Report “smaschera” la Toscana dei grandi rossi: vino da altre regioni, broker e alterazioni – Virtù Quotidiane

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Cronaca 23 Dic 2024 01:06


FIRENZE – A distanza di qualche mese dalla precedente inchiesta di Report sul mondo del vino, tornano a emergere dibatti e questioni sul tema. Nella puntata di domenica 22 dicembre al centro dell’attenzione è finita la Toscana con il suo patrimonio di vini rossi celebri in tutto il mondo. Il servizio “Vino su misura” di Emanuele Bellano smaschera il comparto vinicolo della regione.

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Sono due i grandi temi dell’inchiesta: l’acquisto del vino sfuso da terzi, anche fuori regione, e l’aggiunta di correttivi al prodotto al fine di modificarne le caratteristiche organolettiche di partenza. A crescente domanda, andava evidentemente aumentata l’offerta, anche con l’uso di abili, ma poco ligi alle regole, accorgimenti.

“Alla base c’è un giro di carta, cioè di falsi certificati che vengono venduti dal produttore di vino al commerciante. La carta viene poi associata alle partite di vino provenienti da fuori regione che a quel punto possono essere spacciate come vini toscani. A rimetterci alla fine è il consumatore che paga molto vini senza denominazione e a volte di bassa qualità migliorati in cantina”, è la tesi della trasmissione di Rai 3.

“Questi documenti sono anche in mano alle istituzioni competenti, ma nessuno è mai voluto intervenire perché significherebbe mettere in dubbio il sistema”, ha detto un esperto del settore vendite vinicole mantenendo l’anonimato. “La realtà è diversa da come viene raccontata. In Toscana c’è una produzione di vino inferiore rispetto alla necessità”.

Escono i primi nomi con la Cantina Borghi di Scandicci (Firenze) che nel 2020 ha acquistato circa un quarto del vino fuori regione, per un totale di oltre 3,5 milioni di euro. Le denominazioni prodotte da questa cantina, Chianti e Chianti Classico, hanno l’obbligo da disciplinare di essere prodotti in una specifica zona interna alla regione Toscana.

Noncurante dei tecnicismi, Cantine Borghi ha poi rivenduto questo vino ad autorevoli realtà della zona conosciute per la distribuzione di questi grandi classici toscani. Fra di esse risulta anche la Cantina Cecchi del presidente del Consorzio Toscana Igt, Cesare Cecchi.

Messo di fronte alla realtà dei fatti, il presidente si mostra restio nel voler parlare della propria azienda: “Se Borghi mi vende un Igt Toscana, io quel vino lo posso imbottigliare solo come un Igt Toscana, è una prassi comune. Se poi dai documenti che lei ha risulta che Borghi vende qualcosa che non è corretto, bisogna andare da Borghi”.

Un gioco di rivendite che ha come protagonisti anche Ornellaia. Contratti che dimostrano l’acquisto di vino Sangiovese Igt da Borghi – in realtà generico vino rosso – nonostante dichiarazioni che garantiscono la totale produzione nei propri vigneti. “Imbrogli” anche sulle etichette che riportano diciture fuorvianti come “Vino imbottigliato all’origine” o “Integralmente prodotto e imbottigliato dall’azienda”.

Nel 2023 Cantine Borghi vende 418.000 euro di vino sfuso toscano alla società agricola C.i.t.a.i Tenuta San Guido di Bolgheri, produttrice del celebre Sassicaia che si vanta di selezionare le uve in vigna. Coinvolta anche la Casa Vinicola Barone Ricasoli per un equivalente di 124.000 bottiglie di vino. Presenti sui contratti svelati da Report anche Rocca delle Macìe, Marchesi Mazzei e Aziende Ruffino.

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A coordinare queste operazioni di scambio ci ha pensato la Mario Vezzoni e Company Snc, una società di brokeraggio nel settore vinicolo. Ruolo fondamentale lo ha avuto anche la Vedovato Mario srl, cantina vinicola veneta, nonchè laboratorio in grado di confezionare il vino su misura. Dai contratti rinvenuti risulta che l’azienda abbia “aggiustato” per la Cantina Borghi vino sfuso proveniente da tutt’Italia, in particolare da Abruzzo, Sicilia, Marche e Puglia, rivendendolo adattato in modo sartoriale.

Attraverso processi di laboratorio viene trasformato per adattarsi alle esigenze del cliente: “Cerchiamo di ricreare il prodotto che il cliente desidera su specifiche tecniche o su campioni veri e propri. Facciamo analisi e ricreiamo il prodotto simile” dice il responsabile aziendale.

Il test effettuato su un vino elaborato confrontato con l’originale fatto degustare da due sommelier smaschera il lavoro eseguito dall’azienda per caratteristiche che un consumatore non esperto potrebbe però non riconoscere nell’immediato.

Discorso simile per la Vinicola San Nazaro di Mantova dove il vino viene lavorato secondo cataloghi con basi da cui partire per ottenere il risultato finale desiderato. È così che si sopperisce alle carenze di materia prima in Toscana.

“È ora di farla finita, di essere strozzati da questo commercio falso”, ha detto una produttrice toscana che conferma questi commerci-truffa.

Al momento si sa solamente che tutti i contratti sono in mano alle autorità giudiziarie da tempo e che la procura di Firenze si è premurata di dare notizie in merito. Nessuno si sbilancia e tutti si mantengono sul vago. Quest’inchiesta potrebbe essere l’inizio di un nuovo modo di intendere il valore del vino italiano.


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