A Damasco la comunità cristiana protesta dopo l’incendio dell’albero di Natale a Hama

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In Siria, centinaia di manifestanti hanno riempito le strade della capitale e di altre aree per chiedere i diritti dei cristiani, dopo la pubblicazione di un video che mostrava alcuni combattenti bruciare l’albero di Natale nella città a maggioranza cristiana di Suqaylabiyah

Centinaia di persone sono scese in piazza martedì mattina nei quartieri cristiani di Damasco e in altre aree del paese, per protestare contro l’incendio di un albero di Natale nei pressi di Hama, città nella Siria centrale. Le manifestazioni arrivano a poco più di due settimane dalla caduta del regime di Bashar al Assad, dopo la rapida offensiva dei ribelli di Hayat Tahrir al Sham (Hts). A darne notizia l’Osservatorio siriano per i diritti umani.

Secondo l’ong con sede a Londra, a bruciare l’albero di Natale nella città a maggioranza cristiana di Suqaylabiyah, vicino a Hama, sono stati combattenti stranieri del gruppo islamista Ansar al Tawhid. «Chiediamo i diritti dei cristiani», hanno detto i manifestanti per le strade di Damasco, in marcia verso la sede del Patriarcato ortodosso nel quartiere di Bab Sharqi.

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È accaduto lunedì sera e le proteste sono scoppiate dopo la pubblicazione di un video che mostrava combattenti incappucciati appiccare il fuoco all’albero di Natale della cittadina abitata dalla comunità cristiana. I residenti di Suqaylabiya hanno lamentato la mancanza di sicurezza, le restrizioni ai rituali religiosi e gli attacchi ai simboli della religione cristiana. Un leader del gruppo Hts ha promesso che queste azioni verranno punite e che «l’albero sarà restaurato e illuminato entro domani mattina».

A Damasco i manifestanti, secondo quanto racconta l’Osservatorio siriano per i diritti umani, hanno invocato l’unità nazionale, chiedendo la fine del conflitto settario ed esortando la leadership militare a coordinarsi immediatamente con i comitati di quartiere per fornire il supporto necessario. «Se non ci è permesso vivere la nostra fede cristiana nel nostro paese, come facevamo prima, allora non apparteniamo più a questo posto», ha detto ad Afp un manifestante.

Tra i partecipanti c’è la necessità di preservare la coesione nazionale che unisce tutte le componenti del popolo siriano, sottolineando che la Siria è una patria per tutto il suo popolo senza eccezioni.

Nel frattempo, Ahmed al Shaara, il leader de facto dei ribelli dell’Hts, alias Abu Mohammed al Jolani, ha raggiunto un accordo con gli ex capi delle fazioni ribelli per sciogliere tutti i gruppi e consolidarli sotto il ministero della Difesa. A riferirlo una dichiarazione della nuova amministrazione siriana. Il primo ministro Mohammed al Bashir aveva detto la scorsa settimana che il ministero sarebbe stato ristrutturato utilizzando ex fazioni ribelli e ufficiali che avevano disertato dall’esercito di Bashar Assad. Un compito che al Shaara definisce arduo, riporta Reuters, perché occorrerà evitare scontri tra numerosi gruppi. 

La delegazione italiana

La prima delegazione italiana di alto livello dopo la caduta del regime di Assad ha avuto lunedì e martedì una serie di incontri a Damasco con le nuove autorità di fatto siriane. La delegazione è composta dal direttore Mediterraneo e Medio Oriente del ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale, Maurizio Greganti, e dal direttore per gli Interventi di Cooperazione, Carlo Batori, assistiti dal capo missione a Damasco, Stefano Ravagnan.

Durante l’incontro con il ministro degli Esteri, Assaad Hassan al Shibani, è stato comunicato agli inviati che l’amministrazione ad interim ha attivato una “cellula di crisi” per seguire gli eventi nel paese legati alla celebrazione del Natale e di altri eventi della comunità cristiana.

Turchia: in Siria rientrate oltre 25mila persone

Oltre 25mila siriani sono tornati nel loro paese dopo la caduta del regime di Bashar al Assad all’inizio di dicembre, ha detto il ministro degli Interni turco, Ali Yerlikaya, all’agenzia di stampa ufficiale Anadolu. La Turchia ha accolto tre milioni di profughi siriani negli oltre dieci anni di guerra civile nel paese limitrofo. Yerlikaya ha riferito che verrà istituito un ufficio per l’immigrazione presso l’ambasciata e il consolato turchi a Damasco e Aleppo, affinché i registri dei siriani che rientrano possano essere conservati.

La Turchia ha riaperto l’ambasciata a Damasco una settimana dopo che Assad è stato rovesciato dalle forze sostenute da Ankara, e 12 anni dopo la sua chiusura, all’inizio della guerra civile siriana.

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L’inviato dell’Onu

L’inviato delle Nazioni Unite in Siria, Geir Pedersen, ha incontrato poco più di una settimana fa Ahmed al Shaara. «Ho ricevuto molte rassicurazioni e posso dire che le cose che mi hanno detto sono tutte giuste. Ma so bene che le parole non bastano: è responsabilità della nuova leadership trasformare le parole in fatti concreti», ha detto Pedersen in un’intervista a Repubblica. 

«Le persone sanno come l’Hts ha governato a Idlib: ed è chiaro a tutti che la Siria non potrà essere governata nello stesso modo. La nuova leadership guida il paese solo da due settimane: finora non ci sono stati grandi incidenti, la situazione sembra sotto controllo, anche perché le istituzioni dello stato non sono state smantellate. E, da quello che mi hanno detto, non verranno smantellate: staremo a vedere. Quello che so per certo, è che ho incontrato ex prigionieri politici, rappresentanti delle famiglie degli scomparsi, attivisti, donne e giovani: tutti in questa fase sono pieni di speranza, tutti hanno la sensazione che siamo davanti a un nuovo inizio», ha aggiunto.

 

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