostile — nei confronti di ogni forma di denaro virtuale, creato sfruttando la capacità di calcolo delle macchine. Qualche limite lo ha posto anche Lina Khan dalla Federal Trade Commission (Ftc), mentre il presidente Biden ha cercato di introdurre regole che tutelino i risparmiatori senza imporre vincoli troppo stretti a un settore considerato comunque promettente.
Trump ha già annunciato che spazzerà via le regole di Biden, ha azzerato la Ftc mentre alla Sec ha sostituito Gensler con Paul Atkins, copresidente della Token Alliance, un’organizzazione che promuove l’integrazione dei prodotti finanziari digitali nei mercati tradizionali: una volpe a guardia del pollaio, dicono i critici. Ma non basta: Trump ha anche nominato David Sacks (altro criptoentusiasta, cofondatore di PayPal con Elon Musk e Peter Thiel) zar delle cripto e dell’intelligenza artificiale. Al Tesoro va Scott Bessent: anche lui crede nelle valute digitali, ma il suo ruolo sarà soprattutto quello di garantire la stabilità dei mercati. Nel governo, però, ci sarà un altro grande sostenitore delle monete virtuali: il ministro del Commercio Howard Lutnick che fin qui, da capo di Cantor Fitzgerald, ha investito miliardi nel settore.
Tutti decisi a creare nuova base monetaria, quindi più liquidità e ricchezza, con strumenti virtuali. Trump, però, ha anche chiesto più volte se e come queste cripto potrebbero essere usate per «diluire» un debito pubblico Usa ormai imponente. Circolano varie idee su come provare a farlo, ma bisogna stare attenti a non spaventare i mercati. Vanno prima convinti del valore reale di queste monete: introdurre una blanda regolamentazione (oggi assente, quella di Biden è rimasta sulla carta) e inserire le cripto nelle riserve federali possono essere i primi passi in questa direzione.
Ma c’è anche un secondo aspetto, più politico. Trump può essere tentato di cavalcare anche in campo monetario l’onda anti-istituzionale che sale in America: lui l’ha già sfruttata per emarginare l’establishment politico repubblicano, far perdere presa a stampa e televisioni, mentre ora la usa per attaccare le gerarchie giudiziarie, investigative e militari nelle quale vede i nemici del deep state. Nel 2016, quando davanti all’evidente falsità di molte affermazioni del neopresidente, i suoi portavoce sostennero la teoria dei «fatti alternativi», fu facile ridicolizzarli. Otto anni dopo Trump può dire quello che vuole e le verifiche fattuali degli organi d’informazione lasciano il tempo che trovano.
Che voglia applicare la teoria dei «fatti alternativi» anche alla moneta? I fan delle cripto lo spingono in questa direzione sostenendo che da quando, mezzo secolo fa, Nixon ha sganciato il dollaro dall’oro, il denaro è diventata una finzione basata sulla credibilità delle banche centrali.
22 dicembre 2024 ( modifica il 22 dicembre 2024 | 22:17)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link