Biden e il rapporto sulle guerre Usa: omissioni e bugie

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A circa un mese dall’insediamento di Donald J. Trump, gli americani che disapprovano l’operato del presidente Usa Joe Biden sono la stragrande maggioranza, secondo FiveFirthyEight: il 56,2%, contro il 37,1% di quelli che invece si dicono soddisfatti di come si sta comportando l’anziano inquilino della Casa Bianca. È l’apice del calo dei consensi nei confronti di Biden, un tramonto che, come ha già sottolineato il direttore di InsideOver Fulvio Scaglione, è lecito definire “osceno” per via delle decisioni a dir poco controverse prese in queste ultime settimane, da presidente uscente e sfiduciato dagli elettori e dal suo stesso partito. La “ciliegina” di quest’amministrazione che verrà probabilmente ricordata nei libri di storia come una delle peggiori della storia recente e non degli Stati Uniti arriva con la presentazione dell’ultimo War Powers Report al presentato Congresso. Un documento che, come sottolinea il giornalista investigativo Ken Klippenstein, è ricco di omissioni e distorsioni.

Biden chiusa la carriera con un documento pieno di bugie

Con il termine del suo mandato, l’amministrazione Biden ha consegnato al Congresso l’ultimo War Powers Report, un documento semestrale che, per legge, dovrebbe informare il popolo americano sui dispiegamenti delle forze armate statunitensi all’estero. Tuttavia, secondo un’inchiesta del giornalista Ken Klippenstein, il rapporto è colmo di manipolazioni e omissioni, nascondendo più di quanto riveli. Il documento, in teoria, dovrebbe dettagliare le attività delle “Forze Armate degli Stati Uniti equipaggiate per il combattimento”. Ma, giocando sulle definizioni di termini come “forze armate”, “dispiegamenti”, “equipaggiati” e “combattimento”, il rapporto è tutto fuorché trasparente.

Tra le criticità più evidenti, troviamo l’assenza di dettagli su aspetti fondamentali dell’attività militare americana. Ad esempio, non vengono menzionate le operazioni condotte dalle forze aeree, che giocano spesso un ruolo cruciale in conflitti moderni. Allo stesso modo, il coinvolgimento della marina militare viene completamente oscurato, nonostante la sua importanza strategica in diverse aree del mondo. Il documento, inoltre, sottostima la presenza di personale militare statunitense in molti Paesi, lasciando il pubblico all’oscuro del vero impatto delle missioni all’estero. Ancora più grave è la minimizzazione degli scontri che non coinvolgono truppe di terra: ciò significa che operazioni significative, come attacchi con droni o azioni mirate, restano non dichiarate, osserva Klippenstein.

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Gli Usa hanno bombardato le forze iraniane

Nonostante le ambiguità, il rapporto contiene un’ammissione importante: gli Stati Uniti hanno condotto, nel mese di novembre, un attacco diretto contro forze iraniane in Siria. Questo evidenzia come alcune operazioni di grande rilevanza strategica siano condotte al di fuori del controllo diretto del Congresso e con informazioni altamente limitate al pubblico. A novembre, infatti, gli Stati Uniti hanno condotto due attacchi aerei in Siria contro gruppi definiti “collegati all’Iran”, secondo i comunicati stampa ufficiali. Il primo attacco, annunciato l’11 novembre, ha colpito nove obiettivi in due località legate a gruppi iraniani, con l’obiettivo dichiarato di ridurre la loro capacità di pianificare e lanciare futuri attacchi contro le forze statunitensi e della coalizione. Un secondo attacco, il 26 novembre, ha preso di mira un deposito di armi di una milizia allineata con l’Iran.

I comunicati enfatizzavano continuamente il termine “collegati all’Iran”, ma senza chiarire se i bersagli fossero forze iraniane dirette o solo gruppi affiliati. Ad esempio, gli attacchi venivano descritti come risposta a un’offensiva di “gruppi allineati all’Iran” contro forze statunitensi in Siria. Nel rapporto ufficiale al Congresso, Biden ha tuttavia dichiarato che gli attacchi statunitensi erano una risposta a operazioni perpetrate dal Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC), milizie affiliate e altri gruppi associati all’Iran, che avrebbero minacciato le vite del personale statunitense e della coalizione. Gli attacchi statunitensi erano dunque una rappresaglia diretta contro l le forze iraniane ufficiali (come l’IRGC) o contro gruppi affiliati? Attaccare direttamente un Paese come l’Iran è molto diverso, dal punto di vista politico-diplomatico, rispetto a colpire i suoi proxy nella regione, cosa che peraltro avviene già da tempo (vedi gli Houthi).

In buona sostanza, l’ultimo War Powers Report rappresenta un esempio di come il linguaggio burocratico possa essere utilizzato per occultare verità scomode. Le decisioni recenti dell’amministrazione Biden, unite alle evidenti lacune di questo documento, sollevano molti interrogativi sulla mancanza di trasparenza dell’amministrazione Usa verso l’opinione pubblica.

Le ultime pessime mosse del presidente Usa

Come ha ricordato Fulvio Scaglione, nelle ultime settimane Biden ha dato il peggio di sé. Silurato (ma il termine più consono qui non si può usare), pensionato a calci nel sedere, Biden ha fatto qualche bel discorso e poi ha cominciato a prendere decisioni, una più feroce e disgustosa dell’altra. Prima ha autorizzato l’impiego dei contractors Usa in Ucraina (10 novembre, con la sconfitta elettorale “vecchia” di soli 4 giorni). Una settimana dopo ha autorizzato l’Ucraina a usare i missili Usa a lunga gittata per colpire l’interno del territorio russo. Passata un’altra settimana ha autorizzato la consegna all’Ucraina delle mine antiuomo, quelle che un Trattato (detto anche Convenzione di Ottawa) firmato da 164 Paesi (ma naturalmente non dagli Usa) ha bandito perché distruttive del futuro dei Paesi dove vengono usate. A tutto questo si aggiunge la grazia concessa al figlio Hunter Biden, mossa bocciata dalla stragrande maggioranza degli americani, secondo i sondaggi. Un addio memorabile, sì, ma accompagnato da pochi applausi e molti fischi. Con la speranza che, prima che il sipario cali definitivamente, non ci siano altre sorprese.

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