Diciamo che almeno all’inizio non l’abbiamo presa benissimo. Appena comparsi i vari ChatGpt, Bard e ChatBing (oggi Copilot) li abbiamo dileggiati, sfidati e presi a male parole. C’è chi li interrogava come a scuola per vedere se erano davvero così bravi. C’erano poi quelli che quando hanno capito che il loro punto debole erano le scienze dure (matematica, fisica, ecc) hanno cominciato a chiedergli le equazioni di secondo grado o di risolvere problemi di Analisi 1 da Politecnico con il solo scopo di bullizzarli. Il tono era quello fastidioso del “hai visto? Hai visto che non lo sa!”. Come dire, nessuna macchina ci sostituirà mai. Come se dipendesse da un Chatbot cacciarci dal nostro posto di lavoro e sostituirci (questa frase la mettiamo da parte e ne riparliamo a fine 2024 ndr).
Poi c’è invece anche chi si è subito sottomesso. Si è arreso al progresso, al futuro. Ha scelto il chatbot e lo ha nominato medico curante, consulente finanziario e astrologo. Anche quando commetteva palesemente degli errori, anche quando sbagliava un pronostico facile facile come la vittoria della prima in classifica con l’ultima, giù a giustificarlo: “In effetti non ha sbagliato (!?!) se hai visto la partita poteva vincere”, “guarda che ne sa”, “forse abbiamo formulato male il prompt”. Come se fossimo noi il problema.
Il punto però è esattamente questo, e cioè che siamo noi il problema. L’intelligenza artificiale generativa non l’abbiamo voluta capire. Eravamo abituati a Alexa e Google Home che di intelligente avevano davvero poco. Questi Chatbot invece sono diversi. Sono soprendenti ma fallaci. Ti fanno risparmiare tempo ma solo se impari a conoscerli. Devi metterti alla loro altezza senza troppi retro-pensieri: non sono umani ma non sono neanche dei frullatori, o degli avvitatori. Puoi usarli per barare con i compiti perché sanno un sacco di cose ma solo per “sentito dire”. Sono sempre lì ad ascoltarci e ci svelano mondi. Per le nuove generazioni, per gli adolescenti sono quello che è stato internet e i motori di ricerca per noi che abbiamo siamo negli “anta”. Sono porte che cambieranno il nostro modo di lavorare e di apprendere. Ecco perché dobbiamo evitare un uso improprio di questi modelli di linguaggio di grandi dimensioni. Dobbiamo imparare a conviverci senza antropomorfizzali troppo.
Caro Chatbot ti scrivo (così mi distraggo un po’) è una nuova serie di Info Data che sperimenta prompt. Dove si pongono domande e si analizzano le risposte. Perlopiù fuori contesto. Perché in fondo a rispondere siamo capaci tutti.
Iniziamo con la domanda più bella di sempre. Per Natale chiediamo a Gpt4 (in questo caso) la pace del mondo. Che è il regalo più grande, bello da chiedere quanto impossibile da ottenere. Volevamo partire con una cosa politicamente corretta, buonista e vera. Una cosa giusta, natalizia. Un prompt da scuola elementare. Ecco cosa ci ha risposto.
Già il “sarebbe meraviglioso” indispone perché si capisce che lei (o lui) non ci crede. Poi sul fatto che “come intelligenza artificiale non ha il potere di influenzare direttamente gli eventi...” ci sarebbe molto da dire. Evidentemente Gpt4 non ha visto un film di fantascienza, tipo Battlestar Galattica, solo per fare un nome dove l’Ai prende il comando e distrugge tutto. Il che è paradossale visto il dibattito che ha scatenato. Ma andiamo avanti.
Adesso il tono è paternalistico, lui (o lei) comprende le mie preoccupazioni. Ciò detto alza la palla e chiama in causa la diplomazia. Chiosando: Questi metodi richiedono tempo, pazienza, e spesso incontrano ostacoli significativi. Tuttavia, la storia ha dimostrato che con impegno e volontà, anche i conflitti più ostinati possono trovare soluzioni pacifiche.
Chiedo qualcosa di pratico e gli rimprovero il tono.
Lui capisce. Capisce che ho bisogno di un manuale d’uso, manco fossi un ambasciatore. Però è puntuale. E mi piacerebbe sapere quante di queste opzioni sono state anche solo prese in considerazione. Prova ad andare sul pratico, e gli chiedo una previsione.
Ci pensa.
Poi risponde: Prevedere esattamente come si risolveranno specifici conflitti, come quelli in Ucraina o nella Striscia di Gaza, è estremamente complesso e incerto. Ci sono molti fattori in gioco, inclusi gli interessi politici, le dinamiche internazionali, le questioni economiche e sociali, nonché gli aspetti storici e culturali. Ecco alcuni possibili scenari che potrebbero evolversi in tali contesti:
- Risoluzione Negoziale: Il miglior risultato sarebbe un accordo negoziato che coinvolga tutte le parti in conflitto. Ciò richiederebbe compromessi e la volontà di risolvere le questioni attraverso il dialogo piuttosto che con la forza.
- Intervento Internazionale: Potrebbero esserci maggiori sforzi da parte della comunità internazionale, tramite organizzazioni come l’ONU o alleanze come la NATO, per mediare e trovare una soluzione pacifica.
- Persistenza dello Stallo: In alcuni casi, i conflitti possono rimanere in uno stato di stallo per un periodo prolungato, con episodi intermittenti di violenza e tentativi di negoziazione.
- Cambiamenti Politici Interni: Cambiamenti politici all’interno dei paesi coinvolti possono portare a una nuova leadership più incline alla risoluzione dei conflitti.
- Pressione della Società Civile: La pressione esercitata dalle popolazioni e dagli attori non governativi può influenzare i governi a cercare soluzioni pacifiche.
- Impatto Economico e Umanitario: Le crescenti difficoltà economiche e le crisi umanitarie potrebbero forzare le parti a considerare soluzioni alternative al conflitto.
- Evoluzione del Contesto Globale: Eventi globali imprevisti, come cambiamenti nella politica internazionale o crisi globali, possono influenzare il corso del conflitto.
Ricordo che queste sono solo possibili ipotesi e che l’evoluzione reale dei conflitti dipende da molteplici variabili e può prendere direzioni inaspettate. La speranza è che la diplomazia e gli sforzi internazionali possano portare alla risoluzione pacifica di questi conflitti.
A posto così. Non l’ha sparata. Del resto cosa avrebbe potuto rispondere?
Buon Natale a tutti.
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