Bielorussia. Dalla rinuncia alle armi nucleari al ruolo di “ostaggio” della strategia russa

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di Giuseppe Gagliano

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, la Bielorussia, insieme a Ucraina e Kazakistan, si ritrovò a gestire una parte dell’arsenale nucleare dell’ex URSS. In qualità di Stato indipendente, Minsk si trovò di fronte a una decisione cruciale: mantenere le armi nucleari sul proprio territorio o aderire al Trattato di non-proliferazione nucleare (TNP) come Paese privo di armi nucleari. La scelta della Bielorussia si concretizzò il 22 luglio 1993 con la sua adesione al TNP. Fu il primo Stato a rinunciare volontariamente al possesso di armi nucleari senza condizioni o riserve, completando il ritiro delle testate nel novembre 1996.
L’adesione al TNP fu accompagnata dalle garanzie di sicurezza politiche offerte da Regno Unito, Russia e Stati Uniti nel Memorandum di Budapest del 1994. Tuttavia, queste garanzie si rivelarono di natura non vincolante, un punto che sarebbe stato aspramente criticato dopo eventi come l’annessione russa della Crimea nel 2014 e l’invasione dell’Ucraina nel 2022.
Il 27 febbraio 2022, pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, il presidente Alexander Lukashenko indisse un referendum per rimuovere dalla Costituzione bielorussa il riferimento al Paese come zona priva di armi nucleari. Questo cambiamento aprì la strada al ritorno delle armi nucleari sul territorio bielorusso, sotto il controllo russo.
Nel marzo 2023 Vladimir Putin annunciò l’intenzione di dispiegare armi nucleari tattiche in Bielorussia, completando rapidamente la costruzione di un deposito per testate nucleari. Il 25 maggio 2023, i ministri della Difesa di Russia e Bielorussia firmarono un accordo sullo stoccaggio delle armi. Lukashenko dichiarò di aver richiesto personalmente a Putin la restituzione di queste armi, aggiungendo che il suo governo sarebbe stato pronto a utilizzarle in caso di aggressioni contro il Paese.
Le armi nucleari tattiche schierate in Bielorussia includono testate per il sistema missilistico Iskander-M e bombe nucleari a caduta libera per aerei Su-25 e Su-30. Questi sistemi hanno capacità operative che coprono distanze tra i 350 e i 500 chilometri, con rese comprese tra i 5 e i 50 chilotoni. Mosca ha confermato che, nonostante il dispiegamento sul territorio bielorusso, il controllo delle testate resta interamente nelle mani russe, come previsto dalle norme internazionali.
Tuttavia questo dispiegamento ha implicato un’intensificazione delle tensioni nella regione e un aumento dei rischi di escalation militare. La Bielorussia si è trovata nella posizione di “ostaggio” della strategia russa, con la sua sovranità sempre più erosa dall’influenza di Mosca.
Il trasferimento delle armi nucleari dalla Russia alla Bielorussia è stato pianificato meticolosamente, con un sistema altamente segreto di trasporti ferroviari. Tra giugno 2023 e settembre 2024, almeno 32 vagoni contenenti componenti di armi nucleari tattiche sono stati trasferiti alla stazione di Prudok, vicino alla base militare 94017, utilizzata come centro di stoccaggio e addestramento per il personale militare. Il trasporto è avvenuto in piccoli gruppi di vagoni per garantire la massima discrezione.
Parallelamente, la Bielorussia ha continuato a ricevere sistemi missilistici Iskander-M, equipaggiati per trasportare testate nucleari. Anche il personale ferroviario bielorusso è stato sottoposto a un controllo rigoroso: sospetti di slealtà nei confronti del regime di Lukashenko hanno portato a licenziamenti di massa, con l’obiettivo di garantire la segretezza delle operazioni.
Il dispiegamento di armi nucleari russe in Bielorussia ha sollevato profonde preoccupazioni. Sebbene presentate come strumenti di deterrenza e difesa, queste armi rappresentano un rischio significativo per la sicurezza del Paese e della regione. L’accettazione di queste armi ha consolidato la dipendenza della Bielorussia da Mosca, riducendo ulteriormente la sua autonomia politica.
Inoltre il ritorno delle armi nucleari ha minato la posizione internazionale della Bielorussia, rendendola sempre più isolata sulla scena globale. Questo scenario pone il Paese in una posizione vulnerabile, con pochi benefici tangibili a fronte di enormi rischi strategici e politici.
Per la Bielorussia l’unica via per ripristinare la propria sovranità e garantire un futuro stabile è quella di aderire al Trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPNW). Questo trattato vieta il trasferimento, lo stoccaggio e il possesso di armi nucleari, offrendo un percorso chiaro verso il disarmo e la pace.
Tornare a essere uno Stato privo di armi nucleari consentirebbe alla Bielorussia di rientrare sulla scena internazionale con credibilità e indipendenza. Più che uno strumento di sicurezza, le armi nucleari rappresentano per Minsk un simbolo di coercizione e sottomissione, perpetuando un sistema di dominazione che danneggia la sua popolazione e la sua sovranità.
Solo attraverso un impegno concreto per il disarmo e una politica estera indipendente, la Bielorussia potrà costruire un futuro più sicuro e prospero per sé stessa e per la regione circostante.

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